Come i videogiochi possono aiutare le persone LGBTQ+ a essere se stesse
Articolo di Laken Brooks* pubblicato sul sito del quotidiano The Washington Post (Stati Uniti) il 23 marzo 2021, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Il bacio lesbico è stato un caso. Nel 1999 gli sviluppatori di “The Sims” mostrarono un prototipo del gioco nel loro stand all’Electronic Entertainment Expo (E3), il convegno più importante del mondo del gaming e della tecnologia. Nel gioco, i giocatori simulano una vita virtuale creando il proprio avatar, incontrando amici ed amanti e costruendosi una casa. Patrick Barrett, che è gay, ha sviluppato l’AI che determina le relazioni romantiche dei personaggi in “The Sims”.
Barrett ha lavorato con un vecchio codice. In quel momento non lo sapeva, ma il suo team aveva deciso di limitare le opzioni “romantiche” del gioco alle interazioni eterosessuali. Così, quando la simulazione del convegno mostrò due donne che si stavano sposando, la notizia della presenza di personaggi lesbici si diffuse velocemente tra i circa 60.000 partecipanti all’E3.
Questo matrimonio omosessuale in “The Sims” prevedeva una liberazione sessuale che non era possibile in altri giochi in mostra all’E3, né, in quel periodo, era ancora legale negli Stati Uniti. Oggi molti giochi, come “Stardew Valley” e “LongStory”, permettono ai giocatori di avere relazioni queer o di usare pronomi nonbinari. I giochi di simulazioni e di ruolo continuano ad aumentare la varietà degli avatar e delle loro relazioni.
In molti casi, questi giochi hanno aiutato parecchi utenti LGBTQ+ ad essere “visti” davvero per la prima volta.
Steven Arnold è un avido giocatore di “Dragon Raja” e di “Black Desert”, e non solamente per il gioco in se stesso. Entrambi hanno dei robusti sistemi di avatar, in cui Arnold può scegliere un certo numero di pettinature e vestiti, indipendentemente dal fatto di giocare in un ruolo “maschile” o “femminile”.
“Adesso mi sono tinto i capelli di ogni colore che esiste, ho provato il trucco e ho giocato con stili e mode diversi, ma mi ci è voluto un po’ per arrivare a questo punto” ha detto Arnold, “Qualcosa di così banale come giocare con l’aspetto di un avatar, anche se l’ho visto di spalle per tutta la durata della partita, mi è sembrato davvero molto confortante. Scegliere il trucco o un colore di capelli assolutamente pazzo per il mio avatar, per me era un modo per affermare il mio genere, anche se era qualcosa che non mi sentivo ancora di fare nel mondo reale. Mi ha offerto uno sbocco in cui mi sentivo davvero una persona potente, il personaggio principale della mia storia”.
La capacità di esprimersi in un videogioco può aiutare le persone LGBTQ+ a sentirsi più a proprio agio nella loro vita quotidiana, specialmente grazie all’effetto proteo: chiamato così in onore della divinità greca conosciuta per le sue capacità metamorfiche, l’effetto proteo si ha quando le persone, nelle situazioni virtuali (videogiochi, chat room e così via), iniziano ad adottare caratteristiche dei propri personaggi. Proprio come il Proteo mitologico può assumere molteplici forme, così i giocatori provano identità e vite nuove.
Nel 2007 il Dipartimento di Comunicazione della Stanford University ha iniziato a studiare le conseguenze dell’effetto proteo sui giocatori. I ricercatori Nick Yee e Jeremy Bailenson hanno condotto due esperimenti per osservare se e come l’aspetto fisico dell’avatar può influire sul comportamento del giocatore nel gioco.
Nel primo esperimento, i giocatori classificano diversi avatar secondo la loro attrattiva. Poi, ad ogni partecipante viene assegnato un avatar per giocare in un ambiente virtuale, dove può chattare con un altro avatar. I giocatori con gli avatar che ritengono più attraenti si comportano con molta più fiducia negli altri: camminano più vicino agli altri avatar negli ambienti virtuali, rivelando molte informazioni personali e iniziando più conversazioni.
Anche nel secondo esperimento Yee e Bailenson hanno studiato i giocatori che avrebbero cambiato i loro comportamenti secondo l’apparenza del proprio avatar. Questa volta i partecipanti erano coinvolti in una negoziazione virtuale. Era molto più probabile che chi aveva un avatar più alto domandasse più denaro rispetto a chi aveva avatar più piccoli.
Questo studio si è concentrato sull’apparenza fisica dell’avatar, ma i ricercatori continuano a studiare come anche caratteristiche più astratte come l’identità di genere, la sessualità, e le attitudini possano influire sul comportamento nel gioco, e a volte anche nella vita reale.
“Anche se, sul nostro corpo, le trasformazioni estreme sono costose (ad esempio la chirurgia estetica), o difficili da ottenere (ad esempio le operazioni per la riassegnazione di genere), la rappresentazione di sé è molto più flessibile nelle situazioni virtuali, in cui gli utenti possono scegliere o personalizzare i propri avatar, ovvero rappresentazioni digitali di se stessi” dichiarano Yee e Bailenson nel loro studio: “Chi scegliamo di essere influenza il nostro comportamento. I nostri avatar arrivano a cambiare le nostre azioni”.
Questi risultati hanno ovvie ramificazioni per i giocatori con background, identità sessuale e di genere marginali. Dalla sicurezza dei loro telefoni o degli schermi dei loro computer, i giocatori possono trasformarsi e vivere vite vicarie grazie agli avatar i cui tratti fisici rappresentano i propri sé ideali: androgini, femminili, mascolini, o (in giochi come l’indipendente “2064: Read Only Memories”) al di fuori del genere binario.
L’effetto proteo è una sorta di profezia psicologa che si auto-esaudisce. Molte persone LGBTQ+ vogliono cercare di provare diversi tipi di espressione di genere, e comunque potrebbero non sentirsi sicuri in pubblico nel truccarsi o nell’avere pettinature un po’ stravaganti. Dopo tutto, secondo un sondaggio sulle persone transgender negli Stati Uniti pubblicato nel 2015, il 46% delle persone transessuali e nonbinarie subisce molestie a causa della propria espressione di genere, e la stessa percentuale non si dichiara sul posto di lavoro, secondo uno studio del 2018 della Human Rights Campaign Foundation.
Le persone queer possono sentirsi più a loro agio con le proprie identità quando hanno dei modelli di ruolo LGBTQ+ che possono creare per se stessi nei videogiochi. L’effetto proteo può aiutare i giocatori queer a sentirsi meglio dopo aver visualizzato il proprio sé ideale come personaggio di un gioco di ruolo o di un simulatore, anche se in pubblico temono molestie o discriminazioni.
La giocatrice Kaehla Michele Bryant riconosce le ricadute dell’effetto proteo nella sua vita, dal momento che nei videogiochi ha relazioni LGBT+. Da piccola accettò di essere queer giocando a “The Sims”: lì poteva fare ciò che non avrebbe mai potuto ritenere possibile: avere una ragazza: “Adesso posso tranquillamente accettare di non essere affatto eterosessuale. Mi ha dato parecchie possibilità di indagare l’attrazione che provo verso le donne senza dover fare coming out”.
Kaehla ha fatto tesoro della sua Sim come modello di ruolo queer. Nel tempo, giocare l’ha aiutata a sentirsi più a suo agio nell’esprimere la sua identità fuori dal videogioco.
Anche oggi, molti giocatori faticano a trovare autentici personaggi queer in cui identificarsi. In “Assassin’s Creed Syndicate” i giocatori capiscono subito che il protagonista Jacob Frye non ha interessi romantici nei confronti delle donne. In seguito, i produttori del gioco hanno confermato che Frye è bisessuale, ma i giocatori hanno dovuto arrivare a questa informazione in base a determinati indizi.
Perché i giocatori LGBTQ+ possano trarre benefici dell’effetto proteo, è necessario che siano in grado di identificarsi con i personaggi queer e le loro relazioni. La dottoranda Andrea Medina ha scritto una dissertazione sull’identità nei videogiochi, spiegando come il gioco “Gone Home” sorprenda i giocatori etero con la storia di un coming out.
Il gioco inizia con la protagonista che torna a casa dopo un anno all’estero, ma non c’è la sua famiglia a darle il benvenuto. I giocatori leggono in piccoli riquadri note sulla casa vuota, e pian piano capiscono che Sam, la sorella della protagonista, è lesbica. Alcuni giocatori possono pensare che Sam si sia suicidata. Una lettera di addio e una vasca da bagno macchiata di rosso puntano ad una potenziale tragedia, che riflette i milioni di giovani LGBTQ+ che ogni anno pensano al suicidio.
Ma la conclusione del gioco è più lieta e positiva. La vasca è rossa di tintura per capelli, non di sangue. Questa narrazione organica “trasforma qualcosa che si pensa negativo in qualcosa di molto più profondo, e bellissimo. Si scopre che la sorella si è innamorata, e si è trasferita dalla sua ragazza. Alla fine del gioco, sai che tua sorella ha scelto di seguire il suo cuore nonostante la disapprovazione della famiglia. È qualcosa di simile allo scoprire un segreto su qualcuno che ti è vicino, fidarsi di lui e accettarlo per quello che davvero è” dice Medina. La trama di questa storia accende la speranza delle giocatrici e dei giocatori queer che non si sono mai sentiti accettati.
Quando il mondo reale non riesce a dare alle persone LGBTQ+ l’opportunità di esprimere il proprio genere e la propria sessualità, il mondo virtuale può essere un rifugio. Secondo uno studio del 2013 pubblicato da The Atlantic, le persone che possono esprimere apertamente la propria identità sono meno depresse, e meno portate al suicidio rispetto ai loro coetanei. E quando i giocatori LGBTQ+ non possono esprimersi nella loro vita quotidiana, trovano un’ancora di salvezza nei loro avatar inclusivi, come quelli dei giochi preferiti di Arnold, o nelle relazioni omosessuali che sostengono Brian.
Come con il bacio lesbico che scosse l’E3 nel 1999, i videogiochi possono creare un mondo dove le persone possano essere se stesse. Fortunatamente, le relazioni queer e la diversità di genere nei giochi di oggi non sono accidentali. I mondi inclusivi e virtuali possono far sì che i giocatori LGBTQ+ si sentano visti per la prima volta. E per queste persone, che possono esplorare e celebrare in modo sicuro le proprie identità in uno spazio virtuale, i videogiochi fanno sembrare il futuro un luogo più luminoso.
* Laken Brooks è inglese e si sta laureando in studi umanistici digitali e storia LGBT, e non solo, all’Università della Florida (Stati Uniti). È scrittrice freelance di libri sulle tecnologie del benessere. Avvertenza questo articolo contiene spoiler sul videogioco Gone Home.
Testo originale: How video games can help LGBTQ+ players feel like themselves