Che senso ha pregare insieme per le vittime dell’omofobia?
Riflessione del pastore valdese Gregorio Plescan
Mi è stato domandato di scrivere qualche riga per Gionata.org sul senso che può avere una veglia di preghiera.
Quello della preghiera è un tema decisamente non facile da affrontare e, paradossalmente, accostarlo a una veglia di preghiera contro l’omofobia può rendere la cosa ancor meno semplice.
Infatti spesso pensiamo alla preghiera come a un evento “magico”, che cambia le cose oltre la nostra comprensione e logica. E il fatto che tutti siamo figli e figlie della modernità, illuministi, sanamente scettici ecc., non evita il problema, ma si limita ad articolarlo in termini diversi.
Ammettiamolo: quando parliamo di “preghiera” generalmente abbiamo in mente una serie di sogni, auspici, speranze che non riusciamo ad affrontare altrimenti. “Signore ti prego che… ci sia la pace nel mondo… che i bambini e le bambine non muoiano di fame… che le persone non siano giudicate e discriminate a partire dal loro orientamento sessuale… “.
Nei fatti sappiamo che le guerre nel mondo effettivamente ci sono, come i bambini e le bambine effettivamente muoiono di fame, come i giudizi e le discriminate a partire dagli orientamento sessuale. Ma vorremmo tanto che così non fosse.
Allora il rischio è duplice: da un lato di prepararsi a una frustrazione enorme, facendo appello a un orecchio che non ci sente; dall’altro quello di illudersi che il mondo non sia quel che realmente è, cercare negl’interstizi della storia delle sfumature positive che non balzano all’occhio.In entrambi i casi, una sensazione un po’ alienante: quando tutte le risposte “normali” sono finite, non ci resta che pregare…
Penso invece che vi sia uno spazio legittimo per la preghiera che è consapevole delle brutture del mondo, eppure non se ne rassegnata, né la nega. La preghiera cambia chi la “fa”, e forse per questo non è facile pregare: perché non è mai facile essere messi in discussione.
Pregare avendo in mente i problemi – pensiamo all’omofobia – ci costringe a metterci nei panni di chi subisce; ammettere che forse anche noi siamo stati responsabili di atti discriminatori, che abbiamo assistito ad eventi in cui qualcuno ha sofferto e noi, come il levita e il sacerdote della parabola del buon Samaritano, siamo passati oltre…
Pregare per qualcuno e con qualcuno significa accettare che lui o lei ci faccia parte delle sue preoccupazioni (a volte francamente pesanti e noiose) e accettare a nostra volta di far parte di altri delle nostre preoccupazioni – che possono essere altrettanto noiose, banali – oppure che difendiamo gelosamente dalla curiosità degli altri.
Capiamo allora perché pregare può essere difficile: perché ci richiede di inserirle in un mondo più vasto, dove ci sono io ma ci sei anche tu, dove il centro di tutto possono non essere le nostre esclusive preoccupazioni, una volta tanto.
Non so se questa veglia avrà “successo” – a pensarci bene non saprei nemmeno come capire come potrebbe averlo, come “quantificare” il risultato.
Eppure sarà un banco di prova importante, perché in chiesa il tema dell’omosessualità e dell’omofobia non si tratta né sovente, né volentieri, perché qualcuno parteciperà con convinzione, altri per “forza d’inerzia”.
Però per qualcuno certo sarà un passo importante, un “coming out” dell’anima: un modo per riconoscere che agli occhi di Dio non ci sono preoccupazioni “indicibili”, troppo “vergognose” per meritare una preghiera – piuttosto che queste preoccupazioni, visto che sono “tue”, meritano di diventare anche “mie”, così come la fede si nutre della speranza che le mie diventino importanti anche per te.