Children of God. Una storia d’amore gay sospesa tra religione e omofobia
Intervista di S. Pajot tratta dal Miami New Times (Stati Uniti) del 12 marzo 2010, liberamente tradotta da Claudio Abate
Dopo aver prodotto parecchi documentari (e alcuni corti) negli ultimi sei anni, il regista bahamiano Kareem Mortimer ha finalmente fatto il salto con il film Children of God (2009) e non ha alcuna intenzione di voltarsi indietro. «I documentari sono stati molto importanti per me. Probabilmente tornerò a quel formato prima o poi, ma non per i prossimi cinque anni. Ho sempre voluto raccontare una storia».
Mortimer ha già co-diretto il suo secondo film per la tv, Wind Jammers, attualmente in post-produzione. Sta, inoltre, lavorando su una commedia romantica che si dovrebbe girare nella primavera del 2011. Questo fine settimana, comunque, il regista-sceneggiatore visiterà Miami per promuovere Children of God, un film che lui descrive come «una storia d’amore tra un bahamiano nero ed uno bianco». Il film sarà proiettato … a conclusione del festival del film internazionale di Miami.
Lei ha girato alcuni dei suoi film a Miami. Cosa la lega a questa città?
Kareem Mortimer: Mi sono trasferito a Miami quando avevo 17 anni per frequentare il corso di regia al Miami International School of Art&Design e ho vissuto lì fino all’età di 22 anni. Nel 2003 poi sono andato via e sono tornato alle Bahamas. Sa, a Miami sono un po’ cresciuto, ho scoperto la mia vocazione e ho avuto la possibilità di sperimentare il mio talento.
La sinossi del film Children of God come «un critico esame dell’odio latente per i gay rampanti nella società caraibica». È esatto?
Beh, veramente è una storia d’amore. Credo che la parola critico sia un po’ forte. Parla di legami celebrando ciò che è vulnerabile di noi stessi e guardando all’umanità insita in tutti noi, in contrapposizione all’agenda aperta di incontri per parlare di quanto può essere terribile per gli omosessuali nei Caraibi.
Ci sono stati esempi omofobi di vita reale che hanno ispirato il film?
Il film è ambientato in un periodo in cui alle Bahamas c’erano delle proteste contro le crociere gay che arrivavano qui. All’epoca vivevo in quelle isole ed era pazzesco: c’erano un sacco di talk-show in cui le persone dicevano cose odiose alla radio e il linguaggio era veramente pericoloso.
È opinione comune che l’omofobia sia culturalmente inculcata nella società caraibica. Smentisce questo assunto?
No, lo confermo.
È qualcosa di legato direttamente alla religione?
Credo che la religione giochi un ruolo enorme, ma questa è una domanda molto difficile. La religione non ci insegna ad essere omofobi. Nel film parlo di religione ma non come la causa. L’omosessualità è presente nella vita di tutti e cerchiamo di nasconderla in tantissimi modi.
Il motivo per cui ho fatto quella domanda sulla religione è che nel film c’è un pastore segretamente gay.
Nel film ci sono due pastori. Innanzitutto c’è il pastore gay Ralph Mackie, che è il marito di Lena, il personaggio femminile principale del film. Dopo, c’è il reverendo Richie che si interroga sui suoi principi religiosi, ma non è gay. Queste due persone giocano l’uno contro l’altro: il reverendo Richie non è infastidito dagli omosessuali e nota la loro umanità, mentre il pastore segretamente represso parla con grande veemenza contro i gay.
Quindi, l’omofobia e la paura di Ralph Mackie sono alimentate dal diniego di sé?
Sì, il film tratta di paura e ipocrisia. Credo che come esseri umani cerchiamo di nascondere la parte vulnerabile di noi stessi ma, come sa, essa di solito coincide anche con quella più bella. Quando tentiamo di nasconderla ci trasformiamo in tutta una serie di cose orribili.
Testo originale: Director Kareem Mortimer Talks Religion, the Carribean, and Gay Love