Come mio padre ha conciliato il suo amore verso Dio e per il suo figlio gay. Un salto nel buio
Articolo di Timothy White* pubblicato sul sito de The New York Times (USA) il 5 febbraio 2025, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata. Terza e ultima parte.
Leggi la prima e la seconda parte
Dal diario di mio padre. 6 febbraio 2016. Timothy ha sedici anni.
Questa settimana alcuni membri della congregazione hanno inviato una e-mail a me e a Jason [allora co-pastore della chiesa] dicendo che avrebbero lasciato la City Church. Jason ha detto che la cosa lo ha reso triste. Per me, beh, mi ha fatto arrabbiare ancora di più. Suppongo che sia perché la rabbia copre la tristezza – ci si sente così impotenti quando si è tristi, quindi preferisco la rabbia. Ma una parte di me è felice che questi particolari membri se ne vadano: si sono allontanati da me da quando ho detto loro che Timothy era gay. Ho chiesto loro se potevano condividere i motivi per cui si erano allontanati dalla City Church; hanno risposto dicendo che non si erano allontanati. Poi ho ricevuto un’e-mail che diceva che se ne stavano andando, senza nemmeno avere la dignità di dirmelo in faccia.
Padre, devono sentirsi molto spaventati e forse traditi per agire in questo modo. Senza dubbio si sentono feriti da me. Padre, sento che non riesco a riconciliarmi con loro. Mi sento incapace di fare qualsiasi cambiamento in quello che sembra un fondamentalismo evangelista monolitico – e mi sento come se ne fossi stato travolto. È qualcosa di molto più grande rispetto all’allontanamento di questi membri. Padre, abbi pietà di me. Padre, li perdono. Allarga il mio cuore con l’amore, crea in me una maggiore capacità di sopportare e amplia la mia comprensione della tua grazia per me e per gli altri. E prego per avere la possibilità di riconciliarmi con loro.
Parte di questo itinerario di riflessione teologica ha a che fare con la situazione emotiva di questa settimana: mi sento solo. Alcuni altri membri della chiesa mi hanno mandato un messaggio lunedì mattina (dopo che li avevo contattati per la terza volta) dicendomi che non volevano incontrarmi – che se ne stavano semplicemente andando e che non avrebbero parlato con me faccia a faccia.
12 marzo 2016
Questa settimana mi hanno chiesto tre volte a che punto sono con la questione LGBT+. Il problema è che le persone sanno che sono il pastore e che, anche se sono solo un “partecipante” al gruppo di studio, sanno che il mio parere è molto più rilevante – quindi vogliono sapere come vedo le cose. Ecco cosa ho detto.
Credo che l’attrazione sessuale possa cambiare e che Dio sia coinvolto in questo cambiamento. Credo che un sano accompagnamento pastorale cristiano possa svolgere e svolga un ruolo nel modificare l’orientamento. Attualmente sto lavorando con almeno una persona nel percorso di cambiamento della sua attrazione per le donne in attrazione per gli uomini, perché sono convinto che questo sia il progetto di Dio nella sua vita, e voglio farne parte.
Credo che Dio chiami le persone alla castità. Credo in un discepolato che sia esigente. Credo che il nostro orientamento sessuale non sia la nostra identità principale, ma che la nostra identità principale sia determinata da ciò che Dio dice che siamo e ciò che Lui ci chiama a essere. Sono in contatto con un certo numero di persone omosessuali che stanno intraprendendo il cammino della castità e sono fermamente convinto di incoraggiare il loro impegno per rimanere casti, compreso un uomo gay single e un uomo gay sposato con una donna.
Nella Bibbia leggo che Dio concede a Israele un re, anche se gli israeliti lo volevano in aperto contrasto con il volere di Dio, e poi Dio benedice il re, ispira salmi in onore del re e stabilisce con Davide un’alleanza che garantirà sempre un erede sul trono. Dio si è adattato a situazioni che non facevano parte del suo piano originario e ha benedetto anche persone in condizioni di vita non perfette.
Non posso dimenticare quanto Gesù fosse radicalmente inclusivo nei confronti di tutte le persone e quanto generosamente estendesse l’accoglienza nel regno di Dio. Egli offre un riconoscimento e benedice costantemente gli stranieri, le minoranze e coloro che sono ai margini. Ha esteso a tutti l’amore incondizionato e ha detto che tutti gli insegnamenti delle Scritture trovano il loro compimento nell’amore.
È stato pesante per me leggere questo passaggio del diario. Pensare a mio padre che si arrovellava con le idee sulla castità e sulla possibilità che un accompagnamento pastorale cristiano potesse modificare l’orientamento sessuale – queste idee riecheggiano le basi delle terapie di conversione.
Questo paragrafo, però, chiarisce quanto mio padre stesse percorrendo il difficile cammino di comprendere realmente ciò in cui credeva, non solo di premere un interruttore teologico. Riflette anche che, anche mentre cercava di elaborare la sua visione teologica, con vera angoscia, rimaneva impegnato nella cura pastorale della sua congregazione, che comprendeva persone con diverse esperienze di sessualità e di fede.
Sebbene l’annotazione non descriva il punto di arrivo della riflessione teologica di mio padre, mostra come ci sia arrivato: accompagnando le persone nel loro percorso personale, man mano che lui faceva il suo. Anche se questo brano è pesante per me da leggere ora, l’ultimo punto dimostra perfettamente come la base della fede di mio padre sia rimasta stabile: Gesù al centro, che estende l’amore incondizionato a tutti e insegna che tutti i precetti delle Scritture trovano il loro compimento nell’amore.
Dal diario di mio padre
16 marzo 2016
Ho incontrato un altro membro della comunità che andrà via domani per benedirlo. Ahi. Sono preoccupato per alcuni altri, che immagino saranno i prossimi a lasciare la City Church. La questione LGBT+ è stata davvero terribile per le persone, e alcune se ne stanno andando invece di parlare.
Padre, sono triste. Sto dando il mio cuore a questo percorso LGBT+, è già stato molto doloroso e non abbiamo nemmeno iniziato. Tutte queste persone “là fuori” sono “così orgogliose” di me, ma qui a casa stiamo subendo un colpo dopo l’altro.
10 agosto 2016
A luglio avevamo registrato la più bassa affluenza domenicale degli ultimi due anni, con una media di centoventidue persone ogni domenica. [In quel mese Jason lasciò la comunità perché la sua famiglia aveva deciso di trasferirsi in Iowa; alcuni che lasciarono la congregazione in quel periodo lo fecero a causa della partenza di Jason].
21 agosto 2016
Oggi abbiamo accompagnato Timothy all’aeroporto di Los Angeles [per il suo primo anno di college]. Tante lacrime. Soprattutto quando, nell’abbraccio finale, ho chiesto: «Chi sei?». «Figlio d’onore» è stata sempre la stessa risposta, da quando ha cominciato a parlare.
29 agosto 2016
La partecipazione domenicale della comunità è scesa ieri a meno di cento persone. Padre, non so cosa fare.
30 giugno 2017
E, come se qualcuno volesse gridarmi nell’orecchio per assicurarsi che non mi sfugga il punto, proprio oggi ho ricevuto per posta un biglietto di due frasi che diceva: «Bill – è con profondo dispiacere e dolore che ti dico che non siamo più amici! Per favore, toglimi dalla lista di persone per cui preghi e da ogni futura e-mail». È stato un pugno nello stomaco.
7 settembre 2017
Una persona della congregazione mi ha fatto notare che non potevo essere sia il pastore della comunità LGBT+ che della parrocchia City Church.
28 ottobre 2017
Domenica scorsa abbiamo avuto cinquanta adulti presenti alla funzione, il che è stato a dir poco scoraggiante per me.
Questa settimana sono stato anche strigliato da un membro che riteneva che non avessi avuto abbastanza coraggio nel gestire la questione LGBT+. [Bill ha incluso nel diario un messaggio aggressivo che definiva il suo tentativo di compromesso un altro tipo di esclusione e un insulto ai membri LGBT+ della chiesa, attribuendo l’approccio di Bill alla sua identità come quella tipica di un maschio bianco eterosessuale].
A questo punto, era passato più di un anno e mezzo da quella che sembrava una sequenza infinita di persone che lasciavano la City Church e mettevano in discussione la leadership di mio padre. Alcuni di coloro che andavano via erano persone che mio padre conosceva da anni, persone che mi avevano accudito quando ero piccolo, che si sedevano accanto a me in chiesa, con i cui figli ero cresciuto.
L’anno successivo alle elezioni del 2016 è stato un periodo di contrasti in molte chiese; come se non bastasse, un fiume di persone se ne andavano perché non erano d’accordo ed era in piedi un gruppo di studio che deliberava su una delle questioni più controverse del cristianesimo contemporaneo – e tutto questo si scaricava sulle spalle di mio padre. Ha sempre avuto un’energia e un ottimismo senza limiti, ma quando in quel periodo parlava della City Church, potevo sentire il dubbio e la stanchezza insinuarsi in lui.
Quando leggo queste pagine di diario sulle partenze improvvise e dolorose e sulla diminuzione delle presenze, lo immagino a pensare: la chiesa – e il mio lavoro di pastore – ce la faranno a superare tutto questo? A cosa serve un processo ragionato e solido di definizione di una posizione teologica se alla fine non c’è più una comunità?
Fa paura rendersi conto di essere cresciuti o cambiati e di non rientrare più nella propria vita come prima; ci si trova di fronte alla scelta di rimanere ancorati al passato, sentendosi insinceri e fuori posto, o di parlare con chi ci circonda con onestà e rischiare di perdere la propria comunità. Parlare di come si è cambiati significa cambiare realmente, fare un salto nel vuoto e perdere per sempre la base stabile che si aveva.
Alla fine del 2017, quando il gruppo di studio iniziò a trarre le sue conclusioni, mio padre, con l’approvazione del gruppo, iniziò a guidare la nostra chiesa verso l’inclusione. Ha persino preso posizione all’interno dell’organizzazione più grande che governa la nostra chiesa – la Classis – come vedrete in questa lettera, che ha incluso nel suo diario.
Quello che vedo in questa lettera è una persona che, dopo un lungo percorso, ora ha compreso con certezza quali sono le proprie priorità: vuole offrire una casa alle persone che vogliono conoscere Gesù. Questo è tutto; il resto per lui non conta.
Dal diario di mio padre
18 novembre 2017 – Riunione del comitato esecutivo di Classis
La City Church di Long Beach ha attraversato molti cambiamenti negli ultimi tempi, e ne stiamo venendo fuori con un chiaro senso dei nostri obiettivi ed una energia che sono convinto provenga dal cuore di Dio – e abbiamo bisogno del vostro permesso per andare avanti.
A causa del percorso portato avanti dal nostro gruppo di studio LGBT+, ora siamo la metà di quelli che eravamo diciotto mesi fa. Le persone che stanno arrivando sono residenti della nostra comunità e sono di orientamento progressista. Vogliono far parte di una chiesa che si concentra su Gesù e che accoglie tutti i tipi di persone, comprese le persone LGBT+.
I nostri conservatori più convinti se ne sono tutti andati in altre congregazioni locali e, anche se ci sono ancora nella comunità un buon numero di conservatori moderati, si stanno tutti convincendo che Dio ci sta aprendo le porte per servire coloro che sono nella nostra comunità, non coloro che se ne sono andati.
I conservatori hanno molti posti dove andare: nessuna delle persone che hanno lasciato la nostra chiesa è rimasta senza chiesa. Ma se noi cessassimo di esistere, i settanta che sono rimasti non avrebbero un posto dove andare.
La neo-reverenda Brenna Rubio e io abbiamo lavorato a un programma di pianificazione strategica, chiarendo la nostra visione di essere una comunità accogliente in maniera radicale, in cammino verso Gesù, unendosi a lui nel rinnovamento di tutte le cose. E le persone stanno arrivando.
Il problema è questo: i non cristiani chiedono la nostra posizione nei riguardi della questione LGBT+ prima ancora di varcare la soglia, come cartina di tornasole per decidere se verranno o meno. Possiamo discutere se questo sia giusto o meno, ma non possiamo discutere se sia la realtà. È semplice: verranno solo in una comunità religiosa che accoglie realmente le persone LGBT+ e non in una chiesa che fa quella che chiamano “finta” accoglienza in quella che chiamano “appartenenza di seconda classe”.
Nell’ultima settimana ho avuto conversazioni con una mezza dozzina di adulti proprio su questo argomento – alcuni omosessuali, la maggior parte eterosessuali; alcuni cristiani, la maggior parte no; e mi hanno chiesto: «Questa chiesa è davvero quello che dite che sia? È veramente accogliente a tutti i livelli della gerarchia o discrimina in base all’orientamento sessuale? Celebra matrimoni di coppie omoaffettive?». Queste sono le domande critiche che i non cristiani si pongono per decidere se questo è un luogo in cui possono intraprendere il loro cammino spirituale.
Domenica una donna mi ha detto che lei e il marito ebreo avevano appena abbandonato la chiesa che frequentavano di tanto in tanto perché non accoglieva veramente le persone omosessuali, e che la scelta era tra noi o la chiesa unitariana universalista: cosa dovrei rispondere? «Certo, vai in quella chiesa che non insegna nulla su Gesù mentre la nostra congregazione cerca di capire come stanno le cose».
Permettetemi di dirlo molto chiaramente: non credo che la City Church di Long Beach sarà qui tra un anno se non realizziamo la missione a cui Dio ci ha chiamati. Se respingiamo le persone che Egli ci sta inviando, il nostro servizio domenicale sarà frequentato da un numero sempre minore di persone e alla fine morirà. Inoltre, se non riusciamo a vivere ciò in cui crediamo, anche le nostre anime si impoveriranno e moriranno. Chiuderemo le nostre porte e chiuderemo i nostri cuori.
Non voglio far esplodere la Classis. E non voglio più litigare con nessuno su queste cose. Voglio solo seguire Gesù e far conoscere ad altri la splendida notizia che porta attraverso il Vangelo, la famiglia che porta il suo nome e la missione a cui li chiama in questo mondo.
Tutto ciò che chiedo è che la City Church di Long Beach non si opponga al percorso dei non cristiani che cercano Dio. Sono disposto a fare tutto ciò che mi dite di fare, tranne che mettere ostacoli sul cammino di coloro che desiderano la salvezza che noi abbiamo ricevuto con tanta generosità in Cristo.
Vi prego di darmi indicazioni su come procedere. Solo in Cristo, Bill
28 gennaio 2018
Come mi è successo per il compimento dei cinquant’anni, gli ultimi anni di discussione sulle questioni LGBT+ mi hanno sorpreso per il dono che sono stati per me. Mi sento molto meno spaventato, meno ansioso.
Quando Timothy ha fatto coming out, ero pieno di insicurezze e di domande, di dubbi e di paure. Ma ora mi trovo in una situazione diversa. Ciò che è cambiato per me è che, entrando nelle acque profonde delle discussioni difficili all’interno della Chiesa, sono stato costretto a intraprendere un viaggio interiore per affrontare le domande su ciò in cui credo, su ciò che ritengo giusto o sbagliato.
Su cosa si basa la mia fede? Che cosa mi accadrà se mi allontano dalla tradizione della Chiesa? Amerò coloro che Dio mi ha chiamato ad amare – e se questo include persone con cui non sono d’accordo?
È come se Dio volesse farmi crescere attraverso questo processo! Certo, le domande su come accogliere le persone LGBT+ nella Chiesa sono molto importanti. Tuttavia, riflettendo sugli ultimi anni, mi rendo conto di ciò che sono stato tentato di tralasciare: che l’opera principale di Dio per me è stata il suo lavoro dentro di me.
Cerchiamo di allontanare il disagio, di pensare alle questioni in astratto, di fingere di non essere coinvolti, di evitare di dover fare il lavoro scomodo di cambiare. Eppure, Dio è sempre alla ricerca del nostro cuore, senza stancarsi mai.
Ho iniziato questo viaggio senza volerlo, ma mentre si avvia alla conclusione mi ritrovo pieno di gratitudine. Sono grato a Dio per avermi amato lungo il cammino, per avermi cambiato lungo il cammino. E anche se non è facile, sono grato per la chiamata a diventare accogliente in modo radicale – non solo nei confronti di coloro con cui sono d’accordo, ma anche nei confronti di coloro con cui non sono d’accordo.
11 gennaio 2019 – Un anno dopo
Includo questo testo. [Bill ha copiato nel suo diario una serie di messaggi di un amico che diceva di essere «per sempre grato» per il sostegno di Bill, ma continuava con «amico, stai portando tuo figlio e la tua chiesa fuori strada» e definiva Bill «perso»].
13 gennaio 2019
Il convegno della Q Christian Fellowship [un evento per cristiani LGBT+] è stata un buon convegno. C’è una sensazione di freschezza e di incoraggiamento nell’essere circondati da persone queer. Hanno trascorso così tanto tempo ai margini – c’è molto più spazio per Gesù.
Alcune cose erano un po’ lontane dalla mia visione: c’era spazio per il poliamore, con il quale non mi sento a mio agio, e alcuni temi di etica sessuale sembravano un po’ troppo liberi. Ma Gesù è ancora accolto in modo così esplicito.
Nel 2013 mio padre aveva scritto che odiava l’omosessualità «più di qualsiasi altra cosa al mondo». Sono felice, alla fine, che mi abbia amato così tanto da essere disposto a rivedere questa convinzione.
Quando ho letto per la prima volta la lettera di mio padre alla mia futura moglie, tutto il suo amore e le sue aspettative per chi sarei diventato sono saltati fuori da una capsula del tempo e mi hanno colpito nel profondo. Ho avvertito tutto il peso del suo amore, che mi ha sopraffatto prima ancora che nascessi.
Ho avvertito anche la visione chiara che lui aveva di come sarebbe stata la mia vita, come desiderava così profondamente che io avessi una relazione profonda simile a quella di Cristo nell’unico modo in cui credeva possibile: con una donna.
Eppure, per essere una lettera scritta alla futura moglie di un figlio non ancora nato, non era nemmeno particolarmente genderizzata. Non c’erano le aspettative di sottomissione che così spesso la cultura evangelica proietta sulle donne. Ciò che mi ha colpito, mentre leggevo, è che questa lettera è stata strutturata come una lettera alla mia futura moglie, ma in realtà era una riflessione sulla cura delle relazioni, sia tra le persone che con Dio. Questo, credo, è la ragione profonda per cui mio padre ha potuto fare quello che ha fatto.
Quando ho iniziato a leggere i suoi diari, sapevo già quanto la vita, le opinioni e il lavoro di mio padre fossero cambiati negli ultimi vent’anni. Ma mi ha colpito anche ciò che era rimasto costante: il suo impegno verso Gesù e il suo amore per me, anche quando non sapeva dove lo avrebbe condotto dal punto di vista teologico o professionale.
All’inizio, temeva che il mio essere omosessuale non solo avrebbe significato non avere una nuora, come aveva immaginato prima della mia nascita, ma anche perdere gran parte di ciò che lui stesso riteneva di essere. In un certo senso, è stato così: ha un lavoro diverso, molte persone hanno lasciato la nostra congregazione e la sua comprensione delle Scritture è cambiata profondamente. Ma non ha perso il suo Dio, né suo figlio, come un tempo aveva temuto potesse accadere.
Sentire che le fondamenta della propria teologia si stanno modificando può sembrare astratto, ma è quasi impossibile sottovalutare il terrore che questo comporta per chi ha fatto di questo la propria vita. Sarebbe molto più facile allontanarsi dal tipo di domande che mio padre si è trovato a dover affrontare.
Al contrario, lui ha affrontato quel terrore e ha affrontato la sofferenza interiore che derivava dal rendersi conto che il mondo non era andato come avrebbe dovuto, come gli era stato detto che sarebbe andato, come si era immaginato. Ha valutato ciò che contava davvero per lui nel profondo. E poi ha ridefinito le sue convinzioni, i suoi comportamenti e il suo lavoro in base a ciò – tra l’altro, ha recentemente fondato un’associazione senza scopo di lucro dedicata ad aiutare altri pastori e chiese a riflettere sulle loro questioni relative all’inclusione di persone omosessuali e transgender.
Mio padre ha recentemente descritto tutto questo come un «rinascere di nuovo e ancora di nuovo». Il suo è senza dubbio un itinerario di fede. Ma non credo che le qualità che hanno permesso questo rinnovamento siano esclusive della vita di fede.
Viviamo in tempi dogmatici; ognuno di noi può imparare cosa significa passare attraverso quello che si può definire il processo di rivalutazione delle proprie fondamenta morali – farlo, con il tipo di onestà radicale di mio padre, significa emergere dall’altra parte con una percezione più forte di chi si è e di ciò che è veramente importante.
Dal Diario di mio padre
26 gennaio 2019 – Quattro anni dopo il coming out di Timothy
Mentre Katy pregava ieri sera, ti ha ringraziato per il dono straordinario del coming out di Timothy – e per come pensavamo che fosse la fine, ma era solo l’inizio di una vita piena, vera e vibrante in Cristo. Padre, grazie per aver creato nostro figlio omosessuale. Perdonami per come ho accolto male questo dono.
*Timothy White lavora nel campo della comunicazione politica. Mentre era al college, è stato presidente di un’organizzazione studentesca per i cristiani LGBTQ+. Frequenta la City Church di Long Beach in California.
**Bill White è stato pastore per venticinque anni e co-pastore della City Church Long Beach per 12 anni. Ha co-fondato e dirige l’organizzazione Small Church Big Table, che aiuta i leader religiosi che stanno pensando alle domande LGBTQ+.
Testo originale: How My Dad Reconciled His God and His Gay Son