Christine Jorgensen, la prima trans operata della storia americana
Articolo di Rebecca Poole* pubblicato sul sito del Museo Nazionale della Seconda Guerra Mondiale di New Orleans (Stati Uniti) il 30 giugno 2020, liberamente tradotto da Vanessa Guadagnini
Un giorno, sfogliando velocemente le riviste d’epoca “Life” della collezione di mio papà, il titolo “Ex-GI Becomes Blonde Beauty” [“Ex soldato diventa una bella bionda”] catturò la mia attenzione. Quello che lessi sotto era l’affascinante storia di Christine Jorgensen.
Jorgensen, che prestò servizio nell’esercito statunitense durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata la prima donna transgender americana a diventare famosa per essersi sottoposta all’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso.
L’articolo celebrava il suo eroismo durante la guerra e descriveva le sue caratteristiche femminili, come i capelli e i vestiti alla moda. È interessante notare che l’articolo fu pubblicato nel 1952, un periodo storico in cui i veterani gay e le veterane lesbiche della Seconda Guerra Mondiale venivano spesso privat* delle loro medaglie e licenziat* perché amavano persone dello stesso sesso. Perché Jorgensen veniva celebrata, mentre altri membri della comunità LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer) invece no?
Christine nacque George William Jorgensen junior il 30 maggio 1926 nel Bronx, a New York. Da bambina Jorgensen si sentiva molto diversa dagli altri ragazzini, si isolava ed era riservata. I ragazzi la prendevano in giro per le sue tendenze femminili, e perfino sua sorella rincarava la dose di tanto in tanto. Era più interessata alle bambole, e sognava di avere le eleganti caratteristiche femminili che ogni donna possedeva.
In uno dei suoi primi ricordi riporta alla mente i dubbi sulla sua identità rivolti alla madre: “‘Mamma,’ chiesi, ‘perché Dio non ci ha fatto uguali?’ Mia madre mi spiegò con gentilezza che il mondo aveva bisogno sia di uomini che di donne, e che non c’era modo di sapere se un bambino sarebbe stato un maschio o una femmina prima della sua nascita”. La sua famiglia era molto unita, e la nonna diventò la sua più grande sostenitrice, supportandola nel desiderio di esprimere la sua identità.
Alle scuole superiori cominciò a sentirsi attratta dai suoi compagni maschi, ma allora già sapeva di non essere gay: al contrario, capì di essere una donna intrappolata nel corpo di un uomo.
Dopo essersi diplomata durante la Seconda Guerra Mondiale, cercò di arruolarsi nell’esercito, ma venne rifiutata perché troppo gracile. Tuttavia, un paio di mesi dopo, venne reclutata e dislocata a Fort Dix, nel New Jersey. Nel periodo in cui prestò servizio se ne stette perlopiù per conto suo, e nascose la sua attrazione per gli uomini. A quel tempo molti membri dell’esercito temevano di venire scoperti o etichettati come omosessuali: questo per un soldato avrebbe comportato un periodo di carcere, il congedo con disonore o la corte marziale.
Jorgensen spiegò che “Volevo essere accettata dall’esercito per due ragioni: per prima cosa, avevo un grande desiderio di appartenenza, di sentirmi utile e di far parte del flusso di attività attorno a me. In secondo luogo, volevo che i miei genitori fossero fieri di me”. Lavorò come impiegata, gestendo migliaia di soldati congedati dopo la fine della guerra per quattordici mesi, fino a quando lei stessa venne congedata con onore nel dicembre del 1946.
Terminato il servizio militare, frequentò la scuola di fotografia di New Haven, nel Connecticut, e la scuola per assistenti odontoiatrici di New York. Non era però ancora soddisfatta della sua vita, e iniziò a cercare risposte nei libri, sperando di poterle trovare. Un libro in particolare, intitolato The Male Hormone [L’ormone maschile], suscitò il suo interesse e l’aiutò a fare chiarezza sui suoi problemi: iniziò così ad assumere estrogeni. Successivamente, si consultò con alcuni medici riguardo i chirurghi europei che avevano già effettuato operazioni di riassegnazione del sesso. Jorgensen era determinata a trasformarsi in una donna, e nel 1950 si trasferì in Danimarca per inseguire i suoi sogni.
Arrivata in Danimarca, incontrò l’endocrinologo Christian Hamburger, che accettò di sottoporla alla procedura sperimentale gratuitamente. Fu la prima persona a dichiararla transessuale e non omosessuale. Nei due anni seguenti, Jorgensen venne sottoposta a terapie ormonali, valutazioni psichiatriche, e infine a un intervento chirurgico per rimuovere i genitali maschili.
Sfortunatamente, poté avere una vagina creata chirurgicamente solo alcuni anni dopo, al suo rientro negli Stati Uniti. Prima di ritornare negli Stati Uniti, aveva un’ultima modifica da fare per completare la sua trasformazione: cambiò il suo nome in Christine in onore del dottor Hamburger, che le aveva permesso di realizzare i suoi sogni.
Al suo ritorno a casa la sua storia arrivò ai giornali, e il 1 dicembre del 1952 era sulla prima pagina del “New York Daily News” con il titolo “Ex-GI Becomes Blonde Beauty: Operations Transform Bronx Youth” [“Ex soldato diventa una bella bionda: Chirurgia trasforma giovane del Bronx”]. Nei mesi successivi, centinaia di giornali riportarono la storia di Jorgensen, che fece immediatamente scalpore.
La reazione della stampa e dell’opinione pubblica la scioccarono: “Ero sorpresa che ci fosse tutto questo interesse per la mia vita […] il tempo passò, e io capii che quello era stato un passo importante agli occhi del mondo”.
I titoli dei giornali enfatizzavano la sua esperienza nell’esercito e la rappresentavano come una bellezza americana, descrivendone le gambe lunghe, i capelli biondi e i vestiti alla moda. Il patriottismo della veterana della Seconda Guerra Mondiale e le sue belle caratteristiche femminili, incarnando i valori e la struttura degli Stati Uniti, conquistarono il pubblico e la stampa.
Inoltre, la sua transizione da uomo a donna dimostrò al mondo il progresso della tecnologia e della scienza medica. Tutti questi fattori positivi aiutano a spiegare il successo della sua storia nella stampa e nella società americana. Nonostante ciò, non tutti furono così gentili.
Come la maggior parte dei componenti della comunità LGBTQ, anche lei subì la sua dose di odio e discriminazione. Sei mesi dopo la diffusione della sua storia da parte dei media, i cronisti contattarono i chirurghi che avevano modificato il suo sesso per saperne di più sulle fasi dell’intervento. I medici dichiararono che Jorgensen non aveva la vagina, sebbene i genitali maschili le fossero stati rimossi.
Prima di questo fatto, la stampa aveva dato per scontato che avesse la vagina. I suoi primi sostenitori si sentirono traditi, e affermarono che Jorgensen non poteva essere una donna, poiché non aveva né le ovaie né gli altri organi riproduttivi femminili. Precedentemente Jorgensen aveva evitato le domande relative alla sua anatomia, focalizzandosi sul suo passato nell’esercito e sul suo aspetto fisico.
I media cominciarono a evitarla e, secondo lo scrittore David Serlin, “la presentavano come un ‘maschio modificato’, e in seguito, come un travestito ‘malato’ […] Christine era considerata nient’altro che un omosessuale effeminato, che indulgeva in attività culturalmente identificate come attività femminili e quindi effeminate”. Christine si sentiva incompleta senza una vagina, fino a quando arrivò il giorno, nel maggio del 1954, in cui si sottopose a una vaginoplastica, eseguita da Joseph Angelo e da Harry Benjamin.
Christine divenne in seguito un’intrattenitrice professionista e si esibì in molti locali notturni. Voleva essere una star di Hollywood, ma non riuscì a sfondare. Ebbe diverse relazioni sentimentali e si fidanzò due volte, ma sfortunatamente le venne negata la licenza di matrimonio, perché il suo certificato di nascita la identificava come maschio.
A peggiorare la situazione, uno dei suoi fidanzati perse anche il lavoro quando il loro fidanzamento divenne noto. Tuttavia, Christine conservò la fiducia e l’ottimismo verso la vita, e nel 1967 scrisse un’autobiografia intitolata Christine Jorgensen: A Personal Autobiography [Christine Jorgensen: Un’autobiografia personale].
Nel corso della sua vita ricevette migliaia di lettere, sia positive che negative, ma la maggior parte delle lettere provenivano da altre persone con gli stessi problemi, in cerca di aiuto e di una guida. Christine avrebbe voluto aiutare tutte le persone che la contattavano, e in un certo senso ci riuscì, rimanendo fedele alla sua identità e rappresentando un modello per gli altri. Iniziò quindi a usare la sua storia per tenere lezioni sull’identità di genere nelle università di tutto il Paese.
La sua vita affascinò e influenzò così tante persone che nel 1970 Hollywood fece un film basato sulla sua vita, intitolato The Christine Jorgensen Story [Il primo uomo diventato donna (La vera storia di Christine Jorgensen)].
Il 3 maggio 1989 Christine morì per un cancro alla vescica e ai polmoni. Anche dopo la sua morte, la sua incredibile storia è ancora significativa e offre speranza ai veterani transgender che cercano la propria autorealizzazione. Christine giunse alla conclusione che “La risposta al problema non va cercata nei sonniferi e nei suicidi che sembrano incidenti, o nelle condanne alla prigione, ma piuttosto nella propria vita e nella libertà di viverla”.
* Rebecca Poole attualmente lavora alla sua tesi di Laurea Magistrale in comunicazione storica e storia di New Orleans presso l’Università di New Orleans. I suoi interessi di ricerca sono la prostituzione e il rapporto tra genere e sessualità.
Testo originale: From GI Joe to GI Jane: Christine Jorgensen’s Story