Io e l’HIV. Il mio viaggio
Testimonianza di Yowee tratta dal sito Christian gays (Stati Uniti), liberamente tradotta da Silvia Lanzi
Cinque giorni fa come oggi, la mia vita è cambiata per sempre. Era mercoledì 24 aprile 2002. alle 7,30 mi telefonò il mio dottore dicendomi di avere i risultati dei miei esami del sangue e che avrebbe dovuto vedermi. Gli dissi: “È positivo, vero? Altrimenti non mi avrebbe chiamato”. Al che rispose: “Si, ma non mi sembrava giusto dirglielo per telefono”. Ci andai alle 11,30 e lui mi disse che ero HIV positivo (HIV+).
Mi diede il numero di telefono dell’ Aids Medical Unit e mi disse di chiamarli quando fossi tornato a casa. Comunque, volle che io facessi un secondo esame del sangue prima di tornare a casa e così ci tornai dopo mezzogiorno. L’Aids Medical Unit chiude a mezzogiorno il mercoledì, e il giorno dopo era festa.
Tutto il mio mondo mi crollò addosso. Come l’avrei detto a mia madre? Avevo peccato vivendo la mia omosessualità e ora Dio mi puniva. Tutte le speranze e i sogni di liberarmi della mia omosessualità e di potermi sposare morirono quel giorno. Ero molto depresso e volevo farla finita. Non sapevo a chi rivolgermi. Non potevo dirlo a mia madre, così feci la cosa migliore che mi rimaneva da fare e lo dissi alla moglie del mio pastore, Mary, il giorno dopo.
Il giorno dopo Vagi compiva ventun anni e c’era una cena internazionale alla chiesa. Ci andai anch’io e, sebbene dentro di me mi sentissi da schifo, non se ne accorse nessuno perché mi comportai come se niente fosse. Venerdì 26 aprile iniziai a lavorare alle 7,30. Andai alla mia macchina nella pausa caffè e vidi che l’Aids Medical Unit aveva finalmente chiamato. Lo dissi all’unica persona di cui potevo fidarmi al lavoro, Tracey, il mio superiore e lei mi disse di andare. Lo feci, chiamai l’ Aids Medical Unit e mi dissero di andarci. Ero un relitto quando ci arrivai.
Fu il lunedì successivo che io e mia madre andammo a passeggiare lungo il fiume Brisbane e lei mi disse che un suo amico le aveva dato da leggere un libro intitolato He Intends Victory di Dan Wooding, che parlava di cristiani che vivevano con l’HIV. Seppi che Dio stava preparando lei per la novità e stava mostrando a me la sua grazia quando lei mi disse che aveva mercoledì e giovedì liberi e non si spiegava il perché. Io invece sì. Il mio cuore stava andando a mille all’ora mentre parlava, ma non potevo dirglielo lì, su due piedi. Avrei dovuto aspettare mercoledì.
Dissi all’Aids Medical Unit che l’avrei chiamata io mia madre, e lo feci mercoledì. Voleva andarci per un consulto, aspettai che fosse pronta e ci andammo. Le dissi che mi dispiaceva e le chiesi di perdonarmi, mi inginocchiai e chiesi anche a Dio di farlo. Quella sera vennero a casa mia il pastore e sua moglie e lei scoppiò a piangere.
Un po’ più tardi, andammo insieme dal mio medico all’Aids Medical Unit e lei chiese se doveva usare altre posate rispetto alle mie. Le dissero di no, ma lei era spaventata così non ci dissero altro sull’HIV. I miei sogni e i miei obiettivi stanno diventando realtà. Sto prendendo confidenza con il fatto di essere HIV+ e non ho più voglia di farla finita. Un po’ sono triste, perché una parte di me è morta, ma mi rallegro per le novità che mi portato. Sì, sono HIV+, ora. Devo essere positive e vivere come sono… una persona positiva!
L’HIV non è il giudizio di Dio su di me. È stato il risultato del sesso non protetto che ho fatto, aspettandomi che Dio lo facesse per me, invece di fare cosa poteva proteggermi, come usare un preservativo. Devo fare le cose il meglio possibile e lasciare che Dio faccia il resto, non essere sciocco e aspettare che lui mi protegga. Wow, quanto sono cambiato. Guardate ciò che Dio ha fatto in me. Grazie a questo mi ha reso più forte.
Sto meglio, non sono amareggiato. Sono vivo pieno di passione e desideri, visioni e sogni, e la missione di diffondere la Buona Novella che Dio ci porta dalle stalle alle stelle.
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Testo originale: HIV and Me. Turning Scars Into Stars