Bert D’Arragon: “La mia vita è la mia scrittura!”
Dialogo di Katya Parente con lo scrittore Bert D’Arragon
È con noi oggi Bert D’Arragon, personaggio eclettico, perché definirlo solamente scrittore è un po’ riduttivo. E stavolta non parliamo di un solo libro, ma della sua intera produzione letteraria, che oltre ad ospitare protagonisti del mondo LGBT guarda anche all’universo della disabilità – che per ovvie ragioni sento molto vicino. Aggiungete paesaggi naturali e storici diversissimi tra loro, epoche ed ambienti altrettanto disparati, e avrete un assaggio di cosa scrive Bert.
Per capire un libro, bisogna capire chi lo scrive. E se tanto mi dà tanto, la tua vita è stata piuttosto movimentata. Ce la racconti per sommi capi?
Facile: sono nato, andato a scuola, ho fatto l’Università, poi ho lavorato, e ora aspetto di andare in pensione!!! Poi, come sempre succede, la vita è quella che accade mentre aspettiamo o progettiamo qualcos’altro, qualche piano che vada in porto, o qualche desiderio da realizzare. Questi accadimenti, incontri, esperienze, attività intermedie nella mia vita sono tantissimi: la lotta per i diritti LGBTQI, gli amori, gli impegni di lavoro, la ricerca spirituale, i viaggi, gli incontri con i miei maestri, gli amici, i successi e le sconfitte.
Alla fine penso che questo tipo di movimento è la vita, mentre l’immobilità non lo è affatto. Quindi è proprio un bene di aver avuto una vita movimentata e, nonostante l’artrosi e altri acciacchi, conto di continuare tutto quel movimento ancora a lungo. Se un giorno – tra età, pigrizia, pandemie, guerre e rincari di benzina – il muoversi fisicamente dovesse diventare più difficile, ho tutta l’intenzione di continuare a muovermi lo stesso, almeno mentalmente!
Hai una personalità molto eclettica. In che modo i tuoi interessi influiscono sulla tua scrittura?
Più che eclettico, sono curioso! Mi piace comprendere le cose, calandomici dentro. Non mi basta sapere, voglio vivere le cose da dentro, in modo diretto, visivo, emotivo. La scrittura per me è un modo di entrare fino in fondo in una realtà che poi rispecchio verso l’esterno attraverso la narrazione, aiutando chi mi legge a visualizzare a sua volta quella stessa realtà, a modo suo.
Preferisco la scrittura al cinema proprio per questo: chi legge è il suo proprio regista e cameraman, crea il modo comunicato dal narratore dentro di sé e lo vede con i propri occhi. Autore e lettore vivono la stessa creatività, ognuno in modo personale.
Per scrivere ho dei tempi lunghissimi, e prima di iniziare faccio ricerche infinite, proprio anche nei luoghi della narrazione. Così “Ichnusa” è frutto degli anni in cui ho lavorato per molti mesi da archeologo in Sardegna, ho viaggiato per lungo e per largo in tutta l’isola, ho incontrato e imparato a conoscere molte persone – di cui alcune sono entrate nel romanzo. Oppure penso a Montepulciano, luogo in cui si svolgono scene importanti de “La libellula”: per me è quasi una seconda patria, una specie di paese natale, dove però non sono mai nato. Nei miei libri non descrivo un solo luogo che non abbia visto con i miei occhi – per esempio, ho vissuto per mesi ad Istanbul prima di scrivere il secondo e terzo volume della “Trilogia bizantina”.
Praticamente i miei interessi e la mia vita non influiscono sulla mia scrittura – sono la mia scrittura!
Sei passato dall’Italia della Seconda Guerra Mondiale al Medioevo bizantino, per arrivare alla Sardegna dei giorni nostri. Qual è il fil rouge, se c’è, che lega queste storie?
L’importanza dei rapporti tra le persone. A volte ci si dimentica di cosa sia veramente importante: i valori si capovolgono e perdiamo la bussola della nostra vita. La stella polare viene oscurata da soldi, potere, riconoscimenti (per di più effimeri) di lavoro o sociali, aspirazioni esterne, desideri e rifiuti di quella o quell’altra cosa.
Ma l’aspetto più importante in assoluto nella nostra vita è il flusso dell’energia che corre tra gli esseri viventi, tra le persone – ma includerei anche gli animali, che hanno una grande capacità di dare affetto e anche di soffrire, esattamente come l’abbiamo noi. Ed è estremamente importante vivere positivamente i rapporti con gli altri, è solo grazie all’interdipendenza che riusciamo ad imparare, a conoscere i nostri punti di forza e le nostre debolezze, a crescere. E questo si ritrova in tutti i miei libri, così come lo ritrovo nella mia vita.
In “Ichnusa”, la tua ultima fatica letteraria, intrecci a temi quali etica, omosessualità, e disabilità. Come ti sei documentato su questi argomenti così delicati?
In realtà l’ultima in ordine di tempo è stata la “Trilogia bizantina” con “Il bimbo e la quercia”, “Nati nella porpora” e “Il turbante ottomano” – che, più che un progetto letterario, è stata una sfida pazzesca, con un migliaio di pagine su tre volumi, di cui volevo comunque che ognuno stesse in piedi anche da solo!
“Ichnusa”, invece, è stato in primo luogo un omaggio alla Sardegna e ai sardi. Nei mesi e negli anni che ho passato su questa isola incantata ho conosciuto terre, luoghi, persone e magie molto intense. E ho voluto condividerli attraverso un libro. Così come mi sembrava importante raccontare gli enormi insegnamenti che ho ricevuto da alcune persone con disabilità con cui ho avuto modo di lavorare (questo in Toscana, ma li ho traslocati in Sardegna). Anche per questo aspetto ho voluto cercare di comprendere e di sentire quella condizione.
Così come, ovviamente per esperienza diretta, sento la condizione di essere omosessuale. Ho avuto quella grande fortuna di aver conosciuto tante persone eccezionali che si erano un po’ mimetizzati sotto l’apparenza di preti, carabinier*, scienziat* e studios*, madri, padri, contadin*, giovani, vecch*, italian*, stranier*… (scusate l’asterisco ma in questo caso è importante ricordarsi che il genere non ha nessuna importanza!), e mi ha fatto un enorme piacere riuscire a dipingere un ritratto di alcune/i di loro in quel libro! Questo perché, di fatti, io mi sono “documentato” sui temi più delicati proprio così: imparando da loro parlandoci, vivendoci, ridendo, lottando e piangendo insieme.
Hai militato nell’Arcigay. Sei ancora coinvolto nel movimento omosessuale? Per te, cos’è l’attivismo?
L’attivismo socio-politico, se nasce da un vero bisogno di migliorare e far crescere la nostra (spesso anche un po’ retrograda) società, è una delle cose più importanti che si possano fare. È da una parte l’accettazione della responsabilità sociale che tutti noi abbiamo anche come singoli individui, e dall’altra un modo per realizzare se stessi nel contesto in cui viviamo, e con le persone con cui siamo su una stessa lunghezza d’onda, dialogando anche con i nostri “avversari” politici.
Io ho iniziato a militare in Arcigay nel lontano anno 1987, a ventitré anni, con il mitico Arcigay di Empoli. Mi sono poi trovato Presidente di Arcigay Pistoia, poi Presidente del Comitato Regionale Arcigay Toscana, consigliere nazionale, componente della Segreteria Nazionale… ho gestito con alcun* compagn* eroic* i grandi progetti nazionali dell’associazione, partecipato a tutti i grandi Pride nazionali… direi che l’attivismo per me è stata una parte estremamente importante e bella della vita, e mi ha arricchito tanto sul piano personale ed esperienziale (finanziariamente ovviamente era un salasso, ma questo non conta).
Comunque è una parte di vita che appartiene al mio passato. Non sono più coinvolto nel movimento. Ho ancora amici a cui tengo moltissimo, e con cui continuo a vedermi e sentirmi, ma non sono più coinvolto, né in senso negativo (tipo quelli che se ne vanno e poi dicono peste e corna di quello che fanno coloro che sono venuti dopo), né in senso positivo (quelli che annunciano il loro addio definitivo e poi sono sempre lì in mezzo). È stato mega-galatticamente bello e stimolante, ma dopo oltre trent’anni è finito.
Quali programmi hai per il futuro?
In un futuro molto lontano penso di impegnarmi a trovare l’illuminazione e a diventare un Buddha. Ma ora come ora sto calmino, e resto quello che sono. Anche senza programmi da seguire. Però sono sempre aperto a nuove esperienze!
Programmi ambiziosissimi, la quadratura del cerchio della vita. Che dire allora? Facciamo lo stesso augurio ai nostri lettori. Nel frattempo, immergiamoci nell’atmosfera sempre cangiante dei libri di Bert.