Dopo il mio coming out sono diventato “padre di mio padre”
Testimonianza di Vincenzo tenuta nella preghiera online nella Settimana di preghiera per le vittime dell’omofobia e della transfobia il 12 maggio 2021
Quando una persona che avevo conosciuto all’Arcigay ha telefonato a casa per dire che ero gay, mio padre, dopo aver avuto al conferma da un investigatore privato a cui si è rivolto, mi ha affrontato dicendomi: «Tua madre ed io abbiamo fatto tanto per non perderti… era meglio se fossi morto!» e, dopo avermi scaricato addosso una generosa scarica di schiaffi, mi ha vietato di uscire di casa per qualunque motivo a parte le lezioni di scuola.
Fu il servizio militare a liberarmi, perché presi la decisione di rendermi indipendente e di andare a vivere per conto mio, ma la nostalgia di casa era tanta e così, pensando che un certo equilibrio l’avessimo finalmente raggiunto, decisi di tornare a casa dei miei.
Dopo un breve periodo di calma, ricordandomi che casa nostra non era un albergo, mio padre è tornato alla carica con la pretesa di controllare tutto quello che facevo, solo che la persona che aveva di fronte non era più l’adolescente di un tempo, ma un giovane adulto deciso a difendere la sua libertà. La cosa per lui era inaccettabile e così, un giorno, urlandomi: «Io ti ho messo al mondo ed io ti ci tolgo!», mi ha aggredito fisicamente con il carrellino della spesa di mia mamma e ha iniziato a colpirmi con violenza su tutto il corpo.
Malconcio e insanguinato sono riuscito a trascinarmi al Pronto Soccorso dove hanno deciso di ricoverarmi.
Ero di nuovo da solo. Più solo di prima visto che mia madre, messa con le spalle al muro: dovendo scegliere tra me e mio padre, scelse di essere moglie. Il fantasma di un padre che aveva cercato di uccidermi me lo portavo dentro, perché tutte le volte che mi guardavo allo specchio, nel riconoscere alcuni suoi tratti nel mio viso, vedevo tratti di colui che, avendomi dato la vita, si era sentito in diritto di togliermela. La ferita era davvero grande, ma io sono riuscito a sopravvivere grazie alla mia caparbietà.
Deve essere stata quella caparbietà che mi ha dato il coraggio di tornare a casa mia quando, sei anni dopo, mio fratello ha chiesto il mio aiuto dopo che un incidente aveva decimato la famiglia dei miei.
Questo rientro è stato l’inizio di un nuovo viaggio in cui sono stato testimone degli sforzi, delle cadute e della volontà di rialzarsi per avvicinarsi a me che mio padre stava cercando di fare.
Mi sono quasi riscoperto “padre di mio padre”; felice di vedere i suoi progressi e ansioso davanti alle paure che lo bloccavano ancora. Il nostro rapporto è pian piano cambiato: lui ha iniziato a interessarsi ai miei progetti senza più giudicarli, mi ha aiutato nel ristrutturare la casa che avevo comprato e, alla fine, forse perché dovevamo recuperare il tempo perduto, abbiamo vissuto un rapporto ancora più profondo ed intenso di quello che lui stava vivendo con i miei fratelli.
La cosa è continuata anche quando, insieme a mia madre, l’ho accudito nella malattia che l’ha colpito.
Credo che sia stato un segno della provvidenza il fatto che il suo ultimo sguardo sia stato per me: il figlio che aveva rifiutato e che poi, perdonandolo, gli aveva fatto da padre.
TESTO VEGLIA> Veglia vittime omotransfobia del 12 maggio 2021 (Pdf)