Come il suicidio di un figlio gay mi ha fatto interrogare sulla mia chiesa
Testimonianza di Jane Clementi pubblicata su huffingtonpost.fr (Francia) il 17 novembre 2018, liberamente tradotta da Valentina Picano
Che voi diciate, o lasciate dire a un pastore, che in vostro figlio c’è qualcosa che non va a causa della persona che ama è bullismo.
Come tutti i miei figli, Tyler aveva i capelli rossi, una caratteristica abbastanza rara visto che riguarda solo il 2% della popolazione mondiale. In effetti, ha ereditato molti dei miei tratti alla nascita. Del resto, mi hanno sempre detto che mi assomigliava molto.
Tyler aveva un dono per la musica. Questa passione, che l’ha attirato sin dalla più giovane età, costituiva un’ampia parte della sua identità.
Possedeva altre qualità non innate che l’ho incoraggiato a sviluppare: andare bene a scuola, essere un fratello maggiore vigile e un amico premuroso. Desideravo condividere la mia fede con lui e così l’ho portato in chiesa con la speranza di trasmettergli gli stessi valori a cui credevo, e l’ho circondato di una comunità affettuosa e protettrice.
Tyler era la somma di tutte le sue caratteristiche, sia per la sua natura sia per l’istruzione ricevuta. Era un ragazzo pieno di vita, intelligente e talentuoso. Si è suicidato a 18 anni dopo esser stato ferocemente cyberbullizzato all’università. A spezzarmi il cuore è stato il fatto che è stato vittima di bullismo a causa della sua omosessualità, un’altra delle sue caratteristiche innate, conferita dal Signore. Come per il colore dei capelli, non ha potuto scegliere a chi donare il suo cuore, ma è stato umiliato e distrutto per questo motivo.
Non lo so più come ero prima della morte di mio figlio. Perdere la persona con cui avevo tanto in comune, a cui ho tenuto la mano, di cui ho corretto i compiti, per cui ho tifato ai saggi di violino, ha radicalmente cambiato il mio modo di vedere il mondo.
Scopro anche in maniera diversa il bullismo e i danni che provoca. Avendo cresciuto mio figlio all’interno di una comunità cristiana, voglio rivolgermi a ogni genitore che vorrebbe modificare una delle caratteristiche divine assegnate al proprio figlio.
Durante l’anteprima del film “Boy Erased”, ho avuto l’occasione di constatare, ancora una volta, il ruolo predominante della religione nell’immagine che i nostri figli hanno di loro stessi. Tratto dalla biografia di Garrard Conley, il film racconta la storia coraggiosa del figlio di un pastore battista obbligato a farsi carico della sua omosessualità in una piccola cittadina americana. I genitori non riescono a conciliare l’amore che provano verso di lui con ciò che è. Temendo di perdere la famiglia, gli amici e la comunità, il giovane si vede obbligato a iniziare una terapia di conversione.
Che voi diciate o lasciate dire a un responsabile della vostra chiesa che in vostro figlio c’è qualcosa che non va a causa della persona che ama è bullismo.
Che una comunità religiosa consideri vostro figlio omosessuale o bisessuale come un essere anormale, indegno o perduto, qualcuno che bisogna curare o rimettere sulla giusta via, è bullismo.
Obbligare vostro figlio a fare una terapia apparentemente riparatrice è devastante e traumatizzante come i pugni di un bullo nel cortile della scuola. Niente di tutto ciò cambierà l’orientamento sessuale di vostro figlio.
Voler modificare ciò che Dio ha creato è fonte di danni inconsiderabili. La terapia riparatrice può condurre alla depressione, all’angoscia e al consumo di droghe, alla strada e a idee di suicidio. È stata giudicata da tutte le organizzazioni mediche e di salute mentale come una pratica tanto dannosa e illegittima quanto traumatizzante e dolorosa dal punto di vista mentale.
È semplicemente assurdo continuare a leggere la Bibbia come se fossimo nel primo secolo. Dobbiamo far uso del sapere e della saggezza che il Signore continua a trasmetterci nel XXI secolo. La ricerca ci ha mostrato che è impossibile modificare l’orientamento sessuale, esattamente come abbiamo scoperto che i capelli rossi e gli occhi blu, determinati dai nostri geni, sono immutabili.
Dalla morte di mio figlio, non vedo più gli insegnamenti e le tradizioni della Chiesa cristiana allo stesso modo e appartengo ormai a una comunità confessionale che riconosce le persone così come Dio le ha create.
Ho anche capito che, più di ogni altra cosa, i credenti devono dar prova di amore. Ci dicono che l’amore è paziente e buono, che ci dà protezione, fiducia e speranza. L’amore non ci delude mai.
Amare e accogliere vostro figlio omosessuale o bisessuale così come Dio l’ha creato non vi deluderà mai. La terapia riparatrice, invece, vi porterà dritti contro un muro, a voi e ai vostri figli.
Articolo originale: LE SUICIDE DE MON FILS HOMOSEXUEL M’A CONDUITE A RECONSIDERER MA FOI CHRETIENNE