Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto
Riflessioni bibliche di Innocenzo Pontillo* pubblicate su Adista Notizie n° 24 del 29 giugno 2019, pag.15
Le letture di questa domenica (28 luglio 2019) sono come una sinfonia che si sviluppa in tre movimenti. Si parte con Genesi 18, 20-32 dove troviamo il dialogo concitato tra Dio ed Abramo in cui, anche se «il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave», Abramo insiste con Dio, in maniera importuna, affinché rinunci al suo proposito “sterminatore”, ed il Signore si lascia convincere.
La preghiera di Abramo è audace perché osa, pur di essere ascoltato; è umile perché dice ciò che pensa senza pretendere delle soluzioni, ma pone delle domande: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio?». La preghiera di Abramo è coraggiosa perché è d’intercessione, con essa Abramo si frappone tra lo sdegno di Dio e gli abitanti di Sodoma. Accetta così di stare dalla parte “sbagliata”, ma ci sta per amore dei suoi fratelli, perché la preghiera è presa di posizione col rischio di non essere capiti, perché l’amore è rischioso e ci chiede di esporci per chi vediamo in pericolo.
Come non ripensare a queste settimane in cui si sono state celebrate, in tutta Italia, tante veglie di preghiere per il superamento dell’omofobia e della transfobia. Veglie che hanno fatto memoria delle tante vite spezzate da questa violenza, mentre altri “credenti, pii e giusti” non hanno trovato di meglio che organizzare rosari e preghiere riparative contro queste intercessioni giudicate “scandalose”. Verrebbe da chiedersi, dove si è pregato per gli altri? Dove invece si è data aria alla bocca?
Ma la liturgia con la lettera di San Paolo apostolo ai Colossèsi, nel suo incessante andare, ci ricorda ancora una volta che Dio «ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe», così «ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce», «il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario».
Ma se Dio ha inchiodato le nostre colpe alla croce cancellandole, perché noi credenti continuiamo a puntare il nostro dito contro i nostri fratelli. Verrebbe da dire che è tutta una questione d’amore, se non amiamo il fratello che abbiamo davanti a noi, come si può amare Dio che non abbiamo visto?
Il Vangelo di Luca conclude con le parole eterne del “Padre nostro”, con cui Gesù ci invita a fare nostri i pensieri di Dio di giustizia, misericordia e speranza. A «non abbandonarci alla tentazione» di vedere Dio solo come un “giudice”. Non a caso la prima parola, chiave di volta della preghiera che Gesù c’insegna, è proprio quel “Padre nostro”. Perché solo chi vede e «chiama Dio come suo padre, vive la consapevolezza interiore di essere figlio, e il figlio, nella concezione biblica, è colui che riproduce i lineamenti del padre».
E proprio a quel Dio con un cuore di Padre, che Gesù c’invita a bussare senza ritegno e a chiedere. Con la «parabola dell’amico molesto», ci ripete “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”.
Non chiedere, non sperare più nel Padre, non attendersi più nulla da lui è un segno pericoloso per i cristiani del nostro tempo. Perché se diventiamo cristiani orfani di Dio c’è da chiedersi in cosa crediamo?
Forse in una fede fatta di norme e forme esteriori, in cui Dio diventa un vuoto simulacro, la croce un innocuo oggetto d’arredamento, la Bibbia un volume da biblioteca.
Scriveva Dietrich Bonhoeffer: «Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere, ma è sempre fedele alle sue promesse». Ma noi sapremo essergli fedeli, continuando incessantemente a bussargli alla porta nel cuore della notte?
* Innocenzo Pontillo è fondatore del Progetto Gionata e volontario dell’Associazione cristiana “La Tenda di Gionata”.
ANNO C, XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO; Genesi 18,20-32; Salmo 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13