Come la stampa nel passato ha alimentato l’omofobia nella società
Articolo di Anna North* pubblicato sul sito Vox (Stati Uniti) l’11 giugno 2019, liberamente tradotto da Alyssa Nocco
Nel 1935 un uomo di nome Paul Ivar fu assassinato a Los Angeles. Nonostante fosse lui la vittima, i giornali esaminarono il suo presunto “passato oscuro”. Il New York Daily News lo definì “un giovane nevrotico con una predilezione per gli accessori femminili e i compagni effeminati”.
Il giornale sosteneva che trascorreva del tempo con una “colonia di nevrotici”, tra cui donne che “la polizia diceva si vestissero abitualmente in abiti maschili”.
Il termine “nevrotico”, spiega James Polchin nel suo libro “Indecent Advances: A Hidden History of True Crime and Prejudice Before Stonewall”, pubblicato all’inizio di questo mese [giugno 2019], “era una parola in codice per definire una serie di trasgressioni sessuali e di genere” usata all’epoca.
Secondo Polchin, storico della cultura e professore di studi umanistici globali all’Università di New York, la colpevolizzazione delle vittime nei racconti dell’omicidio di Ivar era tipica del modo in cui la stampa copriva i crimini contro gli uomini omosessuali, o presunti tali, tra la prima guerra mondiale e la rivolta di Stonewall nel 1969.
All’inizio e alla metà del XX secolo gli uomini omosessuali e bisessuali erano particolarmente vulnerabili alla violenza.
Ciononostante, i crimini contro gli uomini omosessuali erano raramente riportati come tali dalla stampa. Polchin ha cercato negli archivi dei giornali termini come “uomo trovato ucciso in un hotel” o “marinaio trovato ucciso nel parco”, e ha raggruppato in ordine gli articoli secondo quello che lui definisce “le sottocorrenti dell’esperienza queer” (ad esempio, dettagli su dove o come la vittima e l’assassino si sono incontrati).
Quello che ha trovato è una raccolta di quelle che chiama storie di queer true crimes (autentici crimini queer), alcune in prima pagina all’epoca, altre sepolte e dimenticate da tempo, che tracciano una storia della violenza contro gli uomini omosessuali e degli atteggiamenti della società verso tale violenza. Queste storie criminose possono rivelare “un insieme di ansie e incertezze culturali”, e le storie che ha letto per scrivere Indecent Advances rivelano le ansie in evoluzione, ma sempre presenti, della società americana sugli uomini omosessuali e le loro vite nei decenni precedenti Stonewall.
Indecent Advances si ferma alle vicende degli anni ’60, ma, scrive Polchin, “mentre facevo le ricerche per questo libro, mi sono spesso confrontato con il fatto che queste storie non sono così lontane da noi”. Vediamo i loro echi negli omicidi di donne trans di colore, spesso sottovalutati dalla stampa tradizionale, e nel “continuo uso delle terapie di conversione, che ripropongono le argomentazioni del secondo dopoguerra secondo cui l’omosessualità è una condizione che può essere, e dovrebbe essere, curata”.
“Mentre la retorica, oggi, può essere diversa”, scrive Polchin, “gli sforzi per criminalizzare ed emarginare le persone queer non sono scomparsi”.
Polchin mi ha parlato per telefono della storia dei queer true crimes, e di cosa essa racconta dell’America di oggi. La nostra conversazione è stata riassunta e modificata.
Anna North
Le storie di queer true crimes su cui ha indagato, in che misura potremmo ora definirli crimini d’odio? Si tratta di crimini mirati contro gli uomini omosessuali, o si tratta di qualcos’altro?
James Polchin
È chiaro, penso, che gli uomini omosessuali erano un vero e proprio bersaglio, perché i colpevoli erano consapevoli del fatto che potevano derubarli o aggredirli senza incorrere in gravi conseguenze, soprattutto perché era in primis l’omosessualità ad essere condannata, di conseguenza gli uomini omosessuali erano in una posizione più vulnerabile dal punto di vista legale.
Ma la cosa interessante è che molte di queste storie di cui parlo riguardano uomini sposati con figli. Non è chiaro se si conformavano agli standard del momento, e avevano incontri occasionali con omosessuali, o se erano bisessuali, o se erano per così dire sessualmente fluidi. Ma ciò che emerge è che, criminalizzando gli atti omosessuali, non si prendono di mira solo gli uomini che vivono la loro vita come omosessuali, ma si colpisce un’intera gamma di pratiche sessuali come criminali o devianti, e quindi più vulnerabili.
Anna North
Quando parla di uomini omosessuali vulnerabili, è perché molti avrebbero avuto paura di rivolgersi alla polizia dopo aver subìto una rapina o un’aggressione, perché sarebbero stati loro stessi i primi ad essere condannati?
James Polchin
Esattamente, e questo è un elemento davvero preoccupante. Non solo questi uomini erano vittime di aggressioni, ma forse non si sentivano in grado di rivolgersi alla polizia, perché sarebbero stati visti come criminali. A quel tempo, le leggi sulla sodomia criminalizzavano l’omosessualità, quindi non si poteva fare alcun ricorso al sistema giudiziario.
Anna North
Per dare ai nostri lettori un’idea di come sono state queste storie, ce n’è una in particolare che le è rimasta davvero impressa mentre faceva le sue ricerche?
James Polchin
In realtà ce ne sono due che mi hanno davvero colpito, in modi diversi. Una è dei primi anni ’30, e a dire il vero si tratta di due omicidi. L’assassino si chiama Kenneth Neu: aveva incontrato la sua prima vittima a Times Square, era andato nell’appartamento della vittima nel New Jersey, e aveva apparentemente trascorso alcuni giorni con lui.
I due uomini avrebbero avuto, secondo quanto da lui dichiarato, un litigio che poi divenne molto violento, e Neu finì per uccidere il suo compagno. Più tardi avrebbe raccontato che la vittima ci aveva provato con lui, definendo l’azione “un’avance indecente”, un modo comune nella stampa degli anni ’30 e ’40 per spiegare e giustificare la violenza e l’omicidio.
Successivamente prese la macchina della vittima insieme ai suoi vestiti, e guidò fino a New Orleans. Lì si incontrò con un uomo più anziano, sposato e con figli, che era in città per affari, finì per strangolarlo e picchiarlo brutalmente a morte in una stanza d’albergo. Infine tornò sulla costa orientale, fino a New York, dove fu arrestato.
La sanità mentale di Neu è stata parte importante del processo a New Orleans: bisognava stabilire se fosse effettivamente sano di mente. L’accusa sosteneva che l’uomo fosse normale e completamente sano di mente. Una parte fondamentale del dibattito fu un commento riguardante il primo omicidio nel New Jersey: “Qui c’è un uomo che ci ha provato con lui, e lui lo ha rimproverato violentemente. Questa è una prova della sua normalità”.
È una storia che si ripeterà più e più volte nelle aule di tribunale durante gli anni ’30, ’40 e ’50, secondo cui la normalità di una persona è definita dal fatto che ucciderebbe l’uomo che ci ha provato.
C’è un’altra storia che accadde qualche anno dopo, negli anni ’30 a New York. La vittima era un uomo che si era trasferito dalla Virginia e aveva vissuto a New York per alcuni anni, lavorando in teatro e nella vendita al dettaglio. È chiaro che viveva una vita da omosessuale. Aveva portato a casa due uomini che aveva incontrato nei bar, che lo avevano legato e picchiato brutalmente a morte.
Una volta arrestati e finiti in tribunale, la famiglia della vittima non volle andare al processo, perché temeva la pubblicità che ne sarebbe derivata rendendo nota l’omosessualità del figlio. Dunque optarono per un’accusa minore per i due uomini che avevano commesso il crimine.
Io capisco perché la famiglia l’abbia fatto, per proteggersi in qualche modo, ma è veramente straziante vedere queste storie, perché continuano a mantenere il silenzio su questo tipo di violenza e di vittimizzazione.
Anna North
Quali sono i motivi?
James Polchin
Ciò che mi affascinava nella ricerca era come queste storie di crimini riflettessero davvero le ansie dell’epoca. Negli anni ’30, gli anni della Depressione, queste storie di uomini della classe operaia e compagni più ricchi erano molto seguite. Le storie criminose di quel periodo riguardavano anche l’ordine pubblico, come lo Stato fosse in grado di mantenere in modo costante l’ordine pubblico in un periodo che sembrava molto instabile e molto caotico.
Negli anni ’50, nel Dopoguerra e nel periodo della Guerra Fredda, si sente l’influenza del sessuologo Alfred Kinsey e delle nuove teorie dell’omosessualità, che la considerano una minaccia invisibile. Lo si può vedere nelle storie criminose, si vedono queste idee di omosessuali e comunismo: “Non si sa mai chi potrebbe essere un omosessuale”, e le storie giocano anche su questo; ci sono molte storie di uomini sposati, uomini sposati con figli, uomini apparentemente etero che si sono impegnati a rimorchiare altri uomini per portarli in una stanza d’albergo.
Le storie criminose riflettevano un insieme di valori e credenze culturali intorno al crimine, alla sessualità e alla politica nei decenni precedenti a Stonewall.
Anna North
Come sono emersi il razzismo e il classismo nelle storie che ha letto?
James Polchin
Stavo lavorando principalmente sulle storie della stampa tradizionale nei decenni precedenti il movimento per i diritti civili. Le pagine di cronaca nera erano segregate, come il resto della società: si vedono i pregiudizi razziali e di classe anche nelle storie criminose.
Era raro trovare un articolo su un uomo bianco che uccideva un uomo nero, nella stampa tradizionale. Ci sono alcune storie di un bianco che uccide un nero riportate dalla stampa afroamericana.
Negli anni ’30, durante la Depressione, le preoccupazioni per gli uomini della classe operaia e la violenza erano prominenti nelle pagine di cronaca nera, di conseguenza anche in questi queer true crimes.
Quello che era altrettanto interessante, e dovrebbe leggere come scrivevano a riguardo, era vedere come la stampa afroamericana riportava in modo diverso gli stessi crimini che coinvolgevano uomini neri e uomini bianchi rispetto alla stampa tradizionale.
Anna North
Quali erano le differenze?
James Polchin
Le storie che venivano riportate dalla stampa afroamericana tendevano a parlare di come l’afroamericano autore del crimine fosse anch’esso vittima del sistema. Spesso la stampa afroamericana offriva più una critica al sistema giudiziario, e a come si occupava dell’assassino, piuttosto che al crimine stesso.
Anna North
La mia ultima domanda riguarda il true crime in generale. Siamo in un momento in cui c’è una sorta di ossessione sempre più diffusa per le storie di true crimes. Data la tua ricerca sulle storie di queer true crimes, cosa ne pensi della nostra ossessione culturale?
James Polchin
Per molti anni ho tenuto un corso all’università di New York sulla storia dell’omicidio, l’idea dell’omicidio come una storia da raccontare, nella narrativa poliziesca, nei misteri dell’omicidio o nel true crime.
Quello che mi affascina è come le storie criminose concentrino un insieme di ansie e incertezze culturali, che si tratti di razza, classe, sessualità o di politica. Guardando le storie di true crimes nella stampa mi sono chiesto: “Come possono queste storie aiutarci a capire l’omosessualità, la sessualità queer, in quel periodo?”. Se da un lato è importante recuperare queste storie, dall’altro esse ci permettono di raccontare la storia più vasta che questi racconti ci schiudono, in quanto essi amplificano le preoccupazioni più pressanti di quel periodo.
* Mi occupo dei temi della cura e dell’educazione in America, delle politiche sulla cura dell’infanzia, della scuola, della sanità riproduttiva, del congedo pagato e altro ancora. Sono arrivata a Vox passando per il New York Times, dove ho ricoperto vari incarichi e sono stata membro del comitato di redazione. In Italia sono stati pubblicati due miei libri: Vita e morte di Sophie Stark (Astoria, 2020) e Fuorilegge (Astoria, 2021).
Testo originale: Queer true crime stories of the past show how the press stoked fear of gay men