Chi ha paura del Dio queer?
Articolo di Elza Ferrario pubblicato su Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi, del 23 marzo 2018
L’incontro promosso dal Centro culturale protestante di Milano per sabato 10 marzo – «Ancora protagoniste. Nuove strade per il lavoro comune delle donne» – è uno di quelli che non ti aspetti: arrivi per confrontare altri punti di vista, e quando esci ti accorgi di avere cambiato il tuo. Dopo il bell’incontro dell’anno scorso, «Protagoniste della Riforma», quest’anno protagoniste sono state due prospettive – cisfemminismo e transfemminismo – che non fanno parte del vocabolario corrente, men che meno delle chiese.
Mauro Muscio, giovanissimo titolare della libreria Antigone, che ci tiene a definirsi «frocio», anzi «frocia», per rimarcare quanto lo stigma sociale ancora pesi su chi non voglia inquadrarsi dentro un immaginario che anche per la comunità gay risente del modello dominante (bianco-monogamo-dal fisico corrispondente all’estetica classica), ha mostrato come da vent’anni le teorie queer abbiano cambiato il femminismo egemone, quello della differenza, che fa capo a Luisa Muraro.
Il termine queer, che in inglese è il contrario di straight, «diritto», viene usato in maniera offensiva per le e gli omosessuali, ma in realtà nasconde la grande potenzialità di uno sguardo diverso, uno sguardo che vada oltre, come suggerisce il transfemminismo, a volte accusato di negare la differenza biologica: nient’affatto, il punto di partenza resta quello, ma la divisione binaria donne uomini è superata dalla categorizzazione oppresse/i-oppressione patriarcale, con tutte le varianti dell’intersezionalità. Ci sono soggetti oppressi perché non riconducibili all’unico modello maschile riconosciuto, quello machista-penetrativo- dominante: e questi oppressi sono alleati delle donne
contro una società patriarcale, che occorre sovvertire per liberare le minoranze.
E di teologia della liberazione ha parlato la pastora Daniela Di Carlo, presentando l’affascinante pensiero di Marcella Althaus-Reid, teologa argentina morta nel 2009, autrice di opere come Il Dio queer e Teologia indecente, un pugno allo stomaco della teologia totalitaria, che dentro le chiese pretende di imporre stili di vita anziché aprire spazi di libertà a partire dalle biografie personali: chi non si sente riconosciuta o riconosciuto dalle chiese finisce emarginata, ma il margine spesso può risultare l’angolazione più favorevole per vedere il centro, per cogliere i meccanismi di un addomesticamento del messaggio divino come forma di controllo dell’umanità.
L’ermeneutica queer afferma che Dio ama l’essere umano, così com’è, e che occorre recuperare la memoria dello scandalo del Vangelo, lo scandalo di un Dio fedele alla sua identità marginale, che si incarna per amore e parla attraverso i corpi: liberare Dio, ostaggio della teologia eterosessuale, per creare una teologia che parta dalle relazioni di amore ai margini. E se Dio è queer, perché persegue una giustizia trasgressiva (opera guarigioni di sabato, si lascia ungere i piedi da una prostituta…), deve esserlo ogni persona cristiana, ogni chiesa, promuovendo progetti di giustizia e pace alternativi: l’insurrezione dell’umanità abietta è la capacità di essere aderenti alla realtà,
conseguente al coming out di Dio come liberazione da categorie mortifere.
Inevitabile nella fase di dibattito la domanda sulla gravidanza surrogata: Mauro Muscio, senza esprimere giudizi, ha dichiarato di porsi a fianco delle donne che scelgono di rendersi disponibili per una gpa, tutelandone i diritti; per Daniela Di Carlo nelle chiese protestanti ci sono posizioni diverse, tuttavia la GPA (Gestazione per altri) può essere l’occasione per ripensare il legame madre-figlio/a, troppo mistificato, e scoprire l’esistenza di legami unici e inaspettati, oltre quello materno.
Uscire dal binarismo maschile/ femminile per aprirsi a intersezioni nuove – come nei binari intrecciati della locandina preparata da Susanna Chiarenzi, che ha moderato l’incontro – può generare società in cui non si lavori per contrapposizione, con un’inevitabile sottrazione delle
possibilità, ma ci si possa accogliere reciprocamente, ciascuna, ciascuno com’è, oltre gli stereotipi che ingabbiano (noi e Dio).