Una casa divisa. Quando l’ipocrisia della nostra chiesa rischia di ucciderci
Riflessioni del Rev. Paul M. Turner pubblicate sulla rivista Whosoever (USA), Vol.3, n.2, Settembre/ottobre 1998, libera traduzione di Laura Checconi
Come molti di voi che leggono questa webzine regolarmente sanno che la mia voce mancava da diverso tempo. Vuol dire forse che ho esaurito le cose da dire o da scrivere? Per nulla! In ogni caso, quello contro cui sto combattendo negli ultimi mesi mi fa paura, oltre ad essere difficile da spiegare con parole che abbiano senso.
Poi sono successe due cose. Ho letto un paio di articoli che mi hanno aiutato a dare forma alla mia visione piuttosto difficile da spiegare. Il primo è un sermone del pastore L. Bruce Miller della Chiesa Unita di Cristo di Alberta, in Canada. Il sermone parla della decisione della Corte Suprema del Canada di includere le parole “orientamento sessuale” nella parte della costituzione dedicata ai diritti umani.
Miller paragona tale decisione alla resurrezione di Cristo. Secondo lui la comunità LGBT è spiritualmente morta. Non a causa delle nostre colpe, ma piuttosto perché la “chiesa cristiana” la sta uccidendo. Il suo metodo è quello di ucciderci con la sua letargia e apatia, tollerando e perpetuando istituzioni e percorsi di morte anziché di vita.
Nell’articolo si afferma anche che la resurrezione riguarda la trasformazione. “Una trasformazione dalla morte alla vita, dall’alienazione spirituale al proprio compimento e alla vera connessione con gli altri”. Miller fa poi diversi esempi di trasformazione della vita, compresa la decisione della corte suprema. Leggendo l’articolo mi sono trovato a dire: “sì! È proprio questo. La nostra comunità sta subendo una morte lenta, secondo una condanna a morte deliberatamente pianificata e ben portata a termine”.
Il Reverendo Miller porta l’esempio seguente del messaggio della “chiesa cristiana” nei confronti dei suoi fratelli e sorelle omosessuali. Dovremmo ascoltare i figli, leggendo questa pagina del diario del giovane Bobby Griffith il 19 febbraio 1992:
“Perché mi hai fatto questo, Dio? Andrò all’inferno? Questa è la domanda terribile che mi tortura continuamente. Ti prego, non mandarmi all’inferno.Non sono davvero così cattivo, vero? La vita è così crudele e ingiusta!”
Nella sua disperazione, poi Bobby si è ucciso. È solo attraverso l’ascolto che possiamo arrivare a vedere l’altro in quanto persona reale fatta a immagine di Dio, amata da Dio, degna e capace di amore e compassione come ognuno di noi.
Sono terrorizzato perché questo sta succedendo proprio davanti alla nostra comunità e siamo troppo impegnati in altre cose per riuscire a vederlo. In quanto comunità, noi ci siamo focalizzati sull’essere accettabili e rispettabili. Chiamare omicidio quello che sta facendo la “chiesa cristiana” è troppo poco.
Genocidio sarebbe un termine molto più adatto. Sono terrorizzato perché stiamo provando a tenerci per mano con la stessa istituzione che sta perpetuando tale genocidio.
A questo punto potreste dire: “In che modo stiamo facendo questo?” Lo stiamo facendo perché proviamo a integrarci e a essere parte della chiesa invece di parlare chiaro e reclamare il posto che ci spetta di diritto nella creazione di Dio.
Mentre la “chiesa cristiana” ci dice che siamo amati… dice ai nostri giovani LGBT che sono un abominio. I nostri giovani sentono questo messaggio, perché noi non lo sentiamo?
La seconda cosa che mi ha colpito è un articolo scritto di Rembert Truluck dal titolo “Il genocidio è omicidio”. In questo articolo, Truluck dice che “recentemente c’è stata una svolta nella guerra dei religiosi omofobi contro di noi. Ci accusano di attaccare i cristiani quando facciamo notare gli effetti negativi dell’uso violento e oppressivo della Bibbia e della religione contro gli omosessuali. Le e-mail che mi arrivano dal mio sito web hanno reso abbondanemente chiaro che la ragione principale per cui le persone gay e lesbiche hanno desideri suicidi è a causa degli insegnamenti religiosi contorti e degradanti che hanno rivoltato le persone omosessuali contro loro stesse”.
Nella mia chiesa precedente sono nati dei problemi perché i responsabili non volevano più essere considerati parte di una chiesa gay. Hanno pensato che fossi troppo politico. Non volevano più sentire le parole gay, lesbica o transgender dal pulpito. Il messaggio era chiaro, espresso da affermazioni del tipo:
“Sono gay da 40 anni e non ho mai avuto problemi”
“Le unioni e il matrimonio non sono la stessea cosa, non possiamo sposarci in ogni caso”
“Le questioni razziali e l’accettazione dell’omosessualità non sono sullo stesso piano”
“Le persone affette da AIDS non dovrebbero essere state così promiscue”
“La chiesa non ha nessun ruolo nel governo o nella politica”
“Non possiamo vincere la battaglia spirituale, quindi concentriamoci su qualcosa che la maggioranza degli americani sostiene – l’occupazione”
“Sono quasi morto sulla mia panca quando hai detto che la chiesa cristiana era il nostro nemico”.
Amici, stiamo comprando questa materia fecale sperando che sia una rosa. Noi in quanto comunità facciamo queste affermazioni perché, come a Bobby Griffith, viene insegnato sistematicamente che siamo malvagi, che abbiamo scelto di essere omosessuali e che siamo depravati.
Nel nostro essere più profondo ci chiediamo: “Andrò all’inferno?” Essendo diversi dalla maggioranza, abbiamo paura di andare all’inferno. Così facciamo tutto quello che possiamo per dimostrare di non essere diversi. Compriamo lo slogan “Vince chi muore con più giocattoli”.
Lasciamo che l’azione positiva sia messa ai margini perché è discriminazione razziale anziché uguaglianza di opportunità. Diciamo alla gente che cosa è moralmente corretto in base all’interpretazione delle scritture da parte della “chiesa cristiana”. La stessa chiesa, a proposito, che dice che siamo un abominio agli occhi del Signore. La stessa chiesa che ha supportato la schiavitù. La stessa chiesa che ha detto ai nativi americani che erano selvaggi. La stessa chiesa che dice che le donne devono essere sottomesse agli uomini.
La stessa chiesa che dice di essere pro-vita e che volontariamente permette di spegnere la vita di un’altra persona per mezzo di un’iniezione letale. La stessa chiesa che dice che le donne non hanno posto sul pulpito. La stessa chiesa che percorre il mare e la terra per fare un solo proselite, ottenutolo, lo rende figlio della Geenna il doppio di lei (Matteo 23:15).
Dobbiamo smettere di ingannare noi stessi. Non si tratta di una guerra politica, è una guerra dell’anima. Dobbiamo cominciare a parlare della verità dell’amore di Dio nei confronti di tutte le persone. Dobbiamo parlare di questa verità come una creazione di Dio completa, anziché qualche amore bizzarro che non ha il coraggio di parlare a suo nome.
Viviamo in un paese in cui la morale, l’etica e la spiritualità passano in secondo piano rispetto all’economia e la sicurezza fisica. Invece di celebrare i nostri doni al mondo perché siamo gay, lesbiche, bi- o transgender, siamo contenti di non venire licenziati, di ricevere i soldi dell’assicurazione o di vivere tranquillamente nelle periferie. Non parliamo più della nostra storia, dei nostri eroi.
Non facciamo notare che nelle aree urbane degradate è spesso la nostra comunità creativa e piena di talento a riportare la vita. Non parliamo abbastanza di come nel periodo in cui abbiamo perso così tanti dei nostri giovani abbiamo insegnato al mondo a morire con dignità e ad amare la vita fino in fondo. Non attacchiamo e confutiamo le bugie spudorate e la paura dei bigotti religiosi. Invece, stiamo seduti tranquillamente nella comodità delle nostre case mentre i Bobby Griffith del mondo continuano a morire, ad essere picchiati a morte, la loro voce viene soffocata fino a farli ricorrere all’alcol e alle droghe.
Temo che la nostra comunità sia diventata troppo comoda per ricordare le parole sacre che dicono: “che cos’è che Dio chiede a noi? Che pratichiamo la giustizia, che ci comportiamo con misericordia e camminiamo umilmente con Dio”. Per amare Dio bisogna essere giusti. Essere cristiani nel senso spirituale vuol dire essere giusti.
Chiedo a tutti i lettori oggi di considerare la stessa domanda che Gesù ha fatto così tanto tempo fa: “Che profitto trae uno se guadagna tutto il mondo ma perde la sua anima?”. La mia paura è che se continuiamo a percorrere il nostro sentiero attuale potremo guadagnare il mondo intero ma avremo perso le nostre anime.
* Il rev. Paul Turner è pastore della Gentle Spirit Community Church ad Atlanta, Georgia.
Testo originale: A House Divided