Cari genitori, sono omosessuale
Articolo di di Ambra Radaelli tratto da D di Repubblica del 19 aprile 2008
Mica facile, dichiararsi omosessuale. Né con gli amici né sul lavoro, e ancora meno in famiglia. «Il coming out con i genitori – in particolare con la madre – è il problema principale per il 95% delle persone», dice Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay e psicopedagogista. «La famiglia tende a riprodurre se stessa come unico modello possibile.
Quindi, un figlio o una figlia gay inevitabilmente si sentono sbagliati nel posto sbagliato. La conseguenza è che finiscono con l’imparare la dissimulazione, la doppia morale». Insomma, nel “dichiararsi” le remore sono ancora forti.
«Negli anni Ottanta si temevano le conseguenze pratiche – taglio dei viveri, cacciata di casa – e spesso con ragione. Diversi giovani sono finiti in comunità – a tale proposito, credo nella necessità di creare strutture specifiche – e alcuni genitori sono stati condannati per abbandono di minore. Oggi, le paure sono più legate all’affettività: paura di dare un grande dolore ai genitori, di deluderli, di perdere il loro amore».
Le specificità dell’Italia non aiutano: «Mancano le metropoli, che fanno da rifugio e regalano libertà. A Parigi vive il 20% dei francesi e l’80% degli omosessuali, che hanno un loro quartiere, il Marais. Idem a Londra: 15%, 50%, SoHo. Da noi Milano, la città con il più alto tasso di immigrazione interna, accoglie 2-300mila gay e lesbiche: troppo pochi per fare massa d’urto, per incidere davvero.
Seconda questione: il 70-80% degli italiani vive in centri medio-piccoli, dove il controllo sociale è fortissimo. Infine, la famiglia tradizionale ha una tenuta senza pari in Europa, dove a 18 anni si è fuori casa».
Questi i motivi delle paure dei giovani. E quelle dei “vecchi”, una volta ricevuta la notizia? «Anzitutto lo stigma sociale», risponde Grillini. «L’ansia in parte è giustificata, perché la società italiana è quella che è. Spesso, però, è eccessiva, una proiezione delle proprie angosce interiori. Poi c’è la paura delle malattie sessualmente trasmissibili, purtroppo ancora identificate con l’omosessualità.
Come anche la promiscuità: si confonde una minoranza molto vivace con la maggioranza, che per le ragioni che ho detto prima – controllo sociale, vita in famiglia eccetera – fa sesso molto meno degli etero.
Altro motivo di scontento: l’immaginata instabilità affettiva della prole. Eppure, studi dimostrano come le coppie omosessuali siano più stabili di quelle etero: un miracolo visto che la società, lo Stato e la Chiesa fanno di tutto per contrastarle».
Fatto sta che, senza arrivare a casi estremi (genitori che spingono i figli dallo psichiatra o, incredibilmente, dall’esorcista, succede), difficilmente mamma e papà manifestano entusiasmo. Anche se, a loro favore, va detto che – forse non tutti, ma infinitamente più che in passato – superato lo stupore iniziale si schierano accanto ai ragazzi. E, a volte, accettano addirittura di raccontarsi e farsi fotografare con loro.
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FAMIGLIA LUPOLI (Casalmaggiore, Cremona).
Lorenzo, 23 anni, studente
Adamo, 56 anni, impiegato
Giovanna, 57 anni, casalinga.
Lorenzo: Il mio coming out è avvenuto tre anni fa. Nei giorni precedenti, mio padre mi aveva sorpreso a navigare per siti di cultura omosessuale. Così ha colto l’occasione per chiedere ciò che gli premeva sapere, e lo ha fatto senza troppi giri di parole. «Sei gay? Ti piacciono i ragazzi?». E io, semplicemente: «Sì».
Lui non si è mostrato dispiaciuto. Anzi, ha cercato di togliermi dall’imbarazzo: «Non preoccuparti, è tutto normale. Ne riparleremo con calma. Fai attenzione con gli altri, però: per molti l’omosessualità è ancora un problema». Naturalmente mi sono sentito sollevato.
A quel punto occorreva dare la notizia a mia madre: è successo dopo qualche mese. Anche qui mio padre mi è stato d’aiuto, preparandomi il terreno: «Lorenzo deve dirti una cosa importante, Giovanna. Non starebbe tranquillo se tu non la sapessi. È attratto dai ragazzi». Io ho aggiunto: «Mi spiace non avertelo detto prima, ma non sapevo come». All’inizio, mia madre si è un po’ emozionata. Poi mi ha rassicurato: anche lei era serena.
Il coming out è stato un passaggio fondamentale nel rapporto con i miei genitori, che da allora è diventato del tutto franco e aperto, anche su temi diversi dall’omosessualità. Non avevo comunque dubbi sulla loro reazione amorevole, e se mio padre non avesse affrontato l’argomento, prima o poi l’avrei fatto io. Se oggi inizio una relazione posso presentare chi amo alla mia famiglia. Senza paure.
Adamo: Anche prima di chiederglielo esplicitamente avevo il sospetto che Lorenzo fosse gay. Lungi da me frugare tra le sue cose, ma una volta mi è capitata sotto gli occhi una lettera, in cui scriveva a un’amica di avere trovato un fidanzato. Poi mi è arrivata una segnalazione dalla società che ci fornisce la connessione Internet: la nostra bolletta era esagerata.
Avevo più o meno intuito che mio figlio frequentava siti a tematica gay, a quel punto ne avevo la conferma. E da qualche tempo lo vedevo inquieto. Così ho deciso: era necessario che parlassimo. Non avevo paura di sapere perché conosco Lorenzo: è un ragazzo serio, a posto, cui gli eccessi non interessano. Quando ha confermato i miei sospetti, non ho provato tristezza né delusione.
Ho però cercato di capire se lui soffrisse, se magari i coetanei o i docenti avessero un atteggiamento sgradevole. Lui mi ha rassicurato: non era mai successo. A questo non credo fino in fondo, però so che Lorenzo è forte. Un altro timore riguardava mia moglie – pensavo che avrebbe accolto male la notizia, perché è una donna molto sensibile – e l’altro mio figlio, dal carattere un po’ rigido.
Anche con lui, però, nessun problema: io e Giovanna gli abbiamo regalato un libro sul tema affinché gli fosse più facile capire, e così è stato. Oggi sono fiero di Lorenzo, che ha il coraggio di essere se stesso.
Giovanna: Lorenzo è molto riservato, quasi chiuso, però si capiva che qualcosa lo tormentava, e che non voleva parlarne. Come mio marito, anch’io avevo capito qualcosa, pur non avendo certezze.
Dunque, la notizia della sua omosessualità non mi ha sorpresa. Un po’ di dispiacere, sinceramente, sì. Non per me, ma per lui: le discriminazioni verso i gay sono ancora tante, la loro vita ancora difficile. Mi hanno però fatto piacere il suo coraggio, la sua sincerità.
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FAMIGLIA STANZIONE (Arzano, Napoli)
Nicola, 25 anni, architetto.
Antonio, 55 anni, tecnico.
Patrizia, 47 anni, casalinga.
Nicola: «Mamma, amo i ragazzi». Avevo 19 anni e mi sentivo forte: avevo appena iniziato una storia. Sulle prime, mia madre non ha capito bene: in casa non si parlava mai dei gay, lei non ne conosceva e non aveva idea di come vivessero.
Infatti mi ha chiesto: «Che vuoi dire?». Per fortuna mi ero preparato, leggendo abbondante materiale su Internet. Così, ho saputo spiegarmi al meglio. Lei era incredula, poi spaesata, alla fine tutti e due abbiamo pianto. Però mi ha detto: «Quando ti aspettavo, speravo saresti stato speciale. Adesso ne ho la conferma».
Oggi partecipa con me alle manifestazioni pro diritti civili (una volta vi abbiamo incontrato un parente: così abbiamo scoperto che anche lui è omosessuale), e coordina i genitori dell’Arcigay di Napoli. Insieme abbiamo deciso di aspettare qualche anno per parlarne a mio padre, che ha reagito abbastanza bene. Ed entrambi hanno accettato da subito il ragazzo con cui ora vivo.
Antonio: Un paio d’anni fa, la rivelazione: prima mia moglie mi ha accennato qualcosa, poi Nicola mi ha detto tutto. Un figlio è la continuazione di sé, si dà per scontato che abbia una linea esistenziale tracciata. Insomma: non mi ero mai posto il problema che potesse non essere etero.
Sul momento sono riuscito solo a dirgli: «Mi dispiace per te», perché temevo che venisse deriso, offeso, additato, anche se finora non è accaduto, anche perché Nicola è una persona perbene. Con il suo compagno ho un rapporto normale, come l’avevo con mia nuora, la moglie dell’altro mio figlio che ora purtroppo è mancata.
Però alle manifestazioni non vado. Non perché le disapprovi; solo perché sono sensibile, temo di commuovermi, e in più non godo di grande salute. Credo che certe situazioni vengano per aiutare a capire. L’omosessualità di mio figlio ha ampliato il mio campo visivo. Prima per me esistevano l’uomo e la donna, il bianco e il nero; ora so che ci sono infinite sfumature di grigio. Una realtà che dovrebbe essere insegnata a tutti.
Patrizia: Il pretesto è stata una trasmissione televisiva, in cui a un certo punto è apparsa una coppia di ragazzi. Io ho commentato: «Perché impedire loro di vivere come desiderano?».
Al che Nicola ha risposto: «Anch’io sono gay». Non avevo mai avuto sospetti. Da etero, pensavo che quella fosse la vita, e che non ce ne potesse essere una diversa. Dopo avere saputo la verità, ho sentito di dover conoscere quel mondo che, fino ad allora, avevo ignorato.
Per anni sono stata l’unica madre a frequentare l’Arcigay di Napoli. Poi, con il tempo, ho raccolto attorno a me altri genitori. Questa attività mi ha dato immense soddisfazioni: penso per esempio a una trans diciassettenne, che senza l’associazione si sarebbe trovata nel totale isolamento e nella disperazione.
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FAMIGLIA STORARI (Roma)
Silvia, 31 anni, calciatrice professionista e istruttrice di tennis.
Sergio, 61 anni, imprenditore.
Marusca, 60 anni, casalinga.
Silvia: Già a 8-9 anni ho capito di essere attratta dal mio stesso sesso, ma a quell’età volere un bene più intenso a un’amica è normale. Poi c’è chi cambia gusti e desideri, e chi no. A 14, mia madre è entrata in allarme captando una mia telefonata con un’amica più grande. Così mi ha chiesto: «Non è che ti piacciono le donne?». E io: «Ma no, mamma, sei matta? Figurati».
Nei due anni successivi ho spesso mentito, anche se con vergogna. Il mio coming out è stato a 16 anni. Un po’ perché il mio gemello, con cui ho sempre diviso tutto – gli amici, la stanza, la passione per il calcio – è andato a vivere fuori casa, e questa improvvisa solitudine mi ha spinto a cercare nuovi rapporti nell’ambiente che sentivo più mio.
Un po’ perché avevo appena iniziato una relazione con una donna di 30 anni che lavorava con mio padre. Ho detto ai miei che volevo vivere quell’amore, e magari andare a stare con la mia compagna.
All’inizio, mamma l’ha presa decisamente male. Ha scritto una lettera drammatica, che ci ha fatto temere per la sua incolumità. È una donna aperta, intelligente, però sognava di vedere sua figlia sull’altare. Con il tempo le cose si sono sistemate, al punto che oggi ha un ottimo rapporto con le mie ex: spesso le invita a cena anche se io non ci sono.
A questo risultato siamo arrivate parlando, lei facendo domande e io rispondendo. Non ho mai smesso di cercarla, per un consiglio o un abbraccio. Mio padre è più del genere vivi e lascia vivere: a lui basta che io stia bene.
Sergio: Anche prima che Silvia ci dicesse la verità avevo intuito, dalle telefonate che faceva e riceveva, che era attratta dalle donne. Ma ho sempre evitato le domande. Però parlavo dell’argomento con mia moglie
Marusca: io sostenevo la mia tesi, lei la rifiutava. Silvia aveva 16 anni, e una donna più grande, M., l’ha fermata a un semaforo: le ha fatto i complimenti per la sua bellezza, e le ha offerto una collaborazione. Quando mia figlia me l’ha raccontato ho deciso di chiamare questa persona, per vederci più chiaro.
Risultato: abbiamo iniziato a lavorare assieme. Il tempo passava e Silvia e M. si frequentavano, in apparenza da amiche. Finché un giorno ho ricevuto una telefonata da una compagna di squadra di mia figlia: mi ha detto che M. le stava facendo il lavaggio del cervello perché andasse a vivere con lei. Immediatamente le ho raggiunte. E mi son trovato in auto con M. e Silvia, che mi ha detto: «Sono omosessuale». Io risposto: «Non mi interessa, voglio solo che tu sia felice».
In realtà ero piuttosto sconvolto: non avevamo gay in famiglia, non mi ero mai trovato a contatto con quella realtà. Con il tempo, però, mi sono reso conto che la vita e i sentimenti di mia figlia erano del tutto normali. Per mia moglie è stata più dura: è rimasta davvero traumatizzata. Una volta mi ha detto: «Se a essere gay fosse stato Marco – l’altro nostro figlio – avresti reagito come me».
A proposito di Marco, che è un calciatore professionista di una certa fama: una volta tutta la famiglia è andata a vederlo giocare. Come sempre, i tifosi della squadra avversaria non si sono risparmiati.
Finita la partita, Silvia ha cominciato a prendere in giro mia moglie ripetendo uno dei cori da stadio: «La mamma di Storari è un puttanon…». Marusca non si è scomposta, e ha intonato sorridendo: «E la sorella di Storari è un lesbicon…». Insomma, ormai la questione è chiusa, al punto da essere oggetto di umorismo. Del resto, quanti grandi personaggi della storia erano gay?
Marusca: È buffo, l’omosessualità di mia figlia è diventata, per me, così normale che ho difficoltà a ricordarmi come e quando me l’ha rivelata. Ricordo bene, però, di esserci rimasta malissimo. Non mi andava giù la convivenza, a soli 17 anni: prima avrei voluto che si diplomasse e trovasse una sua strada professionale, una sua indipendenza.
Senza contare che M. non mi piaceva, e avevo ragione. Non nascondo che, a prescindere da tutto, mi addolorava non avere più Silvia con me: già suo fratello si era allontanato giovanissimo da casa. Soprattutto, però, ero angosciata all’idea del mondo esterno, di una società che continua a essere ostile. Per fortuna, i miei timori si sono rivelati infondati.
Nessuno, che io sappia, ha mai criticato mia figlia, tranne una cugina: ha detto – ad altri, non a me e Sergio – che non capiva come permettessimo a Silvia di invitare le amiche nella casa di vacanza. Non mi importa: il giudizio degli altri vale quello che vale.