“Colpo su colpo”, quando una ragazza lesbica fa coming out
Dialogo di Katya Parente con lo scrittore Riccardo Gazzaniga
Adolescenza e coming out: sono i protagonisti dell’ultimo libro di Riccardo Gazzaniga intitolato “Colpo su colpo”. Due dei protagonisti, perché la storia, uno spaccato di vita, è appunto intricata come la vita stessa. In qualche modo credo possa essere definito Bildungsroman (romanzo di formazione). La prima domanda che mi ronza per la testa è questa:
La tua protagonista è una ragazza. Perché questa scelta? Ti è stato difficile calarti nella psicologia femminile?
Ho scelto una protagonista femminile – Giada – forse per via di un dialogo avuto con un carissimo amico, padre di una bambina, circa il come si sarebbe sentito se la figlia fosse omosessuale. Da quella discussione, dalla riflessione sulla difficoltà di una famiglia normale, mediamente colta, economicamente stabile, nel gestire un modo di amare diverso dalla presunta normalità, è nata l’idea di “Colpo su colpo”.
La famiglia di Giada non è composta di persone violente o senza strumenti culturali, eppure il conflitto diventa molto aspro e l’incapacità ad accettare una figlia lesbica insormontabile, specie per la madre.
Si è trattato della prima volta in cui ho avuto in un mio romanzo una protagonista femminile. Per calarmi in lei ho cercato di leggere su blog, forum e articoli racconti di prima mano di ragazze omosessuali sulla loro adolescenza, la scoperta della sessualità, ma in fin dei conti io credo che uno scrittore lavori sull’empatia.
Le emozioni sono simili in tutti gli esseri umani, che siano uomini o donne, eterosessuali o gay. Amare, soffrire, essere delusi, detestare. Lo scrittore lavora cercando di “sentirsi” quel personaggi e raccontarlo da dentro, senza giudicarlo.
Quanto coraggio ci vuole, per un’adolescente, a fare coming out?
Credo moltissimo. Non so cosa significhi, non ho dovuto vivere questa esperienza. Ma a volte mi arrivano racconti di chi ha fatto coming out e di chi invece serba ancora il suo “segreto” con enorme sofferenza per il timore delle reazioni.
Il comune denominatore di molte di queste vicenda è il travaglio interiore, il conflitto familiare, un’accettazione che, anche quando sembra esserci, non riesce a essere totale.
E quanto coraggio ci vuole, per un genitore, ad accettare l’omosessualità del figlio?
Ecco, questo credo che invece dovrebbe essere più facile. Si dice spesso che l’amore per un figlio travalica ogni cosa e credo sia vero – gli errori, le delusioni, le scelte sbagliate. Dunque mi chiedo come si possa erigere una barriera verso un figlio che chiede solo di poter amare nel modo che sente, senza costringerlo ad essere qualcosa che non è.
A volte, mi capita di leggere, c’è però un’umana preoccupazione. Ovvero quella di sapere che, nel mondo attuale, una persona apertamente omosessuale rischia di subire ancora discriminazioni o forme di violenza fisica o verbale, comunque di essere ferita per ciò che è. Penso che per un genitore sia una grande preoccupazione.
A volte lo sport – o la lettura, il volontariato, o qualsiasi attività – maschera il disagio di una condizione, come quella omosessuale, difficile da accettare. È così difficile accettare se stessi?
Non credo che lo sport o altre passioni mascherino qualcosa. Penso che a volte siano solo passioni e desideri, altre volte un modo per stare meglio, che è umano. Io pratico sport perché mi fa stare bene fisicamente, ma è anche un antidoto contro il dolore dell’anima, a volte.
Quanto all’accettazione di se stessi, io credo sia davvero una delle cose più difficili dell’essere umani, non solo in ragione della sessualità, ma nel suo insieme. Il senso di colpa può colpirci su tantissime cose, e credo sia anche un retaggio della cultura religiosa, di cui siamo comunque impregnati, anche chi, come me, è fermamente ateo.
Il cattolicesimo, se ci pensiamo, parte da una colpa originale (quella di una donna, Eva), le cui conseguenze ricadono su tutti gli uomini. Gli stessi comandamenti, le penitenze, le confessioni, i “mea culpa”. Se ci pensiamo, è un sistema enorme di colpe e sanzioni.
Definiresti il tuo libro una “lettura per giovani adulti”?
Lo definirei un libro, e credo che i libri non abbiano età, una volta che un lettore non è più bambino. Per questo lo consiglierei sopra i 13/14 anni, per alcuni passaggi.
Non tanto per i momenti di sessualità, quanto per alcuni passaggi riguardanti la violenza familiare e il bullismo scolastico, e il tema della depressione che colpisce uno dei co-protagonisti, che andrebbero affrontati potendone parlare con un adulto.
Nel salutarci, Riccardo ci ringrazia per lo spazio offerto al suo libro. Lasciamo ancora a lui la parola.
“Colpo su colpo” è un romanzo che ha incontrato molte difficoltà, rispetto a tutti i miei libri, e anche un certo ostracismo, laddove usualmente avevo una grande facilità di contatto.
Nelle scuole, per esempio, non è stato considerato quasi mai “adottabile”, per via del timore di reazioni di ostilità da parte delle famiglie degli studenti.
È vergognoso che la scuola ostracizzi libri come questo. Dovrebbe essere il contrario, dal momento che apprendimento e cultura servono a conoscere – e ad aprirci – al mondo. Speriamo che qualche insegnante coraggioso mi smentisca presto.