Chiesa cattolica e persone transgender. Verso un approccio pastorale
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito LGBTQ cattolico Outreach (Stati Uniti) il 17 maggio 2022, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte settima
Finora l’approccio pastorale della maggior parte delle diocesi statunitensi è consistito nell’escludere, limitare o condannare le persone transgender, per via della paura di dare spazio alla “ideologia del gender”, o perfino di favorire l’abuso di minori, invece che ascoltarle assieme alle loro famiglie. Queste paura hanno condotto alla creazione di regolamenti draconiani e restrittivi, quando non crudeli, e le persone transgender, che praticamente mai vengono consultate in proposito, si sentono prese di mira da quella Chiesa che considerano la loro casa.
La maggior parte di tali regolamenti comincia parlando di “accompagnamento” e del desiderio di fare pastorale. La diocesi di Springfield afferma saggiamente “La massima priorità, per i genitori alle prese con un figlio [transgender], è assisterlo in tale difficile situazione”.
La maggior parte delle diocesi esprime un genuino interesse per le persone transgender, ma poi rapidamente si passa alla condanna della “ideologia del gender” e a tutta una serie di restrizioni. Prima si apre la porta, poi la si chiude di schianto.
I regolamenti, spesso molto dettagliati, trattano di pronomi, toilettes e modi di vestirsi, per poi andare su temi molto più pesanti, dall’ammissione nelle scuole [cattoliche] alla stessa inclusione nella Chiesa. La diocesi di Marquette stabilisce: “Alla persona che pubblicamente vive secondo il sesso opposto a quello biologico, o ha tentato di ‘fare la transizione’, può essere negato il Battesimo, la Cresima o la piena comunione nella Chiesa, a meno che non si penta”.
Come mi disse una volta suor Luisa: “È impossibile dimostrare rispetto per le persone transgender negando la loro esperienza di vita e insistendo sulla loro non esistenza”.
Si può procedere in modo più pastorale? Mi permetto di suggerire alcuni passi urgenti.
Aspettare. Dire che aspettare è urgente può sembrare paradossale, ma si tratta dall’esigenza di mettere da parte immediatamente la tentazione di giudicare, dichiarare e insegnare quando sappiamo così poco dell’identità transgender, e quando tante persone sono ad alto rischio di persecuzione e maltrattamenti.
La violenza contro le persone transgender è a livelli mai visti prima: nel 2021 negli Stati Uniti ne sono state uccise cinquanta. (Suor Luisa afferma che questo numero può essere più alto, vista la reticenza di molte persone ad ammettere che un loro parente assassinato era transgender.) Il suicidio e l’autolesionismo sono endemici tra i giovani trans, di cui l’82% ha pensato al suicidio e il 40% lo ha tentato, secondo uno studio del 2020. I regolamenti e le dichiarazioni che trattano le persone transgender come peccatrici, o peggio, come bisognose di penitenza, sono l’ultima cosa che la Chiesa dovrebbe proporre, perché contribuiscono all’atmosfera di offese e violenza.
Ecco perché aspettare può essere la cosa migliore da fare in questo momento. Non c’è nulla di sbagliato nel dire “In questo momento non sappiamo. Stiamo imparando, e prima di emanare regolamenti, dobbiamo comprendere meglio questa comunità”. Prima di essere una ecclesia docens (una Chiesa che insegna), è necessario essere una ecclesia discens (una Chiesa che impara).
Il pericolo principale dell’emanare condanne in fretta e furia sta nell’offendere un gruppo di persone proprio lì dove più hanno bisogno di sostegno; si tratta oltretutto di valutazioni frettolose, e forse anche errate, di un fenomeno che da decenni scienziati, medici e teologi si sforzano di comprendere appieno. E si dovrebbe evitare di escludere un gruppo di persone già escluse dalla società: “Io spero e prego che non prendiamo decisioni affrettate che possano escludere le persone transgender dalle istituzioni cattoliche” dice il diacono Ray Dever, genitore di una figlia trans. Dovremmo camminare assieme agli esclusi, non escluderli ancora di più.
Un altro pericolo consiste nell’alienare i giovani, e non solo i giovani trans. Secondo un recente sondaggio, circa il 53% delle persone tra i 18 e i 29 anni conosce delle persone transgender, e questa percentuale è probabilmente più alta tra gli studenti liceali.
Le conversazioni che ho avuto nelle classi liceali in tutto il Paese, principalmente in scuole cattoliche, mi hanno insegnato che i giovani non vedono di buon occhio chi cerca di condannare o offendere i loro compagni di classe, e tanto più i loro fratelli e sorelle.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).