Cerchiamo di comprendere le parole di papa Francesco sui sacerdoti gay
Articolo di Kevin Clarke* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 5 dicembre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In un nuovo libro-intervista scritto con un sacerdote spagnolo papa Francesco afferma che l’omosessualità nell’ambiente clericale lo preoccupa molto e che si tratta di una questione “molto seria”; dice che se i sacerdoti gay non sono in grado di tenere fede alla promessa di celibato farebbero meglio ad abbandonare il sacerdozio piuttosto che vivere una “doppia vita”, mette in guardia dai seminaristi la cui omosessualità è “profondamente radicata” e, secondo lui, la diversa percezione sociale dell’omosessualità (che andrebbe “di moda”) è penetrata anche nella cultura cattolica.
I commenti del Papa hanno provocato costernazione in chi prima lo ammirava, per paura che abbia fatto un passo indietro rispetto al diverso approccio pastorale nei confronti delle persone LGBT cattoliche, che è il suo marchio di fabbrica, ed ha soddisfatto chi di solito lo critica perché il suo costante richiamo alla misericordia rischia di spezzare la dottrina cattolica. Altri sono semplicemente perplessi di fronte a quest’ultima controversia: quello che parla del libro è lo stesso uomo che nel 2013 si chiedeva “Ma chi sono io per giudicare?”?
Molti cattolici e commentatori si sono chiesti sui social media: se i sacerdoti omosessuali che tradiscono il celibato dovrebbero lasciare la tonaca, cosa dire dei sacerdoti eterosessuali che fanno lo stesso? Abbiamo intervistato via email padre James Martin SJ, redattore di America: “Non è la prima volta che il Pontefice viene frainteso, e un pugno di titoli di giornale ha dato un’impressione erronea. Rimane però il fatto che i commenti di Francesco ingenerano una certa confusione. Prima parla dei sacerdoti gay che hanno ‘espressioni di affetto’, ovvero che sono sessualmente attivi: cosa che ovviamente condanna. Dice che non dovrebbero essere accettati nei seminari e negli ordini religiosi, poi però afferma che i sacerdoti gay dovrebbero essere ‘perfettamente responsabili’, lasciando intendere che sono accettati se rispettano il celibato… Ho la sensazione che stia semplicemente ricordando loro la promessa di celibato, che hanno in comune con tutti gli altri sacerdoti”.
L’opinione del Papa, secondo cui l’omosessualità sarebbe divenuta “di moda” nella cultura occidentale contemporanea, causa spavento e dolore in molti: “Non posso parlare a nome del Papa, ma presumo intendesse dire che essa è sempre più visibile nella vita pubblica. Ma se invece voleva dire che si è omosessuali perché è ‘di moda’, allora non è solo sbagliato, ma offensivo, perché diffonde l’idea che le persone omosessuali ‘scelgono’ il loro orientamento, il che vorrebbe dire andare contro non solo a ogni psichiatra rispettabile, ma anche all’esperienza di vita delle persone LGBT” dice padre Martin.
Ma il Papa si è davvero allontanato da ciò che la Chiesa ha già affermato riguardo i seminaristi e sacerdoti gay? “Non proprio, ma è importante che leggiamo i suoi commenti nel contesto delle sue precedenti osservazioni sul tema: la sua frase più famosa, ‘Ma chi sono io per giudicare?’, era una risposta a una domanda sui sacerdoti gay; più di recente, Francesco ha detto al suo amico Juan Carlos Cruz, un gay che in passato è stato vittima di abusi, ‘Dio ti ha fatto così’”.
Secondo lo psicologo Thomas Plante, che insegna psicologia all’Università di Santa Clara in California, la fonte di queste nuove esternazioni del Papa sono da rintracciare nell’Istruzione vaticana del 2005 sull’ammissione delle “persone con tendenze omosessuali” al sacerdozio, un documento che propone la medesima distinzione che Francesco ha delineato in breve nell’intervista con il clarettiano Fernando Prado: se è accettabile ammettere nei seminari uomini che hanno sperimentato una “transitoria” attrazione omosessuale, i candidati con questa “tendenza radicata” dovrebbero essere dissuasi, anche se con rispetto e sensibilità.
Il problema è che tale distinzione non regge alla luce delle moderne conoscenze della psicologia: “A volte la nostra Chiesa si curva sotto il peso di documenti come questo. Penso che quei tizi con il collarino e il berretto rosso che scrivono questi documenti dovrebbero farsi aiutare da professionisti nel campo” dice il dottor Plante, aggiungendo che il linguaggio dell’Istruzione non riflette “le nostre conoscenze sulla sessualità umana, sull’omosessualità e su come esse funzionano”.
Il dottor Plante ha esaminato migliaia di aspiranti sacerdoti e ha praticamente rinunciato, lui e i direttori di seminario con cui ha lavorato, a operare la distinzione su cui apparentemente insiste il Vaticano: “Il punto critico della questione è che l’orientamento sessuale, dal punto di vista psicologico e del possibile rischio di abusi, è irrilevante: importante è come la persona gestisce i suoi impulsi e i suoi desideri, che sia etero o omosessuale: questo è il punto”. Quando il Papa parla a braccio su un tema emotivamente tanto carico, c’è il rischio che “i sacerdoti omosessuali diventino capri espiatori per il semplice fatto di essere gay, non per ciò che fanno con il loro orientamento […] per quello che sono, non per quello che fanno, e questo è un problema enorme”.
Il dottor Plante si chiede perché il Papa e i vescovi non si rivolgono più spesso a professionisti della psicologia e della sessualità umana prima di emettere opinioni su questo tema: “Qui c’è bisogno di chiarezza, perché è un tema caldo”, attorno al quale “c’è troppa emotività, troppa rabbia, troppa ostilità. Bisogna fare un respiro profondo e comunicare in maniera molto chiara, perché quando non si è davvero chiari la gente proietterà le proprie narrazioni [in ciò che si dice]” e c’è anche il rischio che alcuni usino le imprecisioni del Papa come “armi” per colpire i sacerdoti gay.
Padre Martin concorda sul fatto che usare un “linguaggio impreciso” o fare commenti che “sembrano contraddirsi” può confondere i fedeli “e anche demoralizzarli, in alcuni casi”: “[Sono commenti che] tendono a essere usati da partiti opposti e creare ulteriori divisioni nella Chiesa. Tutti noi parliamo a braccio, ma quando lo fa il Papa c’è un rischio maggiore di causare danni”.
Thomas Plante non crede, come suggeriscono alcuni titoli di giornale, che Francesco o la Santa Sede vogliano espellere i gay dal sacerdozio: “Vediamo cosa succederebbe se avessimo davvero un’Inquisizione che espellesse tutti i sacerdoti gay”; secondo Plante, questo vorrebbe dire una riduzione “da un terzo a metà” del numero di preti, la rimozione e l’umiliazione “di gente che non ha fatto nulla di sbagliato e che sa gestire i suoi impulsi, cosa che deve fare anche chi è sposato, chi è single e i preti eterosessuali. Amo papa Francesco, ma non lavora nel campo della salute mentale. Perché non parla con dei professionisti…? Ci sono molti cattolici impegnati nella Chiesa che vogliono aiutare e saperne di più in proposito. Vi vogliamo aiutare, abbiamo buone intenzioni e vogliamo aiutare la Chiesa. Se il Vaticano avesse un tetto che perde acqua, chiamereste davvero un tizio con collarino, berretto rosso e scala a pioli a ripararlo?”.
* Kevin Clarke è capo corrispondente del settimanale America e autore di un libro su san Óscar Romero.
Testo originale: Understanding Pope Francis’ controversial remarks on homosexuality in the priesthood