«Benedite e non maledite!» (Rm 12,14)
Meditazione biblica di monsignor Luca Bressan* su Romani 12,14-21 tenuta nella preghiera online nella Settimana di preghiera per le vittime dell’omofobia e della transfobia del 13 maggio 2021
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore.
Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. (Romani 12,14-21)
Vorrei commentare questo brano così forte e così intenso a partire da questa mattina e da questa settimana, nel senso che ne ho parlato con l’arcivescovo e abbiamo elaborato insieme alcuni pensieri, anche perché sono arrivate all’arcivescovo, in queste ultime settimane, alcune segnalazioni e alcune lettere che stanno facendo pensare molto.
Questa mattina ho iniziato la giornata alle sei del mattino perché dovete sapere che oggi non solo, per noi, è il giorno dell’Ascensione (a Milano continuiamo a celebrare l’Ascensione il giovedì, dieci giorni prima della Pentecoste), ma è anche il giorno in cui si chiude il Ramadan, per cui, visto che l’arcivescovo non poteva, l’ho sostituito io, andando in cinque comunità, in cinque moschee nella periferia di Milano in cui si ritrovavano i fedeli islamici a celebrare la festa di Id Al-Fitr, la “rottura del digiuno” che è un po’ quello che può essere descritto come “il loro Natale”.
La cosa che mi ha colpito, soprattutto, nella zona di Rho e nella zona di Valleambrosia, vicino a Rozzano, è stato vedere quanti bambini e quante famiglie c’erano.
La cosa mi ha molto colpito anche perché erano le sette del mattino, poi le otto e un quarto del mattino e sono rimasto molto colpito da questi gesti di comunione che si svolgevano in una città che non li vedeva neanche, perché la città di Milano vive il suo ritmo di una giornata feriale in cui non ci si ferma.
Rimanevo colpito perché pensavo all’evento di questa sera, pensavo alla solennità dell’Ascensione e dicevo: «È interessante, si seminano molti semi di comunione e nessuno riesce a vederli, mentre ci accorgiamo di molti gesti di separazione e di conflitto che annullano questi gesti di comunione».
Una cosa che mi ha colpito è che, mentre ero a Valleambrosia, arrivavano già su WhatsApp i messaggi della comunità islamica di Rho che si era già trovata e che ringraziava l’arcivescovo.
Perché dico questo? Perché questa sera abbiamo celebrato una richiesta di perdono e abbiamo letto tante intenzioni che raccontano davvero molta violenza e molte ferite che corriamo il rischio di non vedere, perché siamo troppo abituati a vedere troppe ferite e non siamo pronti anche come comunità cristiana, ad elaborare alcuni lutti, a elaborare alcune maturazioni che magari già sono presenti dentro di noi.
Con l’arcivescovo riflettevamo due giorni fa, quando gli raccontavo che avrei partecipato a questa veglia, sulla liturgia del giorno (lui continua a ripetere che in questo momento di continuo cambiamento, per lui, la bussola di riferimento è l’anno liturgico e quindi le feste e la Parola di Dio che ci viene consegnata). Per cui mi chiedeva di leggere con lui e raccontarvi questa sera come la Parola di Dio ci avrebbe illuminato.
Noi oggi abbiamo letto nella Liturgia della Parola il libro degli Atti, all’inizio, in cui si parla di questa comunità stordita che fa fatica con il Signore a capire a che punto è, e che gli chiede se è quello il momento in cui avrebbe ricostituito il Regno tant’è che Gesù guarda i suoi discepoli e dice: «Ma non avete ancora capito?» e questi poveri discepoli che rimangono stupiti dicendo: «No! Effettivamente non abbiamo capito! Cosa dobbiamo fare» e tornano, dopo che Gesù era stato loro tolto, che tornano nel Cenacolo perché l’angelo aveva detto loro: «Perché state ancora a guardare?».
Questa immagine dei discepoli che continuano a guardare il cielo è un’immagine che ha colpito molto l’arcivescovo: l’ha commentata più volte e mi chiedeva di sottolinearla anche a voi per dirvi che effettivamente è un’immagine che introduce bene il clima di sinodalità che ora è richiesto alla Chiesa italiana.
Insieme dobbiamo effettivamente chiederci come concentrarci sull’oggi a partire però da una visione, che è una visione trascendente, che è la visione del Signore che viene assunto e dello Spirito che ci viene donato. In che modo insieme possiamo vivere tutto questo?
La seconda sottolineatura che mi dava, che mi ha fatto molto pensare, perché ha segnato molto la mia vita di seminarista, era a partire dalla lettera agli Efesini. L’arcivescovo ha utilizzato molte volte la Lettera agli Efesini, ad esempio, quando ha lanciato il Sinodo «Chiesa dalle genti» ha chiesto a tutte le parrocchie di leggere la Lettera agli Efesini.
Iniziava così il brano di oggi: «Fratelli, a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo». Provate a pensare a che frase fortissima è questa: «É stata donata la grazia a partire dalla misura del dono di Cristo». Per cui qualsiasi nostra divisione culturale, qualsiasi giudizio culturale, qualsiasi determinazione culturale, effettivamente, è infinitamente minimale rispetto al dono di Cristo.
La domanda è: «Come siamo capaci di riconoscere questo dono di Cristo oggi in noi?». Per cui anche la richiesta di perdono che abbiamo fatto prima, davvero acquisisce senso e acquisisce profondità proprio a partire da questa visione, cioè la grazia di Cristo che ci illumina e che siamo chiamati a vedere prima ancora delle nostre libertà e delle nostre determinazioni. Effettivamente la domanda è: «Come essere capaci di riconoscere questa grazia? Come essere capaci di riconoscere anche questo dono che abbiamo ricevuto?».
Provate a pensare alla mia giornata di oggi. Questa domanda dell’arcivescovo mi ha attraversato sia stamattina quando celebravo la cerimonia di Id Al-Fitr con i Musulmani (ed ero rimasto impressionato, perché vedere, in una periferia come Rho, centinaia di famiglie con i loro bambini davvero ti fa vedere come sta cambiando la geografia della fede a Milano), sia quando ho celebrato con l’arcivescovo in Duomo la solennità dell’Ascensione, sia con voi questa sera.
Cosa vuol dire effettivamente essere capaci di leggere questo dono della grazia di Cristo che illumina le nostre identità e che ci permette di superare qualsiasi giudizio culturale, qualsiasi nostro peccato che ci separa e ricostruire quell’unità che Dio aveva in mente dalla creazione, che lo Spirito continua a realizzare e che la comunione di Cristo, morto e risorto per noi, chiede di effettivamente di costruire in ogni momento.
Penso che questo sia il compito storico che ci è consegnato e che impegna la Diocesi di Milano al di là dei grandi disegni ad essere realizzato concretamente in ogni giorno nei passi che si fanno quotidianamente.
Tutto questo disegno mi serviva per leggere insieme in profondità il brano della lettera di Romani che ci è stato dato. È una lettera che ho studiato profondamente in seconda Teologia, allora il professore di Bibbia era Ravasi e mi aveva affidato il compito di leggere il commento di Schlier, non so se qualcuno di voi lo conosce, ma è un commento serio e molto interessante.
E mi colpiva molto quella contrapposizione tra benedizione e persecuzione che è molto forte. Schlier spiegava che, nel momento in cui Paolo scriveva, la persecuzione non era quella operata dai romani nel II o del III secolo, che era una persecuzione molto forte.
Quella a cui fa riferimento Paolo è una persecuzione interna al mondo giudaico, per cui Paolo si permette di scrivere: «Benedite coloro che vi perseguitano» perché lo legge dal punto di vista della fede religiosa. Cioè dice: «A una contrapposizione religiosa il modo migliore per reagire a una persecuzione è quello di far vedere che contrapponete un amore più grande».
Questa osservazione di Schlier ci permette di capire che effettivamente quello che ci è chiesto anche in questo contesto come cristiani di essere capaci di costruire un controliguaggio di fronte ai conflitti che si creano, di fronte alle fatiche; di essere capaci di dire parole di benedizione laddove la gente ci odia, laddove la gente ci dice: «Voi non meritate!» e in questo modo di generare il futuro e di generare speranza.
Penso che in un simile contesto una veglia come questa ci possa aiutare davvero ad essere capaci di iniziare un cammino di speranza là dove effettivamente i segni possono essere quelli invece di una fatica e di un contesto di contrapposizione che non sappiamo come gestire.
* Monsignor Luca Bressan è vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale della diocesi di Milano.