“Camminavo rasente i muri”. Nella mia vita di uomo transgender
Dialogo di Katya Parente con lo scrittore Massimo d’Aquino
L’ospite di oggi, come leggerete nell’intervista, è un autore esordiente: “Camminavo rasente i muri” è la sua opera prima, nel quale ci racconta il suo percorso. Massimo d’Aquino – questo è il suo nome – è un uomo FtM. Ma lasciamo a lui la parola.
Chi è Massimo?
Mi chiamo Massimo d’Aquino, sono un uomo transgender di sessantadue anni compiuti da poco. Per campare faccio il salumiere al banco di un supermercato; amo molto il mio lavoro, e lo svolgo con passione. Sono nato il 12 di settembre a Napoli, ed ho vissuto a Capri fino agli otto anni per poi essere catapultato nella provincia lombarda nel 1968 (anni difficili, soprattutto per chi proveniva dal sud). Dal 1968 al 2011 ho vissuto in provincia di Milano, per l’appunto, e dal 2011 vivo a Roma, mai scelta fu più felice. Roma mi ha dato e mi sta dando davvero moltissimo.
Cosa ti ha spinto a scrivere quest’autobiografia?
La passione per la scrittura fa parte della mia vita dacché sono stato in grado di comprendere il potere delle parole. Al di là dell’essere una persona trans e di trattare questo tema, amo scrivere, raccontare di qualsiasi cosa mi capiti. Nel cassetto ho una raccolta di poesie e di favole, per esempio. Quindi scrivere fa parte della mia vita da sempre. “Camminavo rasente i muri” ha significato per me mettere finalmente nero su bianco la mia vita senza più essere costretto a raccontare menzogne, dirmi la verità ed esternare ciò che tenevo dentro da anni.
Questo libercolo nasce dopo un periodo estremamente travagliato: vari “fallimenti” sentimentali, un tentato suicidio, per fortuna non riuscito, e la voglia di ricominciare senza accantonare e dimenticare ciò che ero stato fino ad allora. È servito soprattutto a me. Nasce insieme alla mia, di rinascita. Giunto a Roma, ho sentito il bisogno imprescindibile di raccontare com’era andata, cercando di far comprendere cosa volesse dire essere trans, e quanto di straordinario questa condizione porti con sé. Sebbene narri di situazioni a volte drammatiche, volevo si cogliesse la positività di una palingenesi. Una vera e propria “resurrezione”.
Il cambiamento è stato totale: a cinquant’anni mi sono ritrovato solo in un posto nuovo, scrivere mi è sembrata la cosa più naturale da fare per non dimenticare il passato ed aprire le porte per un futuro nuovo.
Definisci la tua biografia “tascabile”. Come mai?
Qui la risposta è molto semplice! Il mio libercolo, come amo definirlo da sempre, si legge a dir tanto in un paio d’ore. Minuto, ma dirompente. Credo poi che averlo strutturato in modo che ogni episodio sia un racconto a sé dia la possibilità di tenerlo in tasca, e di tanto in tanto riflettere su ciò che scrivo. Una sorta di manuale per giovani trans. Chiaramente dico questo con molta umiltà, non voglio certo essere scienza infusa per nessuno, mi rifaccio semplicemente ai feedback di chi lo ha letto e mi ha ringraziato perché “Camminavo…” gli è stato d’aiuto.
Ci sono molti stereotipi sulla transessualità. A te, quale dà più fastidio?
La cosa che mi dà più fastidio è la generalizzazione. Gli stereotipi nascono dalla necessità di voler a tutti i costi catalogare le persone e a doverle per forza inserirle in caselle determinate. Una cara amica, Porpora Marcasciano, ripete spesso che ci sono tanti transessualismi quante sono le persone trans. Ognuno ha la propria storia, un proprio vissuto, che soltanto per certi versi può avere qualche tratto in comune con altri. Nell’espressione della propria identità non esistono, e non devono esistere, regole. La cosa fondamentale è essere e sentirsi liberi.
Come si fa ad educare alla diversità?
Conoscendo e facendo conoscere. Tutto ciò che ci circonda è testimonianza di diversità, e per fortuna! Chiudersi nel proprio mondo e credere che esista soltanto quello è come nascondere la testa sotto la sabbia. Se avessi avuto la gioia di avere un figlio, gli avrei fatto girare il mondo, gli avrei raccontato di dèi e culture diverse; lo avrei educato a comprendere che ogni sfumatura di ciò che possiamo essere è legittima, e che nessuno può decidere per noi chi e come amare.
Non è poi tanto complicato: basta insegnare l’Amore. Detta così pare ingenua come affermazione, soprattutto se osserviamo cos’è diventato, in certi ambiti, il mondo oggi. L’odio la fa da padrone, però credetemi, i “buoni” sono molti di più dei “cattivi”, solo che non fanno così tanto rumore.
Allora sta a noi cercare le persone che hanno sete di conoscenza e vogliono sapere. Dobbiamo parlare di diversità il più possibile, e contagiare con la nostra gioia e voglia di vivere gli altri.
È vero o è un cliché letterario che la scrittura è terapeutica?
Posso rispondere per me, e per quanto mi riguarda lo è stata e lo è tuttora. È stato terapeutico scrivere questa autobiografia, tuttavia scrivere non è di certo solo questo, sarebbe limitante. Per me scrivere è creare armonia tra parole che diano un senso a quello che si vuol dire; scrivere è esser capaci di invogliare il lettore a leggere senza che si annoi; emozionarlo come quando ascolta una musica che gli fa venire la pelle d’oca; stimolarlo a guardarsi dentro e a far risuonare le parole che più lo hanno colpito e chiedersi “Perché?”. Anche le parole possono essere musica. Quindi sì, la scrittura è senz’altro terapeutica, ma non solo.
Come vedi la tua vita futura? Continuerai la tua avventura di autore?
La mia vita futura è e sarà un crescendo di emozioni e di nuove scoperte. Spero di avere tutto il tempo necessario per continuare a scrivere e raccontare, perché ho ancora moltissimo da dire e sì, continuerò la mia avventura di autore.
Prossimo alla pubblicazione sarà “Io che da mio padre ho preso solo gli occhi chiari”, il continuo di “Camminavo rasente i muri”, un secondo libercolo che approfondisce alcuni aspetti della mia vita passata e apre le porte ad un terzo romanzo, già in cantiere, ben più cospicuo degli altri.
Dalle parole di Massimo escono fuori prepotentemente una positività e una voglia di scoprire il mondo potenti e contagiosi. Non sono sentimenti naïves, ma frutti travagliati e dolorosi di una vita che non sempre è stata gentile – e per questo sono ancora più preziose. Auguriamo ai nostri lettori di farle proprie.