Come papa Francesco ha aperto le porte del Vaticano alle persone transgender. Le storie
Articolo di Anthony Faiola e Stefano Pitrelli pubblicato sul sito del The Washington Post (Stato Uniti) il 5 maggio 2024, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La tenda di Gionata, parte seconda
Gli incontri tra il Papa (Francesco) e le donne transgender erano iniziati due mesi prima, nell’aprile del 2022. Suor Geneviève Jeanningros, un’anziana suora francese che esercitava il suo ministero fuori Roma e conosceva il Papa, si era interessata al gruppo (di transgender credenti) di Torvaianica. Aveva scritto al Vaticano chiedendo di poter portare quattro di loro a una delle udienze del mercoledì. Nessuno le aveva risposto. Così aveva fatto una richiesta standard, e, insieme a don Andrea, le aveva portate senza preavviso.
Una del primo gruppo era Claudia Victoria Salas. Era un’argentina di sessant’anni, ormai anziana per lavorare sulla strada, che cucinava e faceva le pulizie al Samoa, una bettola con pensione e nightclub dove vivevano molte delle donne. La notte in cui Francesco fu nominato Papa, Claudia si era precipitata in piazza San Pietro per sventolare la bandiera nazionale. Il giorno in cui lo avrebbe incontrato, si era alzata alle tre del mattino per preparargli le empanadas.
In Vaticano, don Andrea si è accorto che alcuni collaboratori del Papa si erano allontanati dal loro gruppo. Ma Francesco sembrava felicissimo. Claudia ha pianto mentre lui la benediceva. «Non sai cosa si prova», ha detto, piangendo di nuovo durante il racconto nel suo piccolo appartamento, pieno di foto, calendari e libri su Francesco.
«Essere come noi, essere chi siamo, sempre guardate dall’alto in basso, con tutti i nostri problemi, e avere il Papa che ti guarda come una persona. Il Papa! Che ti benedice. Che ti tratta umanamente. Che ti accetta. Te lo dico io. Non hai idea di cosa significhi».
L’accoglienza del Papa spinse suor Geneviève a chiedere: «Potrebbero venire altre “ragazze”?». Lui rispose: «Voglio incontrarle, devono venire tutte, tutte, tutte».
«Sai, quando ripete qualcosa tre volte, è perché lo pensa davvero», ha detto la suora.
Le visite sono diventate un’abitudine, con persone provenienti da Torvaianica e da tutto il centro Italia. «Gruppi di persone transgender vengono a trovarmi continuamente», ha detto Francesco ai compagni gesuiti a Lisbona lo scorso agosto. «La prima volta che sono venute, piangevano. Ho chiesto loro perché. Una di loro mi ha detto: “Non pensavo che il Papa mi avrebbe ricevuto!”. Poi, dopo la sorpresa iniziale, hanno preso l’abitudine di tornare. Alcuni mi scrivono e io rispondo loro via e-mail. Tutti sono invitati! Ho capito che queste persone si sentono rifiutate».
Queste visite non erano certo segrete, ma nemmeno grandi eventi mediatici fino a novembre, quando il Vaticano ha consentito a don Andrea di portare a pranzo con il Papa letteralmente un pullman di donne transgender, con i giornalisti invitati a partecipare.
Il pullman attraversava la campagna laziale con i suoi pini marittimi. Diverse donne transgender stringevano rosari e pregavano. Altre raccontavano barzellette di cattivo gusto. Claudia, con un dolcevita grigio, ridacchiava mentre apriva la borsa per far vedere una birra nascosta. «Non la berrò davanti al Papa», ha promesso.
Si è parlato delle recenti iniziative di Francesco nei confronti della comunità LGBTQ+. Dieci giorni prima, il Vaticano aveva reso nota l’indicazione secondo cui le persone transgender possono essere battezzate e svolgere il ruolo di madrine e padrini di battesimo. Prima ancora era arrivata la lettera che segnalava l’apertura del Papa alle benedizioni per le coppie dello stesso sesso.
I tradizionalisti della Chiesa erano furiosi. In occasione di uno storico sinodo sul futuro della Chiesa, tenutosi in ottobre nella stessa sala vaticana dove Laura avrebbe incontrato nuovamente il Papa prima di Pasqua, un gruppo di vescovi conservatori – provenienti da Polonia, Ungheria, Nigeria, Etiopia, Australia – aveva inveito contro le benedizioni e descritto l’omosessualità come “disgustosa” e “innaturale”.
Claudia ha difeso il pontefice.
«Il Papa è una persona che crede nell’uguaglianza per tutti», ha detto. «Non discrimina, accoglie. Ci guarda come persone, è aperto nei nostri confronti».
I passeggeri del pullman si beavano nel percepire con gioia quella che sembrava accoglienza. Laura si meravigliava: stavano per mangiare con il Papa.
Il termine “pranzo” è forse riduttivo per definire ciò che si è svolto quel giorno. Si trattava di un evento vaticano per un migliaio di persone svantaggiate e senza fissa dimora di Roma. Ma Laura e Claudia erano ospiti d’onore, sedute proprio di fronte al Papa. Laura si è fatta largo fra un centrotavola di margherite e bottiglie di Fanta e Coca-Cola per porgergli un regalo: un recipiente e una cannuccia per il matè, la tisana molto popolare in entrambi i loro Paesi di origine.
Davanti a un piatto di cannelloni, hanno parlato di cibo sudamericano e di altri argomenti leggeri e divertenti. Il Papa non ha fatto domande, né ha dato consigli.
«Papa Francesco non mi ha mai criticato, né mi ha mai detto di cambiare vita», ha detto Laura.
Le riprese video del viaggio in autobus, tuttavia, hanno fatto gola ai critici del Papa. Laura – che si vedeva nel video mentre stava in piedi nel corridoio del pullman, con gli occhiali da sole infilati nella scollatura di un top magenta aderente – ha raccontato di aver ricevuto messaggi via Facebook che chiedevano perché a una donna transgender dovrebbe essere permesso di condividere un pasto con il Papa.
In un editoriale pubblicato poco dopo, Héctor Aguer, vescovo emerito di La Plata, in Argentina, ha denunciato la Chiesa per aver ceduto a quella che ha definito “mania inclusiva” e ha accusato il pontificato di Francesco, con la sua riluttanza a condannare chiunque, di promuovere una «cattiva teologia».
La polemica al vetriolo si è propagata sui social. «Tra altri vent’anni e probabilmente ci saranno arcivescovi transgender drag queen», ha scritto su X l’utente Evan Dyer, che si descrive come un repubblicano texano “timorato di Dio”.
John-Henry Westen, cofondatore dell’organo di informazione religiosa conservatore statunitense LifeSite, un’agenzia di stampa religiosa conservatrice statunitense, ha messo in dubbio l’apparente ipocrisia di un pontefice che nel 2015 ha paragonato la teoria del gender alle armi nucleari.
«Quindi come facciamo a mettere insieme il papa Francesco che dice che l’ideologia gender è una delle più pericolose colonizzazioni ideologiche con lo stesso papa Francesco che benedice il comportamento delle persone transgender?» ha scritto Westen.
Il Papa risponderebbe che il suo intento è quello di benedire le persone, non il loro comportamento.
Un documento vaticano di aprile, in effetti, riconfermerà le critiche di Francesco alla ”teoria gender”, così come esprimerà un appello a «riconoscere la dignità fondamentale insita in ogni persona». In un recente chiarimento a una suora americana che lavorava nella pastorale LGBTQ+, Francesco ha detto che la sua critica alla “teoria gender” non deve essere intesa come se fosse in contraddizione con la sua convinzione di base che «le persone transgender devono essere accettate e integrate nella società».
In un’intervista al The Washington Post, uno dei principali critici del Papa, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha accusato Francesco di aderire con la “cultura digitale” dei nostri tempi, sapendo che le immagini di donne transgender a un evento papale di alto profilo avrebbero suscitato scalpore mediatico.
«E’ assolutamente chiaro che Gesù non ha escluso nessuno, ma ha anche invitato alla conversione dai nostri peccati», ha detto Mueller. Le donne transgender, ha osservato, «hanno parlato pubblicamente, [dicendo] che questo incontro con il Papa rappresentava una giustificazione del loro comportamento. E questo non è possibile».
Entrare in contatto con il Papa non può certo essere una garanzia per una pubblica santificazione o per un lieto fine su Hallmark Channel [un canale TV USA che trasmette film e serie romantiche e orientate ai valori tradizionali, n.d.t.].
In una mattina di ottobre del 2022, Claudia ha aperto un cancello di ferro che dava accesso a un gruppo di appartamenti. Per due giorni, la sua amica Naomi Cabral non aveva risposto alle chiamate o ai messaggi, e Claudia era preoccupata. Ha salito una rampa di scale fino all’appartamento di Naomi e ha bussato. Nessuno ha risposto. Ha bussato più forte, ha forzato la porta e l’ha spalancata. È rimasta impietrita. Il corpo nudo della quarantasettenne argentina era riverso sul letto. Solo pochi mesi prima, Naomi aveva incontrato papa Francesco. Ora era morta.
Gli investigatori hanno riempito il suo appartamento. Hanno ricostruito il crimine, analizzato i suoi tabulati telefonici, effettuato intercettazioni telefoniche e, nell’arco di un mese, hanno arrestato un uomo identificato come l’ultimo cliente che l’aveva vista e che aveva ammesso al telefono di aver di aver ucciso qualcuno. Se non fosse stato per i legami di Naomi con il Papa, hanno affermato con convinzione i suoi amici, la polizia non avrebbe mai perseguito un sospetto con tanto zelo.
La famiglia di Naomi in Argentina ha rifiutato le sue spoglie, così don Andrea ha organizzato un funerale per lei nella sua chiesa.
Successivamente è morta una seconda donna transgender che aveva incontrato il Papa, a causa di complicanze dovute all’HIV. Gli amici di Giuliana hanno raccontato che si era lasciata andare, si era arresa. Don Andrea ha celebrato delle Messa in onore di Naomi e Giuliana.
I due funerali hanno riunito la comunità transgender di Torvaianica e dato loro un motivo in più per partecipare alla Messa.
In una di queste due celebrazioni, alla fine di marzo, diciassette donne transgender sedevano tra circa cinquanta altri parrocchiani.
Laura si muoveva da un banco all’altro durante le liturgie e le letture. Daisy Spitaglieri, sessantun anni, boliviana, che ballava nei nightclub italiani ai suoi tempi d’oro e che aveva incontrato il Papa nel 2022, indossava occhiali da sole alla Jackie O e sedeva in preghiera con il suo chihuahua, Rolando, al suo fianco. In un altro banco, Claudia parlava a bassa voce con un’amica e beveva di nascosto un sorso di birra Peroni dalla sua borsa.
Le fedeli transgender attiravano gli sguardi perché chiacchieravano durante la funzione e durante una successiva sessione di catechismo.
«Silenzio!» ha detto don Andrea, zittendo il chiasso.
A volte, ci ha detto don Andrea, far concentrare le sue fedeli transgender è un’impresa ardua come quella di «cercare di radunare i gatti». Le ha accolte a Messa e le ha assistite, a volte coprendosi le orecchie esclamando: «Mamma mia!» quando le loro conversazioni diventavano scabrose. Ma ha dissuaso molte di loro che volevano dare una mano in parrocchia con regolarità, preoccupato che una loro presenza più frequente potesse rappresentare un problema. «I loro limiti non sono i miei», ha detto riferendosi ad alcuni dei suoi parrocchiani.
Alcuni giorni dopo, alcuni parrocchiani di lunga data stavano pulendo la chiesa.
«Alcune persone qui sono diffidenti [delle donne transgender], specialmente gli anziani», ha detto Maria Concetta Tranchina, sessantacinque anni. «Brontolano. Non le criticano mai apertamente, ma rivolgeranno loro occhiatacce». Allora Giuseppina Cerqua, sessantacinque anni, è intervenuta: «Penso che la maggior parte [degli anziani qui] sia così. Diranno cose del tipo: ‘Don Andrea non dovrebbe fare questo’, che [le donne transgender] dovrebbero stare lontane dalla chiesa».
Un uomo ottantenne con un bastone da passeggio, che non ha voluto dire il suo nome, ha mormorato: «[Don Andrea] ha fatto cose buone e cose meno buone. Un sacerdote dovrebbe essere chiamato a uno standard più alto. Questo è tutto quello che ho da dire».
A una domanda fatta successivamente circa gli umori dei parrocchiani, don Andrea ci ha detto: «Alcuni dei miei parrocchiani mi chiederanno se essere omosessuali è un peccato, se le ragazze che abbiamo aiutato stanno pregando, se si confessano o partecipano alla Messa. Alcuni di loro, molti di loro, si chiedono se [le mie parrocchiane transgender] intendono cambiare vita. Rispondo che alcune in effetti mi hanno detto che vogliono cambiare vita. Ma non tutte. Perché quella è l’unica vita che hanno conosciuto». D’altra parte, gli amici di Laura nella chiesa hanno offerto supporto senza condizioni.
Dopo la diagnosi del cancro al colon di Laura a giugno, don Andrea ha trovato un avvocato pro bono per legalizzare la sua residenza in Italia, dove viveva senza documenti dal 1993, e l’ha aiutata a registrarsi presso il Servizio Sanitario Nazionale. Una clinica medica gestita dall’Ufficio della Elemosineria Apostolica le ha offerto test clinici e medicine. Suor Geneviève ha individuato un hotel a tre stelle dove la direzione era disposta a farla soggiornare gratuitamente, compresi i pasti in camera, durante le sei settimane di chemioterapia. Successivamente, la suora francese le ha garantito una stanza privata in un centro di accoglienza a Roma, non lontano dal Vaticano, mentre l’Ufficio della Elemosineria Apostolica ha continuato a fornirle occasionalmente sussidi in denaro.
Il Papa ha chiesto più volte a don Andrea notizie sulla salute di Laura. «È quasi come se Laura fosse diventata un’amica del Papa», ha detto il sacerdote.
Laura ha ringraziato il Papa per il suo interessamento portandogli empanadas fatte in casa in Vaticano. Quando le guardie l’hanno fatta entrare, si è rivolta a Don Andrea. «Mi sento qualcuno», ha detto. «Laura, tu sei qualcuno», ha risposto lui.
La sua fede nel corso degli anni aveva avuto alti e bassi. A un certo punto, tra quando suo padre l’aveva costretta a tagliarsi i lunghi capelli, quando era adolescente, a quando aveva sperimentato la violenza nelle turpi boscaglie sulla costa italiana, aveva smesso di credere. Aveva trovato un qualche sollievo nella cocaina, nell’alcol, nella compagnia dei clienti.
Era tornata alla preghiera nel 2020, spinta, secondo le sue parole, dalla gentilezza di Don Andrea. Ogni settimana o due, attraversava la piazza principale di Torvaianica e si inginocchiava sui banchi consumati della sua chiesa color terra di Siena.
I suoi amici in Paraguay sono rimasti “scioccati” dalla sua fede ritrovata. «Non potevano crederci», ha detto lei stessa.
I suoi incontri con il Papa e l’aiuto della Chiesa durante i trattamenti contro il cancro hanno rafforzato la sua relazione con la fede. Continuava a raccontare storie indecenti quando i preti non c’erano, e a volte anche quando c’erano. Ma quando si sentiva abbastanza bene, andava a Messa la domenica. A volte prendeva un clonazepam per scacciare pensieri opprimenti sul cancro, sul suo futuro incerto. Ma più spesso, pregava.
L’esperienza di essere stata accettata, non il proselitismo, l’aveva riportata alla fede. Il Papa, don Andrea, suor Geneviève e la Chiesa cattolica erano diventati figure rassicuranti e i suoi amici imprevisti.
Niente di tutto questo ha modificato il suo pensiero sulla sua identità di genere. Per Laura e le altre donne transgender di Torvaianica, quella era una questione già risolta da tempo. Ma il sex working era qualcosa su cui non era più tanto sicura. A volte parlava di tornare a farlo se i trattamenti contro il cancro avessero avuto successo. «Mi piace la vita. Mi piace il sex working. Mi piacciono gli uomini», aveva detto a febbraio. «Non devo dare giustificazioni a nessuno».
Ma poco prima del suo incontro con il Papa nella Settimana Santa, si sentì meno sicura. Accendendo nervosamente una sigaretta in un bar vicino a Piazza San Pietro, disse che don Andrea e all’Elemosiniere del Papa, un cardinale polacco, stavano cercando di farle cambiare idea. Inspirò il fumo. Lo lasciò uscire. Non voleva deluderli. Forse, rifletté, sarebbe tornata in Paraguay. In pensione. «Sto diventando troppo vecchia per questo, in ogni caso», disse.
Il mercoledì santo Laura era preoccupata ed esausta. Aspettava i risultati della biopsia, incerta se avesse sconfitto il cancro. Non aveva dormito. Le facevano male le gambe per le terapie. La sua mente correva, saltando da un pensiero all’altro. Nella sala del Vaticano, si agitava sulla sedia.
Era seduta con don Andrea, suor Geneviève e un uomo transgender che voleva diventare prete. Quando Francesco arrivò, spinto da assistenti sulla sua sedia a rotelle, si fece strada lungo la prima fila, stringendo mani e scambiando qualche parola con ogni ospite.
Con l’uomo transgender, fu gentile, senza impegnarsi su nulla, non aprendo né chiudendo porte. «Continua a parlare con Gesù, perché è la via sicura davanti a te», disse.
Francesco arrivò da Laura. «Come stai?», le chiese. «A proposito, mi sono piaciute molto le empanadas che hai preparato».
«Ne farò altre ogni volta che vuoi», disse Laura. «Per favore», disse, «benedicimi».
Il Papa pose le dita sulla fronte e fece il segno della croce.
«Grazie, papa Francesco», gli ha detto.
«Grazie a voi» (gli ha risposto il Papa).
Ana Vanessa Herrero a Caracas ha contribuito a questo articolo.
* Anthony Faiola è il capo della sede di Roma per The Washington Post. Dopo essere stato assunto dal giornale nel 1994, ha ricoperto il ruolo di capo ufficio a Miami, Berlino, Londra, Tokyo, Buenos Aires e New York e ha inoltre lavorato come corrispondente itinerante in tutto il mondo.
** Stefano Pitrelli è un giornalista presso la sede di Roma per The Washington Post.
Testo originale: How Pope Francis opened the Vatican to transgender sex workers