Come papa Francesco ha aperto le porte del Vaticano alle persone transgender. L’incontro
Articolo di Anthony Faiola* e Stefano Pitrelli** pubblicato sul sito del The Washington Post (Stato Uniti) il 5 maggio 2024, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La tenda di Gionata, prima parte
CITTÀ DEL VATICANO. I gabbiani si libravano su piazza San Pietro mentre Laura Esquivel, che indossava pantaloni di pelle attillati, si dirigeva verso le alte mura della Santa Sede. «Non è troppo? Il mio trucco?», chiese, toccandosi inconsciamente una guancia imbellettata. «Non mi interessa quello che pensa la gente. Ma questo è il Papa».
Si affrettò ad entrare nella ampia Aula delle udienze Paolo VI del Vaticano e fu fatta accomodare in prima fila. Davanti a lei, una scultura in bronzo di Gesù alta ventitré metri guardava verso il basso. Dietro di lei, i fedeli lanciavano sguardi curiosi.
Era il terzo incontro con il Papa per Laura, cinquantasette anni, una vivace sex worker paraguaiana che, nei suoi momenti più sinceri, si è descritta come una travesti, che nel vecchio gergo spagnolo significa “una donna transgender“. Viveva secondo un codice: le ragazze forti non piangono. Ma la prima volta che papa Francesco l’aveva benedetta, non era riuscita a trattenere le lacrime. Al loro secondo incontro, avevano chiacchierato durante il pranzo. Il Papa ha sviluppato una tale conoscenza di lei da chiederle della sua salute. Oltre all’HIV di cui soffriva da tempo, aveva avuto una recente diagnosi di cancro. Durante il trattamento, la Chiesa le aveva procurato una confortevole stanza d’albergo all’ombra del Colosseo e le aveva fornito cibo, denaro, medicine ed esami clinici.
L’apertura è l’immagine di un Papa anticonvenzionale nella fase più radicale del suo pontificato. Fin dai suoi primi giorni nel 2013, quando, come tutti ricordano, dichiarò: «Chi sono io per giudicare», Francesco ha esortato la Chiesa cattolica ad accogliere tutti coloro che le si accostano, compresi quelli che vivono in conflitto con i suoi insegnamenti. Ora, la sua apertura senza precedenti alla comunità LGBTQ+ ha raggiunto l’apice e si è trasformata nella questione più esplosiva del suo mandato, alimentando un aspro scontro con gli alti esponenti religiosi conservatori, che lo hanno attaccato con termini particolarmente duri.
Negli ultimi mesi, Francesco ha dato esplicita approvazione alla possibilità che persone transgender siano padrini e madrine di battesimo e alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso. Ha difeso per iscritto le unioni civili laiche, un tempo descritte dal suo predecessore come «contrarie al bene comune».
I suoi pronunciamenti sono talvolta sembrati contraddittori o in conflitto: un giorno ha autorizzato il battesimo per le persone transgender, mentre un altro ha messo in guardia dai rischi morali degli «interventi per cambiare sesso». Ha detto che «essere omosessuali non è un crimine», ma non ha modificato l’insegnamento della Chiesa secondo cui gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati».
Tuttavia, mentre si dà da fare per consolidare la sua eredità, il pontefice ottantasettenne è stato categorico sulla sua visione generale: la porta aperta.
Nulla ha reso questo punto più evidente della sua decisione, negli ultimi due anni, di accogliere quasi cento donne transgender, molte delle quali sex workers, negli spazi sacri del Vaticano.
Si trattava di persone “imperfette” che avevano sperimentato nelle loro vite il rifiuto, il limite e la violenza, e alcune di loro avevano perso la fede lungo il cammino. Come Laura.
Ha lavorato sulla strada in due continenti, a partire dall’età di quindici anni. È stata in carcere in Italia per aver ferito un’altra donna transgender durante una rissa. «Soy hecho de hierro», diceva. Sono fatta di ferro. Non ha chiesto scusa a nessuno per la sua vita, neanche al Papa.
Eppure, grazie a incontri un tempo inimmaginabili con il sommo pontefice che è il capo di 1,4 miliardi di cattolici, e con il sostegno di un sacerdote e di una suora del luogo, ha iniziato ad ammorbidirsi. Per la prima volta dopo anni, ha iniziato a pregare. Se riuscirà a sconfiggere il cancro, sa che dovrà prendere una decisione: rimanere sex worker o, come speravano le persone che la aiutano, costruirsi una nuova vita.
Dalla prima fila, durante l’ultima udienza papale prima di Pasqua, ha tenuto gli occhi puntati sul Papa mentre si avvicinava sulla sua sedia a rotelle.
«Papa Francesco!» ha detto, tendendogli la mano. «Laura!», ha risposto con un sorriso smagliante il Papa.
Il legame di Laura con Papa Francesco è nato in una frizzante sera di marzo, all’inizio della pandemia, quando un piccolo prete dalla voce acuta è arrivato con la sua Fiat Panda color rame fino allo squallido condominio di Torvaianica in cui lei abitava.
A una quarantina di chilometri a sud di Roma, vicino a una spiaggia gay e a una caserma militare, la cittadina operaia era un centro di sex worker transgender, molte delle quali latinoamericane prive di documenti. Come altre, Laura lavorava in un boschetto. I clienti la riconoscevano alla luce dei loro fari e poi la accompagnavano in una baracca con un materasso.
Ma l’esplosione del coronavirus in Italia ha paralizzato quel tipo di attività. Laura era nel panico. Niente clienti significava niente cibo.
È stato grazie ad altre donne transgender che lavoravano nei boschi che ha sentito parlare di “don Andrea”.
Don Andrea Conocchia, un sacerdote di ampie vedute originario di Roma, stava distribuendo cibo ai migranti nel cortile interno della chiesa della Beata Vergine Immacolata. Tra coloro che erano venuti c’erano cuochi, camerieri e lavapiatti che avevano perso un lavoro in nero. Un’argentina di nome Paola è stata la prima donna transgender a presentarsi.
«Padrecito», aveva chiesto con trepidazione dietro gli occhiali neri oversize, parlando per metà in spagnolo e per metà in italiano. «Puoi aiutarmi come stai facendo con gli altri?».
Il giorno dopo, Paola era tornata con un’amica. Poi di nuovo, con altri.
«Padrecito», ha azzardato una di loro un giorno nell’ufficio del sacerdote, «non so se l’hai capito, ma noi siamo sex workers». Aveva alzato un sopracciglio. Non se ne era accorto: il suo candore a volte sfiorava la comicità. Ma la sua porta, aveva detto loro, era aperta a tutti.
Laura è arrivata a piedi. Non avendo un’auto, ha percorso due chilometri di strada, armata di speranza e di una borsa della spesa. Don Andrea le ha chiesto il numero di telefono e l’ha invitata a tornare a casa.
Qualche ora dopo, alle 19, squilla il cellulare. Era Don Andrea. Era fuori.
«Giuro, ha portato di tutto: pasta, riso, zucchero, paté, olive», ha ricordato. «Tutto organizzato in scatoloni. Si trattava di cibo per un valore di 400, 500 euro. Mi ha detto di chiamarlo ogni volta che avevo avuto bisogno di qualcosa».
Scrivere a papa Francesco è stato un suggerimento di don Andrea. Parte del cibo che aveva distribuito alle donne transgender di Torvaianica proveniva dall’Ufficio della Elemosineria Apostolica del Vaticano. «Potreste ringraziare il Papa», disse loro, «e fargli capire di cosa avete bisogno».
Così, una sera, Marcela Sanchez ha terminato una cena a base di gnocchi con pollo, ha indossato il pigiama, ha spento le luci e ha iniziato a comporre un biglietto per il Papa alla luce del suo cellulare.
Marcela era una sex worker di circa quarant’anni che, come Francesco, proveniva dall’Argentina. Ha raccontato al Papa degli agenti di polizia che in patria l’avevano tenuta ferma, picchiata e violentata. Ha raccontato di aver fatto la spesa lì di notte per paura di essere vista e picchiata di giorno.
All’una di notte, ha inviato il testo a don Andrea, che lo ha inoltrato a Francesco.
Il Papa ha risposto
In una lettera scritta a mano, si è rivolto a lei usando il femminile in spagnolo: «Mia cara Marcela, grazie mille per la tua e-mail. … Ti rispetto e ti accompagno con la mia compassione e la mia preghiera. Per qualsiasi cosa possa aiutarti, fammelo sapere».
L’ufficio dell’Elemosineria Apostolica ha iniziato a inviare denaro a Torvaianica, oltre al cibo. Non si trattava di grosse somme: cento euro qui, duecento là. Ma nella pandemia, era manna dal cielo.
Quando i vaccini per il COVID sono stati approvati, l’Ufficio della Elemosineria Apostolica ha offerto la possibilità di prenotarsi. Le persone senza documenti di residenza non avevano diritto ai vaccini attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. Così il gruppo di Torvaianica è stato condotto nella vasta Aula Paolo VI per fare i vaccini messi a disposizione dal Vaticano.
«Ci hanno salvato la vita», ha detto Laura, che ha scelto una camicetta rosa caldo, jeans e sandali bianchi per il suo primo incontro con il Papa, in una mattina d’estate del 2022. Si è fatta fotografare nei colonnati di San Pietro, insieme ad altre donne transgender e a una coppia omosessuale che don Andrea aveva portato con sé. La sera prima aveva pianto al telefono con il sacerdote. Cosa avrebbe dovuto dire? Cosa avrebbe dovuto fare? «Sii te stessa», le aveva detto.
Quel giorno papa Francesco, che aveva avuto problemi al ginocchio, si sedette su una sedia con lo schienale alto durante l’udienza all’aperto. Quando fu il suo turno, Laura si avvicinò e lo guardò negli occhi.
«Sono una donna transessuale del Paraguay», ha detto bruscamente in italiano. Il Papa ha sorriso e gli ha risposto: «Anche tu sei una figlia di Dio».
Ha chiesto la sua benedizione e lui le ha messo le mani sulle spalle. «Dio ti benedica», ha detto il Papa. «E benedica anche te», ha risposto Laura.
Quando Francesco si è messo a ridere, lei gli ha chiesto il perché: «Dovremmo parlarci in spagnolo, siamo sudamericani», lui ha risposto, collegando le loro identità.
Mentre lui si allontanava, lei ha sentito che gli occhi le si riempivano di calde lacrime calde e si è aggiustata gli occhiali da sole per nasconderle.
Ana Vanessa Herrero a Caracas ha contribuito a questo report.
* Anthony Faiola è il capo della sede di Roma per The Washington Post. Dopo essere stato assunto dal giornale nel 1994, ha ricoperto il ruolo di capo ufficio a Miami, Berlino, Londra, Tokyo, Buenos Aires e New York e ha inoltre lavorato come corrispondente itinerante in tutto il mondo.
** Stefano Pitrelli è un giornalista presso la sede di Roma per The Washington Post.
Testo originale: How Pope Francis opened the Vatican to transgender sex workers