Una riflessione di don Luca
Personalmente non ne ho mai frequentati (di gruppi di cristiani omosessuali) e questo un po’, forse, mi rende inadatto a rispondere alla domanda. Mi limiterò a dirti cosa mi piacerebbe fossero. E lo faccio partendo da un brano evangelico: il racconto della samaritana al pozzo di Sichem* invitando ciascuno a leggerlo, perché chi non lo conosce farà fatica a capire bene quello che scrivo.
Allora… siamo in Samaria. I samaritani erano ritenuti dagli ebrei brutta gente, la gente più lontana che ci possa essere da Dio, tanto è vero che nell’Antico Testamento i vari autori neppure si sognavano di pronunciare il nome samaritano, ma dicevano ‘quel popolo stolto che abita in Sichem‘, perchè dire samaritano era un insulto… qualcuno potrebbe vederci una corrispondenza con il termine omosessuale oggi.
Eppure, ci dice il Vangelo, che Gesù doveva passare da questa terra. E questo “doveva”, attenzione, non è legato a motivi geografici: era infatti più facile, veloce e sicuro passare attraverso la tranquilla vallata del Giordano. Ma Gesù, e poi capiremo il perchè, doveva passare di lì.
Gesù arriva in Sichem e si siede a fianco ad un pozzo… e arriva questa donna samaritana per attingere acqua: siamo verso mezzogiorno. Ora tutti sanno che solo un pirla va a prendere acqua nel momento più caldo della giornata.
Questa donna, di cui il racconto non ci dice il nome (e quindi può essere qualsiasi donna o ancora meglio, qualsiasi persona) va ad attingere in quest’ora così anomala probabilmente per evitare l’incontro con altre persone, come se dovesse nascondere qualcosa o come se non godesse della stima e del riconoscimento degli altri (e in questa categoria ci possono rientrare gli omosessuali cristiani visti dagli occhi di tanti altri “cristiani”, e il virgolettato ha il suo significato…).
Ed è proprio questa donna, malvista e schivata da tutti, che il Signore aspetta al pozzo. E’ proprio per incontrare questa donna che il Signore doveva passare per la Samaria. E’, il suo, un dovere (volere) teologico.
Un dialogo quello che instaura Gesù che sorprende la donna, tanto che gli chiede perchè gli parli (già era difficile che un uomo rivolgesse la parola ad una donna sola, figurati se l’uomo era un ebreo e la donna una samaritana): erano bravi se non si scannavano a vicenda… figurati parlarsi.
Si instaura, invece, un dialogo che porta Gesù a rivelarsi pian piano e porta la donna a chiedere a Gesù di dargli l’acqua viva di cui gli parla, anche se la donna non sa bene cosa sia… ma non importa, Gesù ha messo in conto che il suo rivelarsi può passare a volte anche per il fraintendimento, l’errore e l’incomprensione: fa parte del cammino che Gesù le sta facendo fare. E in questo dialogo il Signore tira fuori il passato di questa donna. Gesù le dice “va a chiamare tuo marito”.
Ma la donna non può, ha avuto cinque mariti e quello che ora ha non è suo marito. Gesù glielo chiede non per svelare e condannare il suo peccato, ma per rivelarle la sua frustrata aspirazione di vita. E Gesù si rivela come colui che, conoscendo il cuore, conosce cosa sia la sua pienezza e quanto più profonde siano le sue aspettative rispetto a quelle che la donna ha nutrito fino a quel momento.
È questo, cioè il fatto di riconoscersi conosciuta, attesa, amata, che la donna testimonierà: «Venite a vedere uno che sa tutto di me, che sia forse il messia?» lasciando, dopo quell’incontro, tutto: dimenticandosi della brocca, dell’acqua del pozzo e della sua sete fisica… Ora è mossa dalla sete dell’acqua viva.
Proprio lei che andava ad attingere a mezzogiorno per evitare di sentirsi dire ciò che Gesù le ha appena rivelato, lei stessa afferma ormai senza vergogna, senza paura e senza reticenze chi sia.
La vita di questa donna, che non poteva andare ad attingere acqua la sera con le altre donne, di fronte a Gesù, nel dialogo coraggioso con Lui, riprende senso. È una vita incontrata da Gesù che non condanna, lascia andare le persone dopo averle restituite alla loro verità e dignità senza legarle a sé, e in questa azione dona l’acqua viva, cioè la vita stessa, finalmente restituita alla possibilità di relazioni autentiche e feconde.
Così la donna, che era uscita quasi di nascosto dalla città, a un’ora insolita, da sola, corre ora a dare l’annuncio al mondo… e tutti le credono, perché vi riconoscono l’annuncio di una donna trasformata, di una donna che ha incontrato il Signore.
Questo incontro ci parla del desiderio di Dio di incontrare qualunque persona, qualsiasi sia la situazione che vive, qualunque sia il suo passato, fosse pure uno straniero agli occhi degli uomini, uno che vive ai margini, che deve andare ad attingere l’acqua nell’ora più calda del giorno per la vergogna di essere giudicato o condannato…
Ecco a me piacerebbe se questi gruppi fossero questo pozzo, dove il Signore attende ogni omosessuale che si sente escluso, in difficoltà, lontano, peccatore, malvoluto, non considerato, odiato, ritenuto destinato all’inferno e a questo pozzo ognuno potesse incontrare il Signore e potesse essere trasformato, come la samaritana, da uno che si nasconde per la vergogna ad uno che corre per il mondo gridando la gioia del sentirsi amato da Dio.
* Il pozzo di Sicar, l’antica Sichem, è qualcosa di più di una semplice fonte di acqua: è stato il primo pezzo di terra che Abramo ha visto arrivando da Ur dei Caldei e sul quale, sotto le querce di Mamre, ha costruito un altare. Sicar richiama proprio l’inizio della storia biblica. Non solo, ma Giacobbe che stava fuggendo dal fratello che lo voleva morto dopo che gli aveva rubato la primogenitura, proprio qui al pozzo è stato chiamato Israele, padre delle 12 tribù, padre di Israele prima di ogni divisione. E poi si dice che Giacobbe avesse dato questo terreno al figlio Giuseppe l’ultimo, quello che i fratelli avrebbero voluto uccidere e che di fatto invece li salverà. A Sichem, Giuseppe verrà sepolto, proprio lui che aveva ristabilito la fraternità infranta. Quindi il pozzo presso il quale Gesù si ferma è il luogo di una memoria profonda dalla quale scaturisce tutta la storia di Israele.