Castità forzata o onesta libertà? Io mi astengo dall’astinenza
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Nella Chiesa cattolica, appena si apre un dibattito serio sui temi dell’omosessualità, salta fuori il tizio particolarmente devoto che richiama al dovere della castità. Naturalmente non pensa nemmeno per un attimo che il termine “casto“, significa semplicemente “pulito“, puro, retto, privo di colpa. Non lo sfiora l’idea che questi sentimenti siano perfettamente compatibili con l’esercizio della sessualità e in particolare di una sessualità consapevole. Non dubita che, riducendo la castità al banale livello di astinenza, sta affermando che il sesso sia sempre e solo una cosa zozza.
Il nostro simpatico interlocutore si attacca semplicemente al Catechismo. Vede che per gli omosessuali è prevista la castità e stop. Tanto gli basta per condannare qualche milione di persone che non ci stanno. E le altre? C’è qualche articolo da cui si evince che gli eterosessuali sono esortati a vivere nella lordura?
Nella risposta a una lettera di questo genere pubblicata su L’Avvenire, Luciano Moia accetta la sfida e ribatte su più livelli.
“Se la spinta omoerotica non è il risultato di una scelta ma la precede, come valutare la responsabilità morale della persona in rapporto alla sua situazione concreta e alla difficoltà di misurare la qualità umana di questa relazione?”.
Per estremizzare: se Dio stesso, attraverso la natura, mi ha creato sessuato e omosessuale, chi può arrogarsi il diritto di sottrarmi i doni che Lui mi ha dato?
“La richiesta dell’astensione totale e permanente dai rapporti sessuali” è “così impegnativa che lo stesso Catechismo indica agli omosessuali come esempio la sequela di Cristo, cioè l’unione alla croce del Signore”.
Ovvero: la Chiesa sa che ci sta mettendo in croce e non trova niente di meglio che ricordarci che ci è stato anche Gesù. Moia dice giustamente che è un traguardo che nessuno può considerare in modo banale. Io, che non ho niente da perdere, non credo di esagerare se affermo che è un comando tanto retorico quanto campato per aria.
A me pare
che gli estensori del Catechismo, nell’istituire il paragone tra castità e “unione alla croce di Cristo”, abbiano dimenticato un tratto essenziale dell’esperienza di Gesù: la piena libertà delle sue scelte. In particolare, la croce non è un finale che si abbatte sul Figlio di Dio come una calamità. E’ il frutto di una condotta di vita che, nella sua libera coerenza, va oltre la legge umana. E’ la conseguenza di una scelta. Nessuno ha imposto a Gesù di proseguire nella sua linea fino alla morte. Chi ha voluto la Sua costanza fino in fondo, è stato solo Lui.
Come mai allora, gli autori dell’art. 2359, cercarono di nobilitare un’imposizione così pesante come quella sulla castità forzata, infiorettandola con un paragone che c’entra così poco? Non si rendevano conto che la superficialità della loro soluzione avrebbe prima o poi fatto dubitare che non fosse affatto fondata sul Vangelo?
“I farisei e gli scribi legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,4). “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci (Mt 23,13).
Questo, se vogliamo fermarci alle Scritture; se ci limitiamo alla teoria. Ma non basta perché poi c’è la vita. C’è la valanga di dolore che le ricette tradizionali continuano a generare. E c’è l’umiliazione di chi cerca, poverino, di essere obbediente.
Ricordo una discussione con un amico che sosteneva con orgoglio di seguire le indicazioni di Santa Madre Chiesa. Aggiungeva: “magari ogni tanto cado ma poi mi rialzo“.
Gli risposi così:
Caro amico. Non credo che il tuo “ogni tanto cado” voglia dire che talvolta incontri per strada un ragazzo avvenente, gli fai l’occhiolino, lui ci sta e trallallero. Il tuo “cadere” significa che ci pensi un po’, prepari la borsa, prendi il pullman e vai in sauna. Lì paghi un ingresso e un abbonamento annuale, entri, ti accomodi eccetera. Questo non è “cadere”. La “caduta” è un atto improvviso e involontario. Il tuo, invece, è un autentico progetto. Non mi permetto di dare giudizi morali sul tuo progetto ma, dal tuo punto di vista, mi pare proprio che possa essere definito peccato. Perché riduce la bellezza del sesso a un bene di consumo.
Ecco. Con la teoria del cadere e rialzarsi, del peccare e pentirsi, i tradizionalisti propongono questo: programmare il peccato e il suo ripetersi. Niente di più. Il che, in termini psicologici, significa alimentare un costante senso di frustrazione e costringersi a conviverci.
Gesù non vuole la frustrazione degli uomini: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. […] Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Gv 15,9-11)
Se, alla luce delle nostre vite concrete, appare tanta contraddizione tra la dottrina e la verità del Vangelo, è facile che sia la dottrina, a dover essere rivista.