Come il colonialismo ha alimentato l’omofobia in Egitto. Dalla primavera araba all’inverno arabo
Dossier di Jack May pubblicato su Winq Magazine (Gran Bretagna), dicembre 2017, pp.188-193, terza parte, libera traduzione di Andrea Shanghai
La nozione che l’omosessualità sia un tipo di influenza straniera pervade la società egiziana. Omar Sharif Jr è un modello e attore egiziano nato in Canada, nipote di due fra i più noti attori egiziani di tutti i tempi, Omar Sharif e Faten Hamama. Si è pubblicamente dichiarato gay nel 2012, ma da quel giorno la campagna di odio che si è scatenata gli ha impedito di ritornare in Egitto.
Per Omar qualsiasi affermazione che l’omosessualità sia aliena dalla cultura egiziana è semplicemente ridicola. “C’è una lunga tradizione di relazioni fra uomini in Medio Oriente” mi dice, “talvolta era dovuto alla sessualità, altre volte era semplicemente dovuto a restrizioni sociali nelle relazioni fra uomo e donna. Una donna non poteva avere rapporti sessuali prima del matrimonio ed un uomo aveva bisogno di denaro sufficiente per costituire una dote per la futura moglie. Per cui larghi strati della società erano costituiti da uomini adulti che non potevano avere rapporti con donne e che quindi cercavano di ovviare un’altra maniera”.
Chi visita oggi l’Egitto può notare facilmente come l’affettività fra uomini sia manifestata apertamente, amici o familiari maschi che camminano mano nella mano nelle strade, salutandosi l’un l’altro con baci sulle guance. E certamente vi è anche una lunga e illustre tradizioni di rapporti omosessuali in tutta la regione. Era comune per le figure più influenti del califfato Abbaside, che governò l’Egitto e gran parte del Medio Oriente dall’8 al 13 secolo, mantenere un gruppo di attraenti ragazzi giovani come schiavi e coppieri.
La classe militare dei Mamelucchi, che ha dominato il califfato seguente, aveva tradizioni molto simili e ancora un visitatore europeo di fine ‘800 poteva scrivere che “l’inconcepibile inclinazione che ha disonorato i greci e i persiani dell’antichità, costituisce oggi la delizia o, per meglio dire, l’infamia degli egiziani…il contagio si è diffuso sia fra i poveri sia fra i ricchi”.
Il fatto è che i primi a domandare in Egitto un bando contro l’omosessualità sono stati gli inglesi, durante il periodo coloniale, e l’eredità coloniale britannica continua a essere molto presente.
E’ inoltre opportuno ricordare che la campagna più feroce contro l’omosessualità in Inghilterra – durante il mandato del Segretario di Stato David Maxwell Fyfe negli anni 50 – fa sembrare in confronto il governo egiziano quasi un sostenitore dei diritti arcobaleno. Anche durante i giorni concitati del processo Queen Boat – e del conseguente crackdown – i procedimenti sono comunque molto meno numerosi se paragonati a quelli inglesi di metà novecento.
Jehoda Sofer, autore di Sexuality and Eroticism Among Males in Moslem Societies, identifica un punto importante. Il codice penale che gli inglesi hanno imposto durante il dominio coloniale dell’India nel 1861, era applicato in tutto l’impero, in Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Sudan e in tutta la regione del Golfo in generale. L’articolo 377 di questo codice puniva la sodomia con la deportazione per 20 anni, oppure fino a 10 anni di prigionia o ancora con multe pecuniarie.
Successivamente questo articolo fu sostituito in tutte le zone del Golfo dominate dall’Inghilterra con uno nuovo che puniva la sodomia con dieci anni di carcere e la possibilità di una punizione corporale. In paragone il coevo codice napoleonico non faceva alcuna distinzione legale fra rapporti etero o omosessuali.
I Mashrou’Leila sembrano fare riferimento a questa eredità coloniale in una delle loro canzoni, Kalaam (S/He), nella quale il verso “loro tracciano i confini della nazione sul tuo corpo e sul mio”, suona palesemente come un richiamo alle spartizioni post-coloniali di questa regione dopo la Prima Guerra Mondiale.
Titolo originale: From Arab spring to Arab winter