Come preti crediamo che la chiesa cattolica dovrebbe chiedere perdono alle persone LGBT
Riflessioni di don Cosimo Scordato e don Franco Romano pubblicato sul quotidiano il Giornale di Sicilia del 27 giugno 2021
“Se qualcosa deve fare la Chiesa sulla tematica degli omosessuali è di convocare una grande liturgia penitenziale nella quale tutta la comunità ecclesiale chiede perdono non solo a Dio ma anche alle migliaia di persone che, caratterizzate in modo lgbt, sono state considerate uno sgorbio della natura e per questo ci si è sentiti autorizzati a perseguitarle e ad emarginarle.
E non si tratta solo di fatti del passato perché ancora oggi in alcune nazioni vige la pena di morte con tutto ciò che ne consegue a livello sociale; mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da più di trent’anni, ha riconosciuto che l’omosessualità non è un disturbo o una malattia ma una variazione del comportamento umano.
Quindi il primo gesto che mi aspetterei dalla comunità cristiana, scegliendo il punto di vista delle vittime, è la richiesta di perdono alle persone che, sia a livello personale che a livello sociale, hanno dovuto subire lo stigma di essere “contro natura”.
Non ci aspettavamo, invece, dal Vaticano alcuna Nota che mettesse in guardia dai possibili rischi del decreto Zan.
Ciò perché lo stato italiano e il suo parlamento, essendo costituito da persone adulte e responsabili, è sovrano ed esercita la sua sovranità attraverso i tanti strumenti della democrazia: in esso partecipano anche tanti cristiani i quali, come riconosce il Concilio, in forza della loro laicità (sia nel senso che fanno parte del Laos/popolo di Dio, sia perché rispettano il pluralismo delle posizioni) hanno la competenza specifica per intervenire sulle tematiche politiche e sociali e non hanno bisogno di essere imbeccati.
Inoltre, per l’ennesima volta viene fuori l’atteggiamento ecclesiale che tende a dare all’ambito del sesto comandamento una priorità su tutto il resto: le tematiche sul sesso hanno facilmente il sopravvento su quelle della giustizia sociale, equità, disarmo… In ogni caso l’intervento del Vaticano ci è parso, oltre che invadente, paternalistico e clericale.
Risulta poi specioso l’argomento di coloro che si sentirebbero discriminati se non vengono lasciati liberi di pensare come nel passato. Ci mancherebbe che ognuno non debba continuare a pensarla come vuole; ma non ci si rende conto che proprio questo modo di pensare nei confronti degli lgbt è il <<brutto>> pensiero, che ha costituito la condizione per favorire atti di intolleranza verso di loro.
Se io penso di una persona che è contro natura quale atteggiamento verrà spontaneo coltivare? Nel migliore dei casi di commiserazione!
Certamente restano aperti tanti problemi legati a quest’ultima vicenda, che appena accenniamo: ha senso ancora che il Vaticano sia considerato come uno stato? Che senso ha che il Papa sia da un lato, vescovo di Roma e dall’altro lato, capo dello stato Vaticano e quindi cittadino extraterritoriale?
Comprendiamo che ci trasciniamo forme storiche frutto di un passato, che oggi ci risulta fortemente anacronistico; ma non è forse arrivato il momento che il vescovo di Roma viva a Roma (al Laterano) e che il Vaticano si trasformi in qualche altra cosa (fondazione…), che faccia meglio trasparire la dimensione profetica e di servizio alla quale Papa Francesco vorrebbe destinarla?
Non ci illudiamo di risolvere alcun problema ma almeno se ne cominci a parlare.