Caro direttore perchè su Avvenire leggo così tanti attacchi alla legge Zan
Lettera aperta invita da Mario Caproni, presidente di A.Ge.D.O. Trentino, al direttore del quotidiano cattolico Avvenire
Egregio Direttore di ‘Avvenire’, dr. Marco Tarquinio, Le scrivo in merito all’articolo di Francesco Ognibene del 5 novembre 2020 dal titolo “Otto motivi per dire no alla cosiddetta legge Zan”.
Sono presidente di A.Ge.D.O. Trentino, una associazione laica di volontariato composta da genitori e familiari di persone omosessuali e transessuali, ho un figlio gay e sono un credente cattolico praticante. Le recenti parole di Papa Francesco sul diritto degli omosessuali ad avere una loro famiglia, e sul riconoscimento delle unioni civili, parole piene di amore e di misericordia, sono scese come un autentico sollievo per tante famiglie con figli e figlie omosessuali e transessuali, come la mia, segnate da tanta sofferenza per le parole quasi sempre dure usate finora da vescovi e sacerdoti con riferimento a queste persone.
Ebbene, leggere l’articolo di Ognibene ha provocato in me una grande amarezza, perché le sue argomentazioni non rispondono a verità e non rendono giustizia all’intento dei promotori della legge in questione, fra i quali mi annovero, unicamente teso alla difesa e al rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua origine di etnia e razza, la sua religione, l’abilità, il sesso, il genere, l’orientamento sessuale e la sua identità di genere.
Il primo motivo addotto da Ognibene nella sua contestazione riguarda l’introduzione della giornata, ogni 17 maggio, contro l’omo-transfobia e le iniziative di informazione e sensibilizzazione previste dalla legge nelle scuole e nei vari ambiti sociali. Vi vede un intento di colonialismo ideologico, il concretizzarsi dell’ideologia gender, una ridefinizione della natura umana, una manipolazione della mente dei bambini.
A questo proposito posso dirle, dr. Tarquinio, che i nostri figli e figlie, siano essi lesbiche, gay, trans, hanno compiuto, nella maggioranza dei casi, un lungo percorso, iniziato nell’infanzia, spesso nella più completa solitudine, di scoperta di sé, di lento e faticoso riconoscimento della propria identità sessuale, come parte integrante e importante dell’identità personale.
Dev’essere stato sofferto il riconoscere e l’accettare la propria diversità, essere delle mosche bianche, ma soprattutto il rendersi conto della loro invisibilità, perché la parola “omosessualità”, “omoaffettività” non era mai nominata, mai evocata, né a scuola, né in famiglia, né in chiesa. Perfette persone invisibili, inesistenti. L’identità personale è una costruzione che ogni bambino o bambina realizza in un contesto sociale e in un orizzonte di significati nei quali può riconoscersi, può rispecchiarsi. Ma come può avvenire questo processo di identificazione personale se nella scuola questa condizione umana non è neanche nominata, considerata degna di esistere e di essere rispettata?
Non si diventa omosessuali o trans per contagio, perché qualcuno te lo insegna a scuola. A scuola invece è doveroso informare ed educare alle differenze, alla sensibilità e al rispetto verso tutte le identità.
E questo perché l’omosessualità, la transessualità, non è una scelta, che si compie in base alla stagione, alla moda, a come ci si sveglia, ma è un modo di essere che si radica nella persona in modo stabile fin dalla sua infanzia; non è una malattia (l’OMS nel ’93 ha derubricato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali e l’ha definita una “variante naturale della sessualità umana”; non è una perversione (si pensi a quanta ignoranza e falsità c’è nella associazione fra omosessualità e pedofilia, quest’ultima si una perversione).
Venendo al secondo motivo di contestazione di Ognibene, che vede nella definizione su base scientifica di termini come sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere una “riscrittura della natura umana per legge” ritengo invece molto importante questa precisazione terminologica riconosciuta ormai unanimemente a livello mondiale dagli studi scientifici e dalle principali associazioni internazionali dei medici, psicologi, studiosi di scienze sociali.
Molta infatti è la confusione nell’opinione pubblica, l’ignoranza scientifica su questi argomenti, il prevalere dei luoghi comuni, il fare di ogni erba un fascio. In questo non vedo alcun intento di colonizzazione ideologica, ma solo una ricerca di rigore scientifico, di dare un nome alle cose, nel rispetto della dignità e della unicità di ogni essere umano.
Altra contestazione è quella secondo cui la legge limiterebbe la libertà di opinione. Su questo punto vi è stata in parlamento una lunga discussione e la mediazione trovata salvaguarda ampiamente questa libertà come si evince dall’art. 4 “….sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purchè non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Il sesto motivo addotto da Ognibene contesta la definizione di sesso, dove all’art. 1 si afferma che esso può essere biologico o anagrafico, quindi anche senza transizione mediante trattamenti ormonali e/o chirurgici. La mia esperienza decennale in gruppi d’incontro con genitori mi ha portato a conoscere le situazioni di transessualità come modi di essere e di sentire profondi e duraturi, che si instaurano nella persona fin dai primi anni di età, che non han niente a che vedere con la scelta, o la moda, o il capriccio, ma piuttosto con la ricerca lunga e sofferta di aderire, e non sono passeggiate, a ciò che si sente nel profondo del proprio essere. Si tratta anche qui di crescere come persone empatiche, capaci di mettersi nella pelle dell’altro senza giudicare.
Il settimo motivo di contestazione introdotto da Ognibene riguarda il fatto che gli episodi di omotransfobia in Italia secondo i dati ufficiali sarebbero esigui e quindi tali da non giustificare una nuova legge che rimetta mano al codice penale.
Sono motivi a mio parere pretestuosi perché non tengono conto di una cultura diffusa di discriminazioni, di chiusure, di violenze e offese spesso non denunciate nei confronti di omosessuali e transessuali.
L’articolo di Ognibene termina considerando che ben altre sarebbero le priorità che il Parlamento deve affrontare in questo frangente. Ogni volta che si affronta a livello legislativo il tema dei diritti civili, come nel caso della legge in oggetto attesa da trent’anni, c’è sempre qualche benaltrista di turno.
In ultimo vorrei fare una considerazione generale come credente che fa parte integrante della chiesa cattolica italiana. Prima ancora che parlare di dottrina e lanciare giudizi severi, la chiesa italiana dovrebbe, a mio modesto parere, chiedere perdono agli omosessuali e ai trans per averli giudicati severamente, tenuti ai margini, fatti sentire persone nate sbagliate, persone rese invisibili, mai nominate, mai veramente accolte e amate in seno alla chiesa.