Cara chiesa di Torino sul cammino con le persone LGBT+ io la penso così
Riflessioni di Massimo Battaglio
Talvolta ho l’impressione che la Chiesa, anche quando vuole mostrarsi aperta al dialogo, non sia sincera. Recita la parte del soggetto inclusivo, si condisce di parole come “ascolto” e “dialogo” perché si rende conto che è meglio così. Ma si guarda bene da imboccare davvero la strada del cambiamento. Le iniziative sinodali a cui anch’io ho partecipato a Torino, mi portano a confermare questa idea.
Cosa è veramente successo?
I referenti diocesani del Sinodo hanno contattato don Carrega, responsabile per la pastorale con le persone LGBT+, e gli hanno chiesto un contributo alla discussione sinodale. Ci è parso subito un bel gesto. Ci siamo dunque incontrati tra di noi per costruire insieme un documento in cui presentare le nostre storie ma soprattutto le nostre istanze. Lo abbiamo consegnato a chi ce l’aveva chiesto, ritrovandoci con loro in un secondo incontro, molto intenso. Non so che fine farà questo documento ma il primo frutto che ha dato è stato l’articolo sul giornale diocesano La Voce e il Tempo, riportato su Gionata.
Ora: capisco che La Voce e il Tempo è letto anche e soprattutto in ambienti conservatori, che, anche a Torino, sono nutriti e organizzati. Riportarvi tutta la nostra discussione, con tutti i suoi contenuti impegnativi e a tratti piccanti, può essere pericoloso. Ma ridurre tutto a un quadretto a rose e fiori fa altrettanto male. Sa di presa in giro e, soprattutto, di finto.
Per esempio: quando si dice che molti di noi “stati attivi in associazioni Lgbt laiche o di credenti”, deve essere ben chiaro che lo sono tuttora. Non sono arrivati al Tavolo Fede e Omosessualità sulla scorta di un pentimento. Per carità: non è scritto e non è quello che la giornalista voleva dire. Ma è quel che si capisce. E non va bene.
Tra l’altro, non va nemmeno bene che si commettano errori grossolani come “Arcigay Maurice” (Arcigay e Maurice sono due associazioni distinte) o “Davide e Gionata, L’albero di Salvarano, La rondine, La Tenda di Gionata, Il pozzo di Sicar” (non si tratta di gruppi alternativi ma di realtà che si sono succedute nei decenni, una dopo l’altra).
E quando si dice che “nel documento di sintesi sono convogliati desideri e proposte”, bisogna elencare questi desideri e queste proposte. Magari non relegandoli alla fine dell’articolo, di nascosto, ma riservandovi la parte centrale. Bisogna parlare per esteso di cosa chiediamo quando parliamo di “una maggiore consapevolezza della realtà Lgbt ad una adeguata formazione su di essa”.
Soprattutto riguardo alla formazione – che in effetti riteniamo indispensabile – siamo stati chiarissimi. Abbiamo detto che desideriamo organizzarla noi e nessun altro. Abbiamo affermato di essere piuttosto stufi delle iniziative promosse da singole realtà della diocesi di Torino, in cui, per parlare di omosessualità, si chiama Povia o Amato o Adinolfi. Questa non è “formazione” ma manipolazione delle coscienze. E deve cessare.
Abbiamo chiarito che, con certi personaggi, non accettiamo nemmeno un contraddittorio. E non perché ne abbiamo paura ma perché abbiamo appurato fin troppe volte che essi diffondono falsità scientifiche vergognose, di cui può essere dannoso anche solo discutere. Certi argomenti (come l’accostamento tra omosessualità e pedofilia, o l’idea che le persone omosessuali non sono capaci di affettività) non devono avere spazio neppure in forma di dibattito.
Di queste cose, nell’articolo su La Voce e il Tempo, non c’è traccia. Si parla piuttosto di cercare “un reale punto di incontro e di reciproca comprensione fra le persone Lgbt e la Chiesa cattolica”. Punto d’incontro reciproco? Ma quale reciprocità? Dobbiamo per caso accettare, in cambio di un atteggiamento meno escludente, di piegarci alle assurde ricette che il Catechismo ci indica? In soldoni: dobbiamo accettare di vivere “in castità” o perlomeno di dirlo? E dove sarebbe la novità?
Di nuovo: per carità: questo non è scritto. Ma si capisce. Ed è già troppo.
A proposito: abbiamo avvertito che è ormai possibile e urgente una seria riforma della dottrina sui nostri temi. La ricerca teologica è disponibile; esempi pastorali non mancano; la scienza lo impone. Ma anche questa istanza ha dovuto soccombere alle “esigenze giornalistiche”.
Cara Chiesa di Torino. Sono sinceramente contento che due componenti del tuo apparato abbiano passato una domenica – tra l’altro soleggiata e tiepida – per venire ad ascoltare una sgangherata banda di figli della luna. Sono grato anche del loro atteggiamento, silenzioso per tutto il tempo, emozionato in certi momenti, addolorato in altri. Ma, se il risultato è solo quello di proclamare quanto sei bella, sei viva e sei vera (come in quel canto stucchevole, brutto anche musicalmente), non ci siamo. Non ci sto a fare la parte della cipria su un volto che più rugoso non si può.