Camminando verso il dono di sé. Noi cristiani LGBT e la chiesa dopo il Sinodo sui giovani
Riflessioni di Paolo Spina del Progetto Giovani Cristiani LGBT
Già durante il tavolo di dialogo tra le diocesi lombarde e i gruppi cristiani LGBT dello scorso 18 novembre 2018 erano emerse alcune riflessioni circa i paragrafi del documento finale dell’assemblea generale del sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (27 ottobre 2018). Con estrema sintesi vorremmo raccoglierne alcune, senza la pretesa di essere esaustivi, ma fornendo qualche spunto di riflessione.
“Frequentemente la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità” (Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, n.39).
Parlare di sessualità non significa solo esplorare un capitolo del proprio vissuto e del proprio sentire: essa rappresenta, piuttosto, una “parte di sé” capace di racchiudere il “tutto di sé”. Per questo è evidente che la modalità e le argomentazioni con le quali la Chiesa si confronta su questa tematica mettono in gioco l’intera sua credibilità e la possibilità di avvicinare o allontanare i giovani (e i meno giovani). È anche evidente come sempre di più l’esperienza della vita concreta dei giovani e le parole della morale cattolica viaggino su binari diversi, qualunque sia il loro orientamento sessuale.
Al netto delle opinioni di ciascuno, il fatto che i numeri del Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani inerenti la sessualità (e, più in particolare, l’omosessualità) siano stati fra quelli approvati con la maggioranza meno ampia, racconta quanta difficoltà ci sia ancora da parte dei pastori della Chiesa nel parlare a viso aperto di tali tematiche.
“Nell’attuale contesto culturale la Chiesa fatica a trasmettere la bellezza della visione cristiana della corporeità e della sessualità, così come emerge dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero degli ultimi Papi. Appare quindi urgente una ricerca di modalità più adeguate, che si traducano concretamente nell’elaborazione di cammini formativi rinnovati. Occorre proporre ai giovani un’antropologia dell’affettività e della sessualità capace anche di dare il giusto valore alla castità, mostrandone con saggezza pedagogica il significato più autentico per la crescita della persona, in tutti gli stati di vita. Si tratta di puntare sull’ascolto empatico, l’accompagnamento e il discernimento, sulla linea indicata dal recente Magistero. Per questo occorre curare la formazione di operatori pastorali che risultino credibili, a partire dalla maturazione delle proprie dimensioni affettive e sessuali” (Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, n.1 49).
“Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali. A questo riguardo il Sinodo ribadisce che Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa, rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale. Ugualmente riafferma la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale».
Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé” (Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, n.150).
Quando si cerca di tracciare un bilancio, è importante considerare anche il metro di giudizio. Qualcuno potrebbe, col saggio Qoelet, tranciare in maniera netta: “Nulla di nuovo sotto il sole”. I contenuti, in fondo, non differiscono dalla linea magisteriale offerta negli ultimi 40 anni (Persona humana, alcune questioni di etica sessuale, Congregazione per la dottrina della fede, 1975).
Qualcun altro potrebbe provare a raccogliere suggestioni di altro tenore: non per condiscendenza nei riguardi dei pronunciamenti dei sinodali, ma per riprendere fiato e continuare, nella verità e nella libertà, il proprio cammino di cristiani lgbt.
Una prima impressione riguarda la terminologia: è utilizzato il termine castità, e non astinenza (né qui, né in altri numeri), e se ne parla in un paragrafo che non è esplicitamente dedicato all’omosessualità, potendo indicare la castità come elemento dei cammini affettivi di tutti (e l’astinenza, invece, legata solo agli stati di vita di particolare consacrazione nel celibato).
Di ulteriore interesse il riferimento alla maturazione delle dimensioni affettive e sessuali degli operatori pastorali, che già anticipa rispetto al successivo paragrafo l’importanza di pastori, consacrati e battezzati che accompagnino il cammino delle persone lgbt non solo in termini di competenza umana e psicologica, ma anche e soprattutto con la testimonianza nata dal proprio stesso vissuto affettivo e sessuale, in termini di maturità e trasparenza. Non possiamo non accennare ad altri documenti che limitano drasticamente, ad esempio, l’accesso al ministero ordinato a quei candidati che presentino una tendenza omosessuale profondamente radicata (cfr. Il dono della vocazione presbiterale, Congregazione per il clero, 2016), come alcune recenti affermazioni di Papa Francesco (cfr. il libro La forza della vocazione e il discorso ai vescovi italiani dello scorso maggio 2018) deficitari, almeno, di adeguati contributi psicologici e antropologici (i gay avviati al sacerdozio come “qualcosa che preoccupa” e “nel dubbio, meglio che non entrino”, l’omosessualità diventata “di moda”, …).
Anche nel paragrafo 150 troviamo una terminologia più adeguata alla realtà: al termine tendenza utilizzato da altri pronunciamenti magisteriali si preferiscono quelli di inclinazione, orientamento, dimensione. Sono valorizzate e incoraggiate le realtà dei nostri cammini di accompagnamento che sappiamo bene, infatti, essere così importanti soprattutto per quei giovani lgbt allontanatisi dalle parrocchie o dai movimenti perché discriminati, apertamente o velatamente.
Da ultimo, notiamo la posizione di questi paragrafi all’interno del documento: non in una sezione dove si parli di situazioni problematiche dal punto di vista morale, o irregolari, ma nel III capitolo, “Un rinnovato slancio missionario”, cioè nel contesto delle frontiere, di quelle “Galilee” predilette dal Signore Gesù come luoghi di incontro dove, proprio lì, Lui ci precede, e che oggi sono abitate dai migranti, dalle donne, dai non credenti, dalle minoranze di ogni tipo.
Le pur timide aperture di questo documento offrono bagliori di speranza, come le luci dell’aurora. Tra le righe, vorremmo immaginare un graduale trasferimento della cura pastorale per le persone lgbt da una dimensione di frontiera all’ordinarietà della vita ecclesiale, camminando insieme verso ciò cui veramente aspiriamo e che in alcune realtà ci sembra sia già avviato: comunità cristiane che sappiano accogliere e aiutare tutti i giovani a integrare serenamente la fede con la propria affettività, senza il bisogno o con minore necessità di gruppi specifici e “protetti”, e dove il proprio orientamento sessuale e affettivo è testimoniato con mitezza e vissuto con sincerità.
Ognuno di noi ha riconosciuto la presenza di Dio nella propria vita anche in quella “chiamata nella chiamata” che è la sessualità lgbt, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé, per citare letteralmente il paragrafo 150: per questo non ci scoraggiamo, e vogliamo continuare a camminare, nella Chiesa, insieme.