Chi ha paura delle diversità? Piccolo viaggio intimo tra passato e futuro
Articolo di Giuseppina La Delfa del 2 gennaio 2013 pubblicato su Huffington post Italia
I miei genitori lasciarono la loro Sicilia soleggiata 50 anni fa per andare a lavorare nel Nord della Francia. Mio padre scese nelle miniere di carbone di Sallaumines per alcuni anni e poi fu operaio per altri 30 nella più grande filatura di lana del nord della Francia, quella dei Prouvost-Masurel che fecero, insieme ad altri, la ricchezza del Nord. Di questo periodo difficile, ricco e glorioso, oggi sembra non rimanere quasi nulla.
Nella mia città natale, Tourcoing, c’erano, negli anni sessanta, decine di fabbriche tessili e decine di migliaia di operai campavano con le loro famiglie grazie a questa industria.
Quando uscivo dalla scuola elementare, alle 16.30, le strade straripavano di bambini che tornavano a casa e operai che finivano il loro turno o che si apprestavano a iniziarne un altro. C’erano i tre turni, i “tre 8”, e le fabbriche giravano in continuazione e le macchine non venivano mai fermate e treni interi, pieni di Italiani del sud, Spagnoli, Portoghesi o Magrebini arrivavano dalla fame per essere assunti immediatamente.
Certo c’erano le case uguali fatte di mattoni scuri e le altissime ciminiere che buttavano fumo nero nel cielo delle cittadine piovose e grigie, ma c’era anche la scuola laica col latte dolce e la merendina distribuita a tutti i bimbi prima che tornassero a casa, c’era il sacchettino con la Couques (un dolce di pane al latte e zucchero), il babbo natale di cioccolata e l’arancia dolce distribuito a scuola per le feste l’ultimo giorno prima delle vacanze natalizie, c’era la festa di natale organizzata ogni anno per i figli dei dipendenti dalla dita di mio padre, uno spettacolo incredibile di magia e acrobati nel teatro più prestigioso della provincia che ci lasciava di stucco, e il giocatolo (l’unico che ricevevamo) che si poteva scegliere sul catalogo che arrivava a casa già a fine ottobre e ci faceva sognare per mesi.
C’erano le vacanze al mare organizzate dal comune, le grandi riunioni sportive annuali di maggio dove competevano tutti i bimbi di tutte le scuole della zona … c’erano i mercoledì di sole a giocare nel parco cittadino con le mamme sedute sotto gli ippocastani che lavoravano a maglia o coll’uncinetto, c’erano i gruppi di padri, seri e autorevoli, che chiacchieravano fra di loro, in piedi; c’era, d’estate, tutta l’Europa e il Nord Africa sedute fuori sulle sedie prese dalla cucina, direttamente sulla strada, mentre stormi di bimbi di tutte le età e di tutti i colori, dal pallido polacco al tunisino caffelatte, si rincorrevano nella viuzza senza uscita che era il nostro paradiso.
C’era anche il lattaio che prendeva in giro mamma perché non parlava francese, c’era mio padre bagnato fradicio che tornava con il motorino Peugeot blu chiaro tutte le sere alle 21.30 dopo il suo turno pomeridiano, c’erano le compagne francesi doc che mi chiamavano “maccaronì” o “spaghettì” con l’accento sulla i, c’ero io che pensavo di parlare bene l’italiano mentre riuscivo a dire qualche frase in dialetto siciliano, c’erano i giardini operai dove mio padre faceva crescere di tutto, dalle favette ai broccoletti di natale e dove passavamo i sabati di primavera con i cugini e gli zii e i compaesani e si finiva a mangiare tutti insieme sotto la luna, c’era la biblioteca della scuola con delle ricchezze inimmaginabili per me, c’era la maestra di terza elementare, il mio primo vero innamoramento, e la pioggia, e la nebbia di novembre, e il ghiaccio di gennaio e il verde chiaro dei pioppi lungo i canali a primavera… E poi le fabbriche chiusero una dopo l’altra, prima le miniere, poi la siderurgia, poi il tessile e infine i cantieri navali della costa.
Passeggiando per le città dell’antico bacino minerario, sempre con le stesse strade uguali e le stesse case di mattoni rossi, si nota però il vuoto lasciato dalle fabbriche rase al suolo o trasformate in parcheggi multipiani o in centro commerciale. Ogni tanto si riesce a scorgere le mura ancora in piedi di una fabbrica morta, senza finestre, che accerchia un terreno ancora vuoto.
A volte, in un progetto di recupero dei vestigi industriali, nascono strutture in equilibrio tra la tradizione e il moderno e le vecchie fabbriche diventano insiemi di loft prestigiosi, o musei dedicati al passato industriale. I terril, gli unici e modesti rilievi del Paese Piatto come lo chiamava Jacques Brel, sono monticelli artificiali regolari costituiti dai residui scuri della miniera; oggi sono trasformati in piste da sci senza neve su strutture sintetiche!
Oggi, dove sorgevano le miniere, abbiamo Il Louvre-Lens, prestigioso Louvres II, voluto proprio lì per fare rinascere il Nord, abbiamo anche il CETI, il centro europeo per il tessile industriale, abbiamo Euralille, un centro d’affare ultramoderno nel centro di Lille, la Capitale delle Fiandre, abbiamo una costa selvaggia e rivalutata, abbiamo la stazione del TGV che collega il Nord a ben 6 capitali europee in meno di 2 ore, abbiamo le Furet du Nord, la più grande libreria d’Europa, e centri artistici d’avanguardia per il teatro, la musica, il cinema, abbiamo delle scuole di terzo ciclo nazionali, e musei fra i più importanti di Francia, abbiamo il VAL, la prima metropolitana automatica del mondo, abbiamo centri storici del rinascimento fiammingo rivalutati, abbiamo un Nord che, ricco della sua diversità, torna a essere un centro nevralgico della vita economica e culturale francese e europea.
Certo nessuno più gioca per le strade di notte ad agosto, siamo tutti cresciuti e tutti noi siamo figli dei Galli e eredi di Luigi XIV anche se i nonni parlano ancora tutte le lingue d’Europa. Siamo integrati e abbiamo partecipato tutti quanti al grande rinnovo.
Due giorni fa, con la mia famiglia siamo andate a visitare una mostra sui tessili del futuro; tutti noi eravamo affascinati, specie Lisa Marie, la nostra bimba di 9 anni e mezzo. C’era un atelier dedicato ai bambini. L’attività consisteva nel creare un’opera originale (scultura-collage) usando ritagli di questi tessuti. L’animatrice mostrò ai bimbi un modello per dare l’avvio : era una specie di giardino straordinario con piante e fiori di tutti i colori.
C’era una quindicina di bimbi e tutti, senza eccezione, fecero un quadro con delle piante e dei fiori imitando il modello. Tranne Lisa Marie. Scelse di fare un fondo marino con alghe e pesci multicolori. In macchina, più tardi, tornando dai nonni, Lisa ci interpellò e disse: “avete notato che fra tutti, io sola ho scelto di fare qualcosa di diverso?
Secondo me, è perché io ho due mamme ; a volte la gente dice che essere diverso è difficile, ma spesso rende più ricco perché le cose non sono mai evidenti e allora possiamo fare cose originali, diverse, appunto. E secondo me, è meglio.”