Come gocce cinesi. Cosa ci dice il documento sulle benedizioni delle coppie queer?
Riflessioni di Tiziano Fani Braga
Sono passati due giorni e non ho voluto scrivere nulla a riguardo la lettera del Dicastero della Fede “Fiducia Supplicans” fino a questo momento. In tanti si sono espressi e tante parole sono state dette.
Personalmente trovo che sia stato fatto un piccolo passo epocale, già il riconoscere le coppie omoaffettive è molto se parliamo di Chiesa Cattolica, dobbiamo considerare che nelle nostre comunità esistono diverse tipologie di pensiero, da quelle più libere da preconcetti e aperti ad una versione al passo con i tempi, a quelle più tradizionalisti che utilizzando, come baluardi, testi e citazioni che, se non contestualizzati al tempo dell’autore, diventano vaneggiamenti.
A me piacerebbe analizzare invece vari contenuti della dichiarazione, partendo da una delle prime richieste che vengono fatte; “…ci invita a fare lo sforzo di ampliare ed arricchire il senso delle benedizioni“; facciamo tutti insieme questo sforzo, perché essenzialmente la benedizione è un dire-bene riguardo ciò che viene benedetto e una richiesta al Signore di stendere la Sua mano su ciò che è importante per l’uomo, perché Dio si mostra nella nostra quotidianità, e in primis nelle nostre relazioni.
Altro aspetto importante ci viene indicato dal rituale romano: “…perché questa finalità risulti più evidente, per antica tradizione le formule di benedizione hanno soprattutto lo scopo di rendere gloria a Dio per i suoi doni… “; quindi rendere gloria per qualcosa che consideriamo giusta perché porta frutto, una relazione umana, se come base ha l’Amore reciproco e il rispetto, è sempre un frutto della volontà di Dio e per questo dobbiamo lodarlo.
Con il tempo abbiamo perso il senso del significato della benedizione, abbiamo usato questo atto come uno strumento legato alla superstizione, cerco la benedizione la macchina perché così non commetto incidenti fino ad arrivare a benedire le armi per vincere le battaglie, che trovo a dir poco sacrilego.
Ma per secoli non si è benedetto l’uomo e le sue relazioni incentrate sull’Amore. Ecco ora qualcosa sta cambiando, trovo che questo documento, tralasciando le terminologie “giuridiche” che si scontrano sempre con la vera essenza dell’umanità, è un passo importante e necessario per far comprendere che non esiste niente di sbagliato in qualsiasi relazione umana.
Vorrei però che la benedizione, cioè questo Dire-Bene fosse un atto comunitario, che non sia solo un presbitero ad impartirla, ma che fosse l’itera comunità che, abbracciata in piena comunione e conoscendo le sue sorelle e fratelli in un cammino di fede profondo, possa essere la reale presenza di Dio che porta alta quella relazione dove si manifesta l’Amore, cioè intrinsecamente Dio stesso.
Il fatto stesso di eseguire queste Benedizioni al di fuori di un quadro liturgico lo trovo giusto se concepito attraverso una lettura profonda, il rendere liturgia tutta la nostra quotidianità, il nostro rapporto con Dio, che non passa solo quando siamo in un contesto liturgico, o in una chiesa o luogo sacro, e uscendo da questi luoghi finisce questa relazione perché si entra nella quotidianità; questo livello di relazione va superato e rendere il nostro rapporto con il Signore autentico e quotidiano, passando anche per questi momenti di Benedizione e di rendere gloria, con la gioia di essere figli di Dio, per ogni momento della nostra vita, in ogni contesto e nella piena libertà.
Concludo invitando alla perseveranza nella preghiera e nell’attività del nostro essere battezzati, ripeto che questo è stato, come ho scritto su Mosaiko (gruppo di cristiani LGBT+ di Roma), un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per la Chiesa.
I cambiamenti più duraturi si fanno con i piccoli atti e non con le grandi rivoluzioni… dobbiamo essere tante piccole gocce cinesi che scavano in questa pietra, trasformandola in un’opera d’arte.