“Building a Bridge”, il racconto di come la chiesa cattolica si comporta con le persone LGBT
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Articolo di Paul Elie pubblicato sul sito del settimanale The New Yorker (Stati Uniti) il 27 giugno 2022, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte prima
Negli anni ‘50 Ravenhall, una piscina di acqua salata di Coney Island (Brooklyn, New York), durante la soffocante estate cittadina era meta di molti pellegrinaggi, e qui troviamo anche Martin Scorsese con famiglia e amici, provenienti da Little Italy. In una di queste gite Scorsese, allora adolescente, vide qualcosa che doveva assolutamente vedere: “Ravenhall era, per così dire, la vasca da bagno del quartiere, una grande piscina dove andavano tutti, ed era sempre strapiena. C’erano anziani esponenti della mafia locale, in camicia e bermuda coloratissimi, che giocavano a carte, e c’era un bagno turco.
E un giorno eravamo lì, e sentimmo ‘Hey, hey, venite qui, c’è un frocio nel bagno turco, lo stanno picchiando. Venite a vedere il sangue! Non perdetevelo!’. L’uomo non lo vidi, ma vidi il sangue. Stiamo parlando della metà degli anni ‘50, il periodo del Pericolo Rosso. Gli alieni stavano per sbarcare per distruggere l’America e la Chiesa Cattolica, ed erano comunisti, e anche gay, per quanto ne sapevamo”.
Quest’estate Scorsese ha settantanove anni, ed è nella sua casa dell’Upper East Side con la sua collaboratrice Thelma Schoonmaker a lavorare al suo prossimo film, Killers of the Flower Moon (basato su un libro di David Grann, il film racconta il complotto per assassinare alcuni membri del popolo nativo Osage, che negli anni ‘20 stavano arricchendosi con il boom petrolifero dell’Oklahoma).
Nel frattempo, un’altra sua produzione è disponibile su AMC+, Sundance TV e varie altre piattaforme on-demand: Building a Bridge (Un ponte da costruire), un documentario sul padre gesuita James Martin, un autore molto letto che lavora per il settimanale America, appartenente al suo ordine, e che negli ultimi anni si è dato tutto alla pastorale cattolica rivolta alla comunità LGBTQ. Scorsese mi ha parlato del fattaccio di Ravenhall a casa sua, con padre Martin che ci ha raggiunti via Zoom.
Ho chiesto al regista cosa si diceva dell’omosessualità nell’enclave cattolica italoamericana in cui è cresciuto: “I preti non ne parlavano mai, nemmeno nelle omelie, a casa non se ne parlava mai, e da nessun’altra parte. Tutto ciò che era al di fuori di quella che era considerata la norma doveva essere ostracizzato, umiliato, deriso”. Ma poi Scorsese scoprì che nella sua grande famiglia allargata un suo cugino più anziano, al quale era molto legato, era gay: “A quell’epoca la mascolinità da ‘toro furioso’ era un luogo comune, quindi fu un trauma tremendo per tutti i miei zii, per mio padre, per chiunque. Uno degli zii voleva ‘parlare con lui’, per così dire: ‘E se non funziona, gli spacco le gambe’”.
Questo non successe mai, ma “a un pranzo di famiglia tutti litigavano, c’era un’atmosfera tesa, ‘piena di elettricità’, come si dice. Dopo quella volta le acque si sono calmate, ma non dimenticherò mai quel periodo”.
Il cugino però si confidava con il futuro regista, che a causa dell’asma non si univa alle bande di ragazzi del quartiere: “Una sera stavamo camminando, e mi disse ‘Esco con quei tipi, io sono come loro’. Rimasi molto colpito”.
Padre Martin interviene: “È davvero straordinario che qualcuno, negli anni ‘50, parlasse di questo argomento, senza sapere se rivelarlo alla famiglia o agli amici. Ci voleva fegato”.
“Sì, è vero, ma lui conosceva i suoi sentimenti, sapeva chi era, e si fidava di me. Sapeva che anch’io ero un emarginato, che non non c’entravo nulla con le bande di teppisti di strada” dice Scorsese.
Padre Martin, sessantuno anni, è nipote, da parte materna, di immigrati siciliani. È cresciuto vicino Philadelphia, si è laureato alla Wharton School of Business e ha lavorato per la General Electric in Connecticut prima di entrare nella Società di Gesù nel 1988. Attraverso i suoi articoli per il settimanale America, e poi con i suoi libri, è stato coinvolto in molti progetti artistici in ambito cattolico: è stato consulente della produzione Off Broadway di Stephen Adly Guirgis The Last Days of Judas Iscariot (Gli ultimi giorni di Giuda Iscariota), presiedendo in seguito la Messa funebre per il regista Philip Seymour Hoffman; è stato “cappellano ufficiale” del [talk show] The Colbert Report (il cui conduttore è cattolico); nel 2016 è stato consulente del film di Scorsese Silence (che parla dei missionari gesuiti in Giappone nel XVII secolo); infine, è comparso in un cameo nel film The Irishman, nel ruolo di sacerdote che celebra alcuni battesimi. La sua pagina Facebook è molto seguita da chi vuole restare aggiornato sul mondo cattolico e su quello gesuita, e il suo account Twitter ha più di trecentomila follower: “Una notizia terribile dalla Curia dei Gesuiti: due gesuiti assassinati in Messico. Possano riposare in pace” è uno dei suoi cinguettii più recenti.
Il documentario Building a Bridge è stato girato da Evan Mascagni e Shannon Post (il loro precedente lavoro Circle of Poison prende in esame i devastanti effetti della vendita all’estero dei pesticidi che negli Stati Uniti sono proibiti), e si basa su un breve libro che padre Martin ha scritto sull’onda della strage del club Pulse di Orlando nel 2016, in cui vennero uccise quarantanove persone.
Nel libro il gesuita scrive che la gerarchia cattolica, nei suoi messaggi di cordoglio per la strage, ha fatto ben poco riferimento all’identità omosessuale delle vittime, e che questo lo ha spinto a “costruire un ponte” tra la Chiesa e la comunità LGBTQ: “Il messaggio di padre Martin ha smosso qualcosa dentro di noi, a me che sono cattolico e a Shannon che è queer” riferisce Evan Mascagni. I due registi hanno seguito il sacerdote per molte settimane tra il 2018 e il 2019 nei suoi incontri con persone omosessuali e famigliari nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche. In una scena si vede il gesuita che firma copie del suo libro, e un giovane gli si avvicina in lacrime e gli dice di non essersi dichiarato alla famiglia, perché parlano molto male dell’omosessualità; padre Martin gli consiglia di dare loro tempo.
Il padre gesuita non vuole che la Chiesa cambi la sua dottrina a proposito dell’omosessualità: vuole solamente che tratti le persone omosessuali “con rispetto, compassione e delicatezza”, che è poi la posizione del Catechismo.
Il film mette il suo punto di vista in contrapposizione con quello di Michael Voris, fondatore dell’associazione tradizionalista Church Militant, che alza la voce sul dilagare della “omoeresia” nella Chiesa: “Martin è un pervertito contorto. Non c’è una dottrina o un insegnamento della Chiesa che non voglia distorcere e pervertire con la sua mente malata, in modo che possa essere accettata la libidine omosessuale”.
Scorsese ha voluto essere produttore esecutivo del film in sede di postproduzione dopo che gliene ha parlato padre Martin, suggerendo a Mascagni e Post alcune modifiche: “Evan ha ricevuto una telefonata da Marty [Scorsese], il momento più bello della sua vita: ‘Indovina un po’ chi mi ha telefonato?’” dice padre Martin.
Testo originale: A Film Produced by Martin Scorsese Looks at the Catholic Church’s Treatment of the L.G.B.T.Q. Community