Come il Gay Pride 2002 di Padova divenne occasione di confronto tra gay e credenti
Articolo* di Guglielmo Frezzada tratto da Difesa del Popolo del 8 Dicembre 2007
La prima metà di giugno, per tradizione secolare, a Padova significa soprattutto attesa e preparazione alla festa di Sant’Antonio. Nel 2002, invece, quelle stesse giornate diventano il palcoscenico per l’appuntamento italiano del Gay pride.
Come già a Roma durante il giubileo, la concomitanza di date pare fatta apposta per suscitare reazioni, con l’estrema destra che minaccia controiniziative, il comune che alla fine rifiuterà il patrocinio, il mondo cattolico che domanda ragione di una scelta letta come un affronto alla sensibilità religiosa dei padovani.
Per la Difesa, tuttavia, il Padova pride si trasforma in una preziosa occasione per riaprire un dibattito sulla condizione omosessuale che il settimanale diocesano – tra la sorpresa di mezza Italia aveva già inaugurato nel 2001 dedicando una serie di articoli all’esperienza dei gay credenti.
In città dal 1997 hanno un punto di riferimento nel gruppo Emmanuele, che si incontra due volte al mese in una parrocchia per portare avanti il suo lavoro di riflessione sui temi esistenziali legati alla spiritualità e alla Parola.
Non è un’esperienza delle più pubblicizzate, ma vive a pieno titolo nel cammino pastorale della diocesi, «Nella consapevolezza – spiegano alla Difesa – che la condizione omosessuale non costituisce un ostacolo, ma rappresenta anzi uno dei talenti che il Padre ha dato a ciascuno di noi e che, come gli altri, è da far fruttificare».
Il gruppo Emmanuele l’8 giugno parteciperà al Padova pride così come Gianni Geraci, portavoce dei gruppi omosessuali cristiani in Italia, che pure il settimanale diocesano intervista. E nelle settimane precedenti l’evento arriva la riflessione congiunta del coordinamento di pastorale cittadina e dei frati del Santo a chiarire ancor meglio i cardini di un percorso che – seppur tra cautele e fatica – la chiesa cattolica ha da tempo intrapreso, per consegnare al passato ogni rifiuto e ostilità preconcetta.
«La fede è chiamata a dare un senso a questa realtà perché ciascuna persona possa sentire le parole di Gesù che dice “Alzati e cammina”. Una seria riflessione sulle persone omosessuali – spiega il documento che la Difesa pubblica a tutta pagina – chiede anzitutto di fare un po’di verità in noi e di liberarci da molti pregiudizi che coltiviamo nei confronti di questi fratelli e sorelle».
E dunque no alle generalizzazioni, perché ogni persona non può essere ridotta a un’etichetta o categoria; no ad alimentare sensi di colpa, che vanno invece superati una volta per tutte; no a un rigorismo capace solo di ingenerare angoscia; no ad atteggiamenti differenti da quelli usati verso l’eterosessualità.
«Nella chiesa – commenta il teologo Giuseppe Trentin – non è più possibile continuare a dire agli omosessuali: dovete convertirvi, dovete cambiare.
Siamo noi, eterosessuali, a dover cambiare un po’, o forse molto, nei confronti delle persone omosessuali e riconoscerle così come sono, non come noi vorremmo che fossero. Si deve prendere atto della loro condizione esistenziale. In ogni caso la diversità va sempre riconosciuta, non considerata insignificante».
La chiesa tende la mano e mostra la propria “maternità”. In cambio chiede però rispetto, e l’abbandono di forme esasperate di “orgoglio” che cancellano il dibattito e rinchiudono negli steccati dell’ideologia.
Tempo altri quattro anni, e a Padova una delibera del consiglio comunale apre mezza porta al riconoscimento ufficiale delle convivenze omosessuali attraverso la discussa, attestazione anagrafica di vincolo affettivo. Ma questa, a ben guardare, è un’altra storia.
* Si ringrazia il gruppo Emmanuele di Padova per averci segnalato questo articolo.