Christus Vivit, un’esortazione apostolica priva di indicazioni operative
Articolo di Vittorio Bellavite pubblicato su noisiamochiesa.org il 4 Aprile 2019.
L’Esortazione Apostolica Postsinodale Christus Vivit è di faticosa lettura. La sua lunghezza, 299 paragrafi, non solo rende difficile al cristiano “di base” (e tanto più al giovane abituato alla comunicazione immediata degli smartphones) l’accesso al suo messaggio, ma non permette di identificare facilmente i suoi passaggi centrali. Alcune parti trattano tematiche generali che hanno riferimento solo indiretto a problematiche tipicamente giovanili.
Bisogna poi tenere presente che questo documento si ispira a un Sinodo la cui composizione, soprattutto su una tematica di questo genere, abbiamo severamente criticato. Esso era composto da prelati anziani, maschi e celibi, insieme a pochi giovani esterni e a poche donne con lo status di chi non poteva votare. L’argomento poi era costituito da una categoria molto sociologica, quella dei giovani appunto, distribuita sulla generalità dell’umanità e che dava occasione e pretesto per parlare di tutto, da problematiche di tipo psicologico o sociale, a questioni più direttamente di Chiesa, fino alle linee di tendenza della convivenza umana verso il futuro.
Detto ciò, il testo dell’Esortazione, più che in altri casi, mi sembra si rifaccia ampiamente ai contenuti del documento finale del Sinodo, riprendendone molti brani e punti di vista che non sono stati teneri nel giudicare la situazione ecclesiale. Il paragrafo 40 dice che i giovani “non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza”, il paragrafo 41 lamenta la mancanza di ascolto dei giovani e il 42 riconosce apertamente i torti della Chiesa nei confronti della legittima rivendicazione delle donne, denunciando l’autoritarismo maschilista.
Nel capitolo terzo si fanno presenti le grandi differenze delle condizioni giovanili nel mondo; ci sono “molte gioventù”. Si riprendono poi tutte le riflessioni sull’ambiente digitale, con gli aspetti positivi e con quelli problematici, si fa un’analisi della questione migranti con parole molto dure e infine si denuncia il clericalismo e i diversi tipi di abuso (“di potere, economici, di coscienza, sessuali”). Mi sembra che le parole sugli abusi sessuali siano decisamente più severe di quelle generiche del documento finale del Sinodo.
I capitoli quinto e sesto contengono una serie di esortazioni che sollecitano il meglio possibile dalla condizione giovanile. Essa deve essere il tempo dei sogni, delle scelte e del coraggio, dell’“amicizia sociale”, dell’impegno politico per il cambiamento, dei percorsi di fraternità, della voglia di vivere e di sperimentare.
Fa seguito la messa in guardia dalla colonizzazione culturale, soprattutto nei confronti dei paesi emergenti e dalla cancellazione delle differenze culturali ed etniche e infine pone il problema del rapporto tra le generazioni e del passato con il presente.
Il capitolo settimo tratta della pastorale giovanile. Esso contiene un insieme di analisi e proposte che vogliono rovesciare molti tradizionalismi e forme pastorali asfittiche. Si parla di protagonismo giovanile (“giovani, non osservate la vita dal balcone”), di spazi adeguati nei luoghi di Chiesa, di esperienze di gruppo, di iniziative a tutto campo anche fuori dal consueto (sport, musica, teatro, ambiente) e aperte a tutti.
Parole esplicite di autocritica sono usate nei confronti delle istituzioni scolastiche, “alcune scuole cattoliche sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente”. Così “molti giovani al momento della loro uscita da alcune scuole trovano una insormontabile discrepanza tra ciò che è stato loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere”. Per riassumere quella che appare come la proposta di un “nuovo corso”, l’Esortazione parla di “pastorale giovanile popolare”.
Nella parte finale del documento c’è un richiamo alla sessualità come dono di Dio ed una forte proposta del matrimonio e della famiglia che “continua a rappresentare il principale punto di riferimento per i giovani”.
Mancanza di indicazioni operative
L’opinione che avevamo espresso alla conclusione del Sinodo era moderatamente positiva. Infatti avevamo letto nel documento finale (anche quello un testo interminabile, 167 paragrafi) dei percorsi pastorali praticabili, leggendoli dal nostro punto di vista che è quello del rinnovamento profondo della Chiesa. Mi accorgo che, dopo tante analisi ed opinioni interessanti riprese nell’Esortazione, mancano le indicazioni concrete che pure erano state proposte. Di qui la preoccupazione che si continui a girare a vuoto. Andiamo per punti.
Il documento sinodale non usa parole generiche nel proporre la sinodalità: tutti i soggetti ecclesiali devono concorrervi attivamente e, per quanto riguarda i giovani, deve essere prevista la loro partecipazione nei luoghi di corresponsabilità nelle Chiese locali, nelle Conferenze Episcopali (la proposta è quella di “direttorio di pastorale giovanile”) e nella Chiesa universale, ipotizzando anche un organismo di rappresentanza dei giovani a livello internazionale in Vaticano. Questa ipotesi non è stata ripresa nell’Esortazione apostolica.
Sulle questioni etiche, sessuali e della famiglia ho l’impressione che siamo a zero. Eppure nel Sinodo era emerso con forza che su queste questioni c’è una separazione tra la sensibilità giovanile e l’insegnamento della Chiesa. “La morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa perché percepita come spazio di giudizio e di condanna”. Al Sinodo si era chiesto, come minimo, una ricerca teologica e antropologica su questa tematica, in particolare su quella della identità sessuale. La proposta non è stata ripresa. In questo modo tutta la questione “sessualità” rimane congelata.
Partendo dal silenzio sul problema dell’omosessualità e sulle coppie omo, che aveva caratterizzato anche i due Sinodi sulla famiglia e l’Amoris Laetitia, si era però scritto nel documento sinodale che le persone omosessuali andavano “accompagnate” nella Chiesa (cioè accolte). Era un passo in avanti, già avviene in non poche situazioni. Nell’Esortazione non se ne parla. Il problema della contraccezione non era stato sollevato al Sinodo, né, ovviamente, è stato ripreso nella Esortazione, ma era stato posto con forza nei due incontri presinodali composti da giovani.
La questione che da subito è stata la più contestata riguarda la condizione della donna nella Chiesa. Nel documento del Sinodo c’era, nei suoi termini generali, la denuncia del maschilismo nella Chiesa, ma ben poco sulla violenza psichica e fisica nei confronti delle donne (comprendendo in questa categoria anche la schiavitù sessuale e la prostituzione). Il Sinodo aveva chiesto però “con grande forza una riflessione sulla condizione e il ruolo delle donne nella Chiesa […] come un obbligo di giustizia” e aveva scritto: “Una Chiesa che cerca di vivere uno stile sinodale non potrà fare a meno di riflettere sulla condizione e sul ruolo delle donne al proprio interno…
Un ambito di particolare importanza a questo riguardo è quello della presenza femminile negli organi ecclesiali a tutti i livelli, e della partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali” anche se nel rispetto del ruolo del ministero ordinato. Una affermazione così perentoria e impegnativa, insolita in testi ecclesiastici, era tale da essere stata subito individuata come caratterizzante le conclusioni del Sinodo e quindi difficilmente ignorabile. La consideravamo un passo in avanti urgente, atteso e indispensabile. Ma l’Esortazione la ignora.
Si colloca al confine tra l’umoristico e l’irricevibile la risposta del Card. Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo, che, sollecitato da un giornalista, ha detto in conferenza stampa, a proposito del ruolo delle donne in processi decisionali, che “il papa non poteva scrivere ogni cosa che c’era” (nel documento finale del Sinodo).
Questa impresa di papa Francesco è stata portata avanti con coraggio e con la volontà di “fare” una Chiesa in uscita, di cui i giovani dovrebbero essere non gli assenti, ma i protagonisti.
Se le strutture ecclesiastiche non si mettono di traverso.