Bibbia e omosessualità: l’esperienza di Gesù (II)
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio, parte quarta, seconda riflessione.
Proseguo la riflessione sul tema dell’omosessualità letta alla luce dell’esperienza diretta di Gesù, iniziata con l’articolo precedente.
Devo riconoscere
che, nella foga di difendermi, sto tentando di eliminare un precetto fortemente radicato nella tradizione solo perché Gesù non ne parla. La faccio un po’ facile. Ma anche condannare “cautelativamente” un peccato di cui Gesù non dice nulla è decisamente azzardato: si finisce per addossare sulle persone una colpa che magari non hanno, trasgredendo a un’altra raccomandazione dello stesso Gesù, che invita spesso a non opprimere il prossimo con regole su regole che capiamo benissimo essere pesanti:
[Gli scribi e i farisei] “legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. […] Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.” (Mt 23, 1/13)
Bisogna ammettere
che i preti di oggi, nei confronti delle persone omosessuali, non pretendono di legare fardelli che “non muoverebbero neanche con un dito”. Sono gli stessi fardelli che appioppano a se stessi (coi risultati che sappiamo). Ma forse, per capire come Gesù avrebbe trattato una persona omosessuale o una coppia di omosessuali qualora li avesse incontrati, dobbiamo tenere semplicemente conto del suo modo ragionare e di intendere la legge, tutto nuovo rispetto alla tradizione giudaica, e che egli riassume così:
“Un dottore della legge gli domandò, per metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» Gesù gli disse: «”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti» (Mt 22,35-40).
Nel Vangelo di Giovanni, lo stesso episodio è raccontato in modo ancora più bello:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 15, 12-13)
Il comandamento centrale, il significato di tutta la predicazione e l’esperienza di Gesù, è questo: amare. L’amore è il motore del mondo: “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, come dirà Dante in chiusura della Divina Commedia. Quella cosa lì.
Mi sembra di capire
che questi due brevi brani sono la chiave di lettura di tutta la Bibbia: dicono che Dio ha creato il mondo per amore, lo ha consegnato all’uomo per amore, si è fatto uomo per amore, è morto per amore e per amore è risorto e asceso al cielo. Per questo, il principale dei suoi comandamenti è quello dell’amore. Ogni volta che crediamo di scoprire nella Bibbia qualche passo che contraddica questo comandamento, è chiaro che abbiamo letto male. Abbiamo attribuito alla Scrittura, categorie ideologiche nostre, frutto di un’esperienza nostra che non è quella di Dio.
Ma di nuovo
i parrucconi mi perseguitano: “qui non si parla di amore sessuale ma di amore platonico! Non si usa la parola ἔρως (eros) ma ἀγάπη (agape)”. Certo, lo so. E so che la parola agape, nel greco ecclesiastico, indica un’intensa amicizia, una profonda comunione, un amore tutto spirituale. Ma appunto: nel greco ecclesiastico. Giovanni e Matteo non scrivevano in greco ecclesiastico (per il semplice motivo che la Chiesa stava appena nascendo e non aveva ancora una lingua propria) ma in greco classico, anzi, nel greco di tutti i giorni, in modo che tutti potessero intendere. E nel greco classico, “agape” non escludeva affatto l’aspetto sessuale. Se gli evangelisti avessero voluto parlare di amicizia, avrebbero avuto a disposizione il termine “ ϕιλία “ (filia), che indica appunto la simpatia reciproca, la comunione d’intenti, il piacere intellettuale.
Di più: tutti i biblisti riconoscono che Matteo scrisse il suo Vangelo nemmeno in greco ma in ebraico, e lo fece immediatamente tradurre perché si potesse diffondere nel mondo. Il suo manoscritto originario non ci è pervenuto ma le parole usate rimandano continuamente alla lingua di Israele. Bene: in ebraico, la parola che indica l’amore inteso sia come eros che come agape e filia, è una sola: “ahavah”. Non credo che Gesù, che parlava un dialetto ebraico, sia caduto in equivoco. Era un tipo sottile, Gesù. Sapeva parlar bene. E’ più facile che l’equivoco vogliate vederlo voi, cari amici tradizionalisti malati di sessuofobia.
Allora la domanda è: può esistere amore nella relazione tra due persone dello stesso sesso?
Molti teorici della dottrina ecclesiastica sostengono di no, perché ritengono impossibile che Dio abbia potuto prevedere forme di affettività estranee alla dimensione procreativa. Secondo me, questo modo di ragionare mette in dubbio l’onnipotenza di Dio (mai dire che Dio “non può” qualcosa!). Ma è un’opinione personale. Molto più condivisa è però l’osservazione di diversi studiosi che rintracciano, nella Scrittura stessa, alcuni esempi di omoaffettività.
E’ il caso di Davide e Gionata:
Giònata, per la tua morte sento dolore, l’angoscia mi stringe per te, fratello mio Giònata! Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna. (2Sam 1,25-26)
La vita di Giònata s’era legata alla vita di Davide, e Giònata lo amò come se stesso (1Sam 18,1)
E, secondo alcuni interpreti, del centurione e del suo schiavo:
“Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, […]».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. […]». All’udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito” (Luca 7, 1- 10)
Sono tutti indizi
Ma resta il fatto che, per Gesù, l’amore non si misura in rose rosse e cioccolatini, o in figli messi al mondo o nel modo di assolvere ai doveri coniugali. Per lui, “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
L’amore è quel sentimento che si traduce nella capacità – anzi, nel desiderio – di dare la vita per qualcuno. Tutto qui. La sua massima espressione si verifica quando avviene concretamente il dono della vita attraverso la propria morte (per esempio quando una persona muore nel tentativo di salvarne un’altra) ma non vanno disprezzate le forme intermedie: l’esperienza della madre che “dona la vita per i propri figli”, l’esperienza dei coniugi o degli innamorati che “si donano la vita uno per l’altro”. Questo sentimento attraversa tutta l’esperienza umana, a prescindere da qualunque problema di orientamento sessuale.
Quindi, alla domanda se due persone omosessuali si possono amare, la risposta è sì: se scelgono di donarsi quotidianamente uno per l’altro, è segno che si amano. Stanno sperimentando quella che Gesù ci presenta come la più alta forma di amore: come tutte le mamme, tutte le mogli e i mariti “che vanno d’accordo”, tutti gli innamorati.
Oso dire di più:
alla fine dei tempi, Dio non ci chiederà se siamo stati sposati e con chi, se abbiamo avuto figli dentro o fuori del matrimonio, se abbiamo seguito o meno la strada indicata dalla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. Ci chiederà se abbiamo dato da mangiare agli affamati, da bere a chi aveva sete, se abbiamo accolto i forestieri, visitato i carcerati, curato gli ammalati:
“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? (…)”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (Mt 25, 31-40)
In sostanza, ci verrà chiesto se abbiamo amato
Pare che nessuno si preoccuperà se avremo amato una persona del sesso opposto o del nostro stesso sesso, se l’avremo amata platonicamente (aggettivo che, tra l’altro, fa un po’ a pugni col Vangelo dal momento che Platone non era cristiano) o anche carnalmente, se eravamo sposati in Chiesa o in municipio, secondo il rito del matrimonio o quello dell’Unione Civile. L’importante sarà aver costruito un’esperienza d’amore.