Chiesa cattolica e persone LGBT. Pregare insieme, un argine all’omofobia
Articolo di Luciano Moia pubblicato su Avvenire del 17 marzo 2018
Nella ricerca della psicologa Arianna Petilli la strategia per superare l’isolamento spirituale a cui spesso sono condannate le persone omosessuali.
L’omofobia interiorizzata, la fede, la fatica di mettere a fuoco un’identità che a volte sembra entrare in conflitto con l’appartenenza religiosa. Quanto è faticoso per una persona omosessuale vivere il proprio orientamento mantenendo un atteggiamento di coerenza verso la fede? Sono i temi intorno a cui ruota la riflessione di Arianna Petilli, psicologa e autrice di una delle prime ricerche sul rapporto tra religione e omosessualità, La Chiesa cattolica e le persone omosessuali. Come i gruppi di cristiani aiutano gay e lesbiche cattolici a conciliare la loro fede con l’omosessualità (edito dal Progetto Gionata).
«L’omofobia non è un atteggiamento naturale ma appreso attraverso i pregiudizi. Nel migliore dei casi si dice che è una sessualità problematica, nel peggiore che è una malattia. Spesso i messaggi sono impliciti ma non meno graffianti». Quando un giovane si scopre omosessuale, tutti quei messaggi finiranno per convincerlo di essere o rappresentare un problema. E saranno messaggi che non applicherà soltanto alla sua sessualità, ma a lui in quanto persona.
L’interiorizzazione dell’omofobia parte da qui. Dalle stesse persone omosessuali che si convincono di essere “sbagliate” e “inadeguate”. E, se una persona si sente sbagliata, meglio nascondere il proprio orientamento, reprimerlo nella convinzione che «per me non ci sarà mai futuro». Per una persona credente i problemi si moltiplicano perché, oltre ad aver respirato messaggi sociali contrari all’omosessualità, i messaggi religiosi risultano spesso dello stesso tenore.
«Anche se il magistero della Chiesa distingue tra la tendenza, che pur essendo disordinata non è peccato, e gli atti che sono peccato – riprende l’esperta – in concreto una persona avverte di essere “sbagliata” in se stessa, a prescindere che compia o meno quegli atti».
Quanti cattolici omosessuali hanno avuto la fortuna di aver incontrato un prete che li ha accolti in quanto credenti in ricerca, non in quanto gay? Ecco perché proprio tra gli omosessuali credenti, secondo la ricerca, si registrano i tassi di omofobia più accentuati: E le prime vittime sono gli stessi omosessuali. Come se ne esce? «Promuovendo la frequenza ai gruppi di preghiera organizzati dalle associazioni o dalle comunità che permettono a queste persone – prosegue la psicologa – di vivere un’esperienza di spiritualità accanto a persone che condividono lo stesso orientamento». Una scelta che rompe l’isolamento, mostra il volto accogliente della Chiesa, permette di inquadrare in modo meno conflittuale la propria dimensione personale nella vita di fede.