Bibbia e Omosessualità: le “passioni infami” in San Paolo
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio, sesta quarta
Tra i versetti che vengono ossessivamente ripetuti ogni volta che si parla di fede e omosessualità, e che, a detta dei burocrati dell’ortodossia cattolicheggiante, dovrebbero bastare per gettare la croce sulle spalle di trecento milioni di persone senza minimamente domandarsi se un atteggiamento così mostruoso possa davvero stare nel disegno di Dio, ci sono soprattutto alcune dichiarazioni di san Paolo:
“Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento” (Rm 1,26-27).
Analizziamoli frase per frase: “Dio li ha abbandonati”: chi ha abbandonato? Gli omosessuali? No! L’oggetto della frase sta al versetto 18, che i reazionari si guardano sempre molto bene dal citare, e che parla degli “uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia”.
Dio abbandona gli ingiusti, non i gay! E cos’è invece il “questo”, cioè la causa dell’abbandono da parte di Dio? L’omosessualità? No! Si trova al versetto 21, che dice:
“pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa”.
E’ il “vagheggiamento”, l’egoismo, a produrre comportamenti strani, tra i quali l’andare contro la propria natura. Paolo allude a persone eterosessuali si sono dedicate a pratiche omosessuali per puro gusto di trasgressione. Si sono lasciati andare a “passioni”, cioè ad atti non sostenuti da amore. Se l’autore della Lettera ai Romani avesse avuto qualche minima nozione scientifica sull’omosessualità (cosa che non poteva avere perché non aveva letto Freud né Ulrichs o Kinsey, il che non depone a suo favore ma tenderei a scusarlo) avrebbe parlato altrettanto male di altre categorie di persone. Per esempio avrebbe condannato quegli omosessuali che si nascondono per convenienza in comportamenti eterosessuali, finte scelte di castità, matrimoni di facciata. Ogni cosa ha un suo contrario. La “traviazione” non consiste nell’andare contro una “natura” astratta, ma contro la propria natura: nel non accettarla serenamente pur conoscendola.
Mi arrampico sui vetri? No: sono proprio i reazionari a pretendete di farlo, occultando la meravigliosa complessità delle Scritture e traendone solo quello che fa loro comodo. Ovvero, per dirla con san Paolo stesso: “dichiarandosi sapienti ma dimostrandosi stolti” (Rm 1,22).
Ho detto “l’autore della lettera ai Romani” e non “Paolo” perché non è affatto chiaro che sia proprio san Paolo ad aver scritto questo documento. In chiusura (Rm 15,22) si dice infatti:
“Vi saluto nel Signore anch’io, Terzo, che ho scritto la lettera”.
Si direbbe che il versetto di apertura, “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione” (Rm 1,1) non evochi l’apostolo come redattore della lettera ma solo come mittente. Il che non può che far pensare che si tratti di un documento in cui si prosegue un dibattito già in corso. Un dibattito di cui si espongono le diverse posizioni per poi riconciliarle. E il punto di sintesi sta nella dichiarazione, lapidaria, contenuta nel primo versetto del capitolo successivo (Rm 2,1):
“Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose”
I costruttori di tradizioni omofobe strampalate, non vorrebbero compiacersi di smetterla di condannare loro stessi?
In ogni caso, Paolo parla di una sessualità che non ha niente in comune con l’affetto tra le persone. Allude piuttosto a un costume di certi pagani, che vivono il sesso come mera pratica senza amore, risposta compulsica agli istinti bestiali, che non tiene conto dell’oggetto del desiderio. Infatti l’apostolo non parla di uomini che si sentono orientati per altri uomini, o di donne che amano altre donne. Parla di esseri che, ubriachi di prepotenza, si “divertono” a sperimentare pratiche omosessuali come massimo gesto di adulterio.
Ancora San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, aggiunge:
“Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio” (1Cor 6, 9-10).
Molto chiaro: effeminati e sodomiti stanno fuori dal paradiso. Solo che ci troviamo di fronte a un clamoroso caso di errata traduzione dei termini usati dall’autore, il quale non scrive affatto “effeminati” né tantomeno “sodomiti” (parola che nessun abitante di Corinto avrebbe capito, dal momento che, non essendo ebreo, non conosceva il racconto di Sodoma), e non adotta nemmeno il termine che i greci usavano per indicare coloro che praticavano l’omosessualità, cioè παιδεραστής (paiderastes). I termini che si leggono ancora oggi nel testo greco della Bibbia (testo che basterebbe consultare prima di emettere sentenze) sono rispettivamente μᾰλᾰκός (malakoí) e ἀρσενοκοῖται (arsenokoitai), che vogliono dire rispettivamente “viziati” e “vecchiacci da monta” (pedofili e stupratori, tanto per essere chiari).
Risalire ai termini giusti ci aiuta anche a decifrare meglio il senso di tutto il versetto. Nel quale non si capiva perché l’apostolo, compilando un elenco di comportamenti riconducibili a un tema di ingiustizia sociale, avesse improvvisamente inserito due elementi di natura sessuale. Il senso del discorso di Paolo è ora chiaro. Per entrare in paradiso bisogna cominciare a prendersi le proprie responsabilità sulla terra. Bisogna lavorare onestamente, senza scuse, avarizie e ruberie, e senza sperperare i frutti del lavoro tra vino e puttane. Ha una logica, no?
In conclusione
Ho paura che chi usa la Bibbia per condannare l’omosessualità, e si concentra su quattro versetti dei trentaduemila che essa contiene, continui a comportarsi come facevano quegli imperatori che volevano cristianizzare Roma e finirono per paganizzare la Chiesa. Cerca una giustificazione sacra al proprio pregiudizio, del quale non si vuole prendere la responsabilità. Sia egli un fanatico religioso o una persona pia o anche un papa, sta agendo in malafede, perché nega che Dio è e vuole amore.