Caro Dio sono gay. Perché ci è vietato amare?
Testimonianza di David pubblicata su Sources mensile della Diocesi cattolica di Versailles (Francia), n°189, ottobre 2004, liberamente tradotta da Dino M.
Buongiorno! Mi presento: mi chiamo David, e tra le molte altre qualità, difetti e caratteristiche della mia personalità c’è che sono gay. Qualcuno allora affermerà che, salvo una mia conversione all’eterosessualità (sic!) o salvo che conduca una vita di gioiosa continenza, io sono condannato alle fiamme dell’inferno. Dopo varie peripezie, mi sembra che sulla mia vita sia soffiato un vento di libertà e che grazie ad esso io sia ritornato alle sorgenti di una fede viva che ogni giorno si costruisce facendo fronte alle avversità e alle difficoltà della vita, ma anche e soprattutto che si fa grande grazie ad una rinnovata fiducia in Dio. Prima mi sembrava di poter padroneggiare tutto, comprese le mie pulsioni più vili, ma oggi ho l’impressione che la mia debolezza e la mia insufficienza nel tendere alla perfezione a cui Dio ci chiama attraverso il suo Vangelo siano come marchiate a fuoco nella mia carne: peccatore, non lo sono forse ogni sera, quando vado a ricongiungermi con il mio Vincenzo? E quindi…
Sono talmente convinto che soltanto l’amore conti veramente che non ho la sensazione di far del male cercando di costruire una relazione sincera, fedele e casta con Vincenzo, casta nel senso che noi cerchiamo sempre di privilegiare il dialogo e di aprirci l’uno all’altro, smentendo così l’idea che tutte le relazioni omosessuali siano necessariamente un egoistico ripiegarsi su se stessi di ciascuno dei due partner … In questo consiste il problema del rapporto con la Chiesa: io penso di continuare ad amarla, ma a volte è così difficile… Per farvi capire vi faccio un esempio contrapponendo due diverse scene …
Prima scena: chiesa Sain-Sulpice… Entro e farfuglio, no, no, non vengo per confessarmi, ma per fare una domanda: E’ possibile conciliare vita cristiana e omosessualità? Risposta di compromesso… Sì, purché si mantenga una continenza assoluta! Nessuno è responsabile della sua condizione, è un dato di fatto che deve essere accettato. Ma si deve poi anche trarne delle conseguenze, e nel mio caso, sarebbe di non amare mai tranne che con la mente e con il cuore. Ecco qui. Imbarazzante silenzio da entrambe le parti. A questo punto mi chiedo quale esperienza avrei avuto con un prete più giovane.
Poi il confessore riprende: questa sarà la mia croce e riceverò molti meriti per averla portata, e d’altra parte ogni vita ha le sue difficoltà. Ultimo argomento a mia consolazione: alla mia età si fa ancora in tempo a cambiare!…
Seconda scena: Roma, confuso in mezzo ad una schiera di confessori e di pellegrini, con una calura asfissiante e con un sentimento di timore non meno opprimente, prego… aspetto, ed ho paura di porre fine a questa attesa. Alla fine mi decido.
Inizio con decisione: fino ad ora nella mia vita, Padre, io pensavo sempre di poter tirarmi fuori dal peccato, ma dentro di esso io ci vivo, ci ho messo le radici, e il peggio è che io non ho alcun rimorso.
Io con lui parlo di peccato, ma non ne sono affatto convinto, e oso sperare che mi dirà che questo non è un fatto poi così grave, come un medico lo direbbe ad un bambino che si è fatto una piccola ferita cadendo dalla bici. Gli confido che, nel mio procedere nel percorso del giubileo, io gli ho confessato i miei peccati, ma che ad ogni modo sono sicuro che lui non potrà darmi l’assoluzione, dato che io non mi rammarico delle mie azioni, che non le rinnego, e che, per dirla tutta, neanche penso seriamente che esse siano condannabili. Intanto cerco anche di spiegare che attualmente sto vivendo una relazione che considero costruttiva, che adesso godo di una stabilità affettiva prima sconosciuta e che, detto in tutta semplicità, sono felice. E aspetto il verdetto…
Il sacerdote inizia a sorridermi e mi racconta una storia: noi siamo tutti deboli e vigliacchi, ed è per questo che abbiamo bisogno di scale per procedere nella vita. Le parole della Chiesa sono queste scale. E mi ricorda anche che, forse, la Bibbia non dice tutto riguardo all’uomo, questo essere così complesso che non può essere racchiuso in un libro, neppure in una summa letteraria o teologica, e che è compito di ciascuno scegliersi il suo percorso di accostamento a Dio attraverso il Cristo e il suo aiuto. A questo punto faccio una domanda molto concreta, ho voglia di sapere: il fatto di vivere in modo completo la propria omosessualità e di costruire se stessi accettandola è un peccato?
A questo lui non ha una risposta già bell’e pronta, e riconosce che nel mio caso non lo è, a patto che io cerchi di vivere in modo cristiano la mia condizione, e che io cerchi Dio attraverso queste prove. E poi mi consiglia alcuni libri, e invoca lo Spirito Santo affinché esso mi guidi nella mia ricerca fiduciosa di Dio: E… e mi dà l’assoluzione! Quasi mi mettevo a piangere! Prima di allora non avevo mai percepito così tanto l’assoluta gratuità del perdono divino: la Chiesa mi perdona in nome di Cristo, e proprio per una situazione che essa stessa considera peccato!
In quel giorno, e per tutta la settimana successiva, sono stato pervaso da una felicità semplice e consolatrice. E sono stato di parola, mi sono documentato. In seguito ho letto il saggio del gesuita americano, il Padre John Mc Neill, che invita ad una revisione pastorale della questione. Personalmente ripongo una profonda speranza in questo libro: la sua lunga esperienza ha dimostrato all’autore che potevano esistere relazioni omosessuali ricche dal punto di vista affettivo e costruttive dal punto di vista spirituale.
Quello che ci si aspetta oggi è un riconoscimento, una pastorale che si adatti a questa specifica situazione:… che i pastori della Chiesa, sul territorio, assistano tutti coloro che si trovano in difficoltà e si allontanano da Cristo per aver ascoltato alcuni dei suoi testimoni insistere più sugli obblighi della vita cristiana che sulla salvezza, offerta a tutti gli uomini senza alcuna distinzione. … Oggi considero questa prova come una grande opportunità, quella di aver potuto riflettere sulle radici della mia vita spirituale. Che lo Spirito ci aiuti tutti a meditare sull’amore incondizionato di Dio, questo Padre che ci ripete con tenerezza: “il tuo operato, io lo odio, ma amo te”.
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Articolo originale:Quand le corps est signe qu’il ne faut pas aimer