Come persona transgender qual e’ il mio nuovo nome?
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 6.1, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Alla mia nascita verso la fine degli anni ’80 i miei genitori decisero di donarmi quello che pensavano fosse un nome bello e originale: Alison. Come poi si vide, Alison – o un’altra delle varie ortografie alternative – risultò essere tra i primi 50 nomi di bambine per quell’anno e per un paio di anni successivi. Dalla scuola media in poi, ogni volta che entravo in una nuova classe, pareva che sarebbero spuntate almeno altre due Alison e saremmo state tutte costrette a sceglierci dei soprannomi oppure ad usare i nostri cognomi.
Non ho mai voluto abbreviare il mio nome perché pensavo che Ali fosse ancora più femminile di Alison. Ma poi un giorno mio zio Rick passò da casa nostra per aiutarci a falciare il prato, mentre io ero fuori a giocare a basket nel vialetto di casa. Mio zio attraversò il cortile verso la casa gridando: “Ehi, Al”. Mi ricordo di aver guardato in alto e salutato con la mano e aver pensato fra me: “Sì!” Era l’unica persona a chiamarmi Al e, ogni volta che lo faceva, mi faceva sentire più alta di due pollici.
I nomi sono molto potenti. Sia che venga dato o scelto, il nostro nome ci identifica come individui e il cognome come membri di una comunità. Per le persone transgender i nomi possono assumere un ulteriore significato e diventano un modo per esprimere il proprio genere. Alcune persone transgender scelgono di mantenere il nome ricevuto alla nascita, specialmente se quel nome è neutro rispetto al genere, come Robin, Taylor o Jamie. A volte il nome datoci alla nascita non è adatto, allora decidiamo di scegliere un nuovo nome – che riesca a dare agli altri un senso migliore di chi siamo.
La ridenominazione è vecchia quanto il linguaggio e ne abbiamo alcuni affascinanti esempi nella Bibbia, dove viene dato un nuovo nome come riconoscimento di un’identità che uno già possiede o per riconoscere un cambiamento di identità.
In Numeri 13 troviamo un esempio di qualcuno a cui viene dato un nuovo nome per illustrare una nuova identità. Mosè e il popolo ebraico errante si trovano sulla soglia della Terra Promessa ma non sanno cosa fare, allora Dio dice a Mosè di inviare alcune spie per una ricognizione e per vedere che persone abitassero in quei luoghi. Mosè sceglie un capo da ogni tribù e fra questi c’era un giovane di nome Hoshea, figlio di Nun.
Il versetto 16 ci dice: “E Mosè dette a Hoshea, figlio di Nun, il nome di Giosuè”.
Non ci viene detto esplicitamente perché Mosè cambi il suo nome, ma Giosuè diventa il secondo in comando e prenderà il suo posto come leader alla morte di Mosè. Nel Medioevo un rabbino francese di nome Samuel ben Meir – meglio noto come Rashban – suggerì che era consuetudine dare un nuovo nome a qualcuno giunto a un rango così elevato, quindi è molto probabile che Mosè abbia deciso di conferire un nuovo nome e un nuovo titolo contemporaneamente donando una nuova identità a Giosuè.
Mentre la maggior parte dei nomi nelle Scritture ebraiche sono donati da un essere umano all’altro oppure da Dio a un umano, esiste un solo caso in cui una persona dà un nuovo nome a Dio Creatore. Si tratta di Agar, schiava di Abramo e Sarah, che rimane incinta del figlio di Abramo e scappa per sfuggire ai maltrattamenti di Sarah.
Agar incontra l’angelo di Dio nel deserto in Genesi 16; l’angelo la rassicura che Dio è con lei e con suo figlio. Nel versetto 13 si dice: “Allora Agar chiamò il nome dell’Eterno che le aveva parlato, Atta-El-Roi, perché disse: “Ho io proprio qui davvero visto Dio e sono rimasta in vita dopo averlo visto?”. El Roi in ebreo significa “Dio vede” o “Uno che vede”. In questo caso Agar non sta cambiando l’identità di Dio, ma sta dando un nuovo nome per riconoscere l’identità che Dio già possiede.
Uno dei più famosi cambiamenti di nome lo troviamo nel Nuovo Testamento nel Vangelo di Matteo:
Ed egli disse loro (Gesù ai discepoli): E voi chi dite che io sia? Simon Pietro rispondendo disse: Tu sei il Cristo, il Figliol dell’Iddio Vivente. E Gesù replicando gli disse: Tu sei beato, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io altresì ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ade non la potranno vincere. (Matteo 16:15-18).
Di solito, quando leggiamo questo passo ci rendiamo subito conto di quello che Gesù ha fatto. Ha dato un nuovo nome a Simone. Però forse ci è sfuggito che anche Simone ha appena ribattezzato Gesù. Nei racconti evangelici di Matteo, Marco e Luca l’idea che Gesù sia il Messia è un po’ un segreto e in questo particolare racconto è la prima volta che qualcuno osa chiamare ad alta voce Gesù il Messia.
Quello che fa Simone, quando gli viene chiesta quale sia l’identità di Gesù, è dargli il nome che riconosce chi Lui sia. La dichiarazione di Simone non fa di Gesù il Messia, lo riconosce solo formalmente. Al contrario, quando Gesù dice a Simone: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” sta dando a Pietro un’identità completamente nuova come fondamento della comunità.
Quando una persona transessuale cambia il suo nome spesso agisce all’interno di queste categorie: o assume un nome che evidenzi qualcosa di vero sulla sua personalità e il suo rapporto con gli altri oppure ne sceglie uno che mostri al mondo come è cambiato o a cosa aspira.
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