Come fa la nostra Chiesa a dire che nostra figlia lesbica è “intrinsecamente disordinata”?
Testimonianza portata da Maria e Paolo, genitori cattolici con una figlia LGBT+ del gruppo Kairos Genitori di Firenze, all’incontro parrocchiale a Massa Carrara del 16 marzo 2023
In una sera di Gennaio di sei anni fa, dopo cena, mentre era seduta fra noi sul divano, nostra figlia Gioia, visibilmente inquieta, ci dice: “Ora dobbiamo proprio parlare”. Io le dico “Tranquilla, certo, parliamo, ma perché sei così agitata? Sei col babbo e la mamma che ti vogliono bene”. Lei riprende “Si, ma mi dispiace far star male le persone a cui si vuole molto bene”. Allora sì che siamo diventati inquieti anche noi, allarmati, mentre un turbinio di interrogativi volteggiavano in testa. Cosa sarà accaduto? Qualcuno le avrà fatto del male? Qualche decisione difficile da prendere? … Si vorrà forse fare suora?
Nulla di tutto ciò. Ci dice “Volevo dirvi che a me piacciono le ragazze”.
E lì abbiamo cominciato ad essere sconvolti noi. Nulla ci aveva fatto presagire questo. Era da non molto uscita da una lunga relazione con un ragazzo. Lei ora era uscita dall’armadio con il suo coming-out, noi stavamo per entrarci.
Certamente lì per lì non ne abbiamo azzeccata una di frase decente. Non ricordo bene, certo le ho detto comprensiva “ma può capitare di avere amicizie profonde che fanno venire il dubbio, può essere una fase transitoria, devi forse prendere tempo per chiarirti le idee”.
Tutte frasi che poi mi hanno detto essere sbagliate. Lei in realtà le idee le aveva chiare. Aveva fatto un percorso con uno psicologo da un anno, era sicura.
Di fronte a una realtà sbattuta in faccia così bell’e fatta c’era poco da discutere. Iniziavano le tipiche paure. Chissà quanto dovrà soffrire, quanti sorrisetti e prese in giro, chissà se è stata plagiata, influenzata dalla persona con cui ci ha detto di avere una relazione. Poi tutti i perché rivolti nella notte insonne al mio amato Signore: Che cosa ho fatto di male? Perché me l’hai data cosi? Cosa ho sbagliato nella sua educazione, le sono stata troppo appiccicata? Perché non potrà godere anche lei come me nell’avere un marito che la ami, dei figli, tutte le gioie grandi che il Signore mi ha donato nel mio percorso di innamorata, sposa, madre, nonna?
E dove va a finire tutto quello che con Paolo abbiamo proposto a tante coppie di fidanzati e giovani sposi, quel bel percorso con il Signore presente nel nostro amore di coppia, che ci ha guidato e fatti fiorire nel nostro essere sposi e genitori, tutto questo lei non lo potrà vivere? E potrà fare la Comunione? Come sarà adesso la sua vita di fede che sembrava così viva e profonda? La sua realtà ora sarà fuori dalla proposta di vita nuova che il Signore ci offre?
Mi sembrava dolorosamente di dover scegliere fra lei e il Signore in quella notte insonne, con tanto dolore nel cuore. Mi sembrava di essere come Giacobbe che lottò col Signore tutta la notte. Finché è emersa una frase amata della Scrittura “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo”. Una frase che avevo sentita vera per me e che ora sentivo detta dal Signore su di lei. Una frase che al mattino mi sono affrettata a scriverle in una breve lettera che le attestava tutto il nostro amore e tutta la nostra fiducia. Dopo averla letta lei si è precipitata piangente nel nostro abbraccio.
Ma non era finita, eravamo solo all’inizio di un lungo percorso per decorticarci di dosso tanti pregiudizi, tante idee sbagliate. Percorso lungo e doloroso per arrivare ad una vera accoglienza. Le parole ferivano. Preferivo farle sentire tutto il mio amore in lunghi abbracci silenziosi, aspettando che la tempesta del cuore si calmasse un po’. Avevo bisogno di ritrovarla, di lasciare l’immagine di lei che mi ero fatta e accoglierla così come era veramente, e questo ha richiesto molto tempo. Come una nuova gestazione. Come un nuovo parto. Certamente eravamo anche impauriti dalla prospettiva di dirlo in famiglia, agli amici, in comunità. Piano piano siamo usciti dall’armadio, con circospezione, prima in famiglia, poi con alcuni amici, da poco anche in comunità. Per quest’ultimo passo, parlarne in comunità, ci sono voluti sei anni.
Questo indica quanto poco sentivamo accogliente la comunità parrocchiale, prevedendo i pregiudizi che avevano abitato anche noi. Certamente le parole dure e senza appello del Catechismo pesano sul cuore come un macigno. Una Chiesa accogliente l’abbiamo incontrata in Suor Fabrizia, che ha capito il nostro sgomento, il nostro dolore, il nostro disorientamento. Ha pianto con noi, ha avuto fiducia in nostra figlia, ci ha spronato ad informarci, a metterci in contatto con una bella rete di altri genitori. Questo ci ha aiutato molto. Con loro e nella preghiera abbiamo imparato a guardare nostra figlia con nuovi occhi, con gli occhi di Dio che la amava così come era, vedendola bella e buona come ogni realtà creata dal suo Amore. Bella e buona non “non ostante” fosse omoaffettiva, ma proprio così come era, nella sua pienezza di persona completa. È stato anche importante l’incontro col Papa che ci ha detto che il Signore ama i nostri figli così come sono.
Quelle parole ci hanno restituito nostra figlia come persona completa, capace di amare, di ricevere amore, di donare comprensione e affetto, di costruire un progetto di vita con la persona che ama, di trasmettere amore a tutte le persone che incontra, nel lavoro come nelle amicizie. Capace di affrontare le difficoltà della vita perché sostenuta dall’amore, accolto e ridonato. Capace di affrontare le scelte di vita con onestà, rettitudine, ricerca del bene, cura per la fragilità che incontra negli altri e in sé stessa. Vivendo un legame di amore profondo con tutte le persone della famiglia.
Come fa la Chiesa a dire che lei è “intrinsecamente disordinata”? Perché la giudica “immorale”? Perché dovrebbe rinunciare ad esprimere pienamente, anche sessualmente, l’amore che prova, se la Chiesa stessa afferma che la persona umana è una totalità unificata di spirito e corpo? Perché la Chiesa non riconosce l’affermazione che già nei primi anni ‘90 l’OMS ha fatto, che l’omosessualità è una variante naturale della sessualità umana?
Se l’orientamento omosessuale appartiene profondamente all’identità della persona e non è una scelta, come si può affermare che vivere pienamente un amore che si ispira a Cristo per il suo pieno fiorire, che cerca di incarnare il dono di sé fino a raggiungere la pienezza, con la sua Grazia, non possa esprimersi negli atti del corpo? Il Signore non vuole forse che ogni persona fiorisca pienamente con tutti i doni che da Lui ha ricevuto?
Noi come genitori, vogliamo che i nostri figli e figlie realizzino pienamente la vocazione all’amore che Dio ha inscritto nel loro essere e non accettiamo giudizi sommari che derivano dai dettami di una legge che non accoglie la meravigliosa poliedricità delle persone – tutte belle perché amate senza limiti dal Signore.
Se lo scopo del cammino sinodale voluto da Papa Francesco ci chiede di:
“far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani”, allora noi genitori possiamo oggi esprimere il nostro sogno: che anche i nostri figli lgbt cristiani siano veramente accolti nelle nostre comunità ecclesiali con la pienezza dei loro doni, con la preziosità della loro fede provata, con la loro capacità di farsi prossimi alle fragilità, comunque vissute, con la loro caparbia fiducia nell’amore tutto abbracciante del Padre “che ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato” (Sap. 11,24).