Caro Papa 50 anni fa nasceva la Comunità cristiana di base di San Paolo di Roma
Lettera aperta a papa Francesco da La Comunità cristiana di base di San Paolo (Roma) del 16 settembre 2023
Caro papa Francesco, con grande gioia Ti informiamo di un evento che si svolgerà a Roma, organizzato dalla nostra comunità, nata più di 50 anni fa nella Basilica di S. Paolo a Roma, intorno all’allora Abate Giovanni Franzoni.
Quest’anno ricorre il 50^ anniversario dalla pubblicazione della sua lettera pastorale, “La terra è di Dio”, e dalla nostra uscita dalla basilica. Lo celebreremo nella giornata del 30 settembre p.v.
La vicenda di Giovanni Franzoni la conosci. Cogliamo questa occasione per raccontarti un po’ anche di noi e della nostra storia – ma la nostra storia è intrinsecamente legata alla sua – che va avanti a sei anni di distanza dalla morte di Giovanni: come solo i grandi maestri sanno fare ci ha insegnato a proseguire senza di lui.
Da lui abbiamo imparato il valore dell’accoglienza senza condizioni, si è adoperato per accogliere nella Chiesa “tutti, tutti, tutti”, per usare le Tue parole, anche coloro sulle cui teste pendeva e pende la scomunica per le loro posizioni politiche.
Aveva 85 anni quando, nel 2013, sei stato eletto papa e non vi siete mai incontrati. Non sappiamo cosa vi sareste detti, ma nei suoi occhi ormai spenti di non vedente avresti potuto scorgere la scintilla della sua profezia.
Costretto alle dimissioni da Abate nel 1973, insieme a lui abbiamo lasciato la basilica e continuato il nostro cammino nei locali di v. Ostiense 152/b di proprietà dell’abbazia.
In quei locali c’è tutta la nostra storia. Lì molti di noi si sono sposati, i nostri bambini sono stati battezzati e hanno fatto la prima comunione.
Lì abbiamo imparato a leggere la Bibbia ed a calarla nel nostro tempo e nelle nostre vite. All’inizio ci aiutava Giuseppe Barbaglio nel gruppo biblico, frequentato anche dall’allora giovane seminarista Arturo Sosa.
Molti profughi politici hanno trovato accoglienza tra quelle mura. Tante esperienze che ci hanno arricchito. Le feste, gli incontri con i Rom, con gli omosessuali, quando le porte delle parrocchie per loro erano chiuse, le celebrazioni in cui abbiamo salutato i fratelli e le sorelle che ci hanno lasciato.
Quel 29 giugno di tanti anni fa quando abbiamo accolto in quel salone la processione guidata dall’Abate Nardin – coraggioso a venire lì con una processione tradizionale.
La visita di Mons. Clemente Riva, vescovo ausiliare di Roma-sud, che ci ha riconosciuto come realtà ecclesiale della sua diocesi, e più recentemente quelle del Card. Paolo Lojudice e di Mons. Dario Gervasi.
Il coinvolgimento anche emotivo che abbiamo colto nel volto del Card. Arrigo Miglio quando, da Visitatore Apostolico, è venuto nella nostra sede: avevamo chiesto aiuto a lui e al Card. Matteo Zuppi perché nel periodo di pandemia non riuscivamo più a pagare l’affitto.
Quel saluto speciale per Franca, una sorella ebrea che frequentava la nostra comunità, in una celebrazione insieme al rabbino Di Segni. Le domeniche con gli afghani fuggiti dalla guerra, che cucinavano i loro cibi, ascoltavano la loro musica e ballavano: Pashtun e Azara insieme.
La scuola di italiano per stranieri richiedenti asilo. L’accoglienza dei senzatetto durante la pandemia, in collaborazione con Sant’Egidio. La distribuzione dei pacchi di viveri ai poveri, insieme agli scout.
Quella notte di sei anni fa in cui abbiamo vegliato Giovanni per tutta la notte, l’Abate Roberto Dotta e due monaci che hanno cantato per lui un canto gregoriano e la mattina dopo che lo abbiamo accompagnato fuori, la bara portata sulle spalle dai ragazzi, cantando We shall overcome, mentre le campane della basilica suonavano a morto.
Quelle mura raccontano una storia di libertà, fatta di difficoltà, momenti felici, inciampi, incoerenze, in cui abbiamo provato ad annunciare la Buona Novella di Gesù agli esclusi e ai calpestati e a vivere il rischio della fede. La storia di un pezzo di Chiesa marginale, cresciuta insieme a quel cattolico marginale che è stato Giovanni Franzoni.
Se qualche volta, andando nella Basilica di S. Paolo, vorrai percorrere qualche metro in più per venirci a trovare saremo felici di accoglierti nella nostra sede, che in tutti questi anni, mentre arrivava la movida e crescevano le iniziative commerciali intorno a noi, ha resistito ad ogni logica di mercificazione, per rimanere la casa di tutti, a partire dai più emarginati dalla società e dalla Chiesa.
Casa di tutti e tutte o, per usare le parole di Giovanni nella sua lettera pastorale, “terra di Dio”.
Con affetto e stima
La Comunità cristiana di base di San Paolo