Come transgender, quando i cristiani pregano per “guarirmi”, io prego per la loro guarigione
Articolo* di Charlotte Clymer** pubblicato sul sito del quotidiano The Independent (Gran Bretagna) il 15 giugno 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Era una domenica pomeriggio e me ne stavo di fronte a un bar nel centro di Washington a bere un caffè, sotto una minuscola tettoia, in una giornata umida. Stavo pensando ai fatti miei, quando tre persone (era evidente fossero turisti) mi si avvicinarono e mi chiesero a gesti di togliermi le auricolari. Quando le tolsi, uno di loro mi chiese “Possiamo pregare per lei?”. Chiesi perché, e la stessa persona mi rispose che si sentivano chiamati da Dio a camminare per le strade di Washington e ad ascoltare la Sua voce che gli indicava chi era “debole”, o aveva comunque bisogno di una preghiera.
Debole.
Sono cristiana, e non sono certo contraria alla preghiera, o che qualcuno preghi proprio per me, perlomeno se è fatto in buona fede. Ma sono anche una donna transgender, e [quel giorno] ero tutta in ghingheri, con trucco e orecchini, e sicuramente ho colto subito perché questi tizi mi abbiano offerto una preghiera.
La mia iniziazione al cristianesimo si è svolta nelle Chiese evangeliche conservatrici (evangelical). Per anni ho navigato in quel mondo, in cui ho incontrato tanto bigottismo e una forte tendenza a insultare le persone LGBT+ e le donne, ma vi ho incontrato anche molte persone di cuore, pronte a servire il prossimo. Ho trovato anche un certo razzismo. Ho sentito dire la frase “Pregherò per te” detta con amore, ma anche intrisa di giudizio e disprezzo. Conosco la differenza, e quei tizi fuori dal bar stavano esprimendo un chiaro giudizio.
Al posto di un dibattito teologico, che di solito non conduce da nessuna parte per mancanza di buona fede, ho voluto che sapessero cosa vuol dire avere a che fare con qualcuno la cui intenzione è parlare amorevolmente con te, ma che invece è fonte di disagio e dolore. Forse è questo, quello che ci vuole: obbligare a provare empatia. Perché non provare? Avrei potuto ignorarli, ma conosco fin troppo bene quegli evangelical che fanno una cattiva reputazione alla loro comunità insistendo nel definire l’umanità delle persone, al posto delle persone stesse.
Quei tre mi definivano “debole” per via della mia identità di genere: vedevano la costellazione della mia personalità attraverso un telescopio retrogrado. Mi faceva rabbia che la totalità del mio essere venisse ridotta alla loro limitatissima concezione delle persone LGBT+, un punto di vista che avrebbe potuto benissimo essere rivisto se si fossero presi la briga di conoscermi invece di dare per scontato di conoscermi già.
Quindi, mannaggia a me se avessi loro permesso di interrompere il mio caffè domenicale quando io certamente non ero andata a disturbarli. Chiesi alla loro portavoce se capisse davvero cosa vuol dire andare a cercare persone “deboli” per cui pregare, e in particolare scegliere una persona transgender a caso. Sembravano colti parecchio alla sprovvista. Mi alzai sorridente, ma dentro ero molto seccata.
Chiesi loro cose dicesse il [Vangelo] di Matteo sulla preghiera. Spalancarono gli occhi, e uno di loro si mise a balbettare nervosamente: era chiaro che aveva difficoltà a rispondere. Le altre due persone erano altrettanto confuse e disorientate dal fatto che una “debole” transgender stesse loro rivolgendo una semplice domanda su un versetto molto conosciuto di Matteo.
Per chi non lo sapesse, Matteo è il primo libro del Nuovo Testamento e uno dei tre Vangeli Sinottici, i quali narrano la vita di Cristo perlopiù usando gli stessi episodi, e spesso con le medesime parole. Tutti e tre contengono istruzioni per la preghiera, ma avevo in mente Matteo 18:20 perché è molto citato nelle comunità evangelical ed è spesso applicato in maniera non corretta dai loro membri: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Chi conosce bene la Bibbia forse si chiede perché non ho pensato a Matteo 6:5-7, tre versetti caustici che chiamano in causa gli ipocriti che adorano mostrarsi in pubblico come cristiani e che perciò raccomandano di pregare in privato invece che per strada, per farsi vedere dagli altri. Sono ottimi versetti, e non sorprende che siano ignorati nei circoli evangelical: si sa che ci sono, ma non fanno comodo.
Il versetto che ho scelto, invece, colpì nel segno perché viene spesso citato nei gruppi di preghiera delle chiese evangelical, dove tende ad essere (male) interpretato come fosse una lotteria, come un modo di ottenere ciò che si chiede a Dio nella preghiera. Gli evangelical lo interpretano [anche] come una chiamata ad attrarre sempre più gente nella chiesa o, più cinicamente, per godere della prosperità per mezzo del Vangelo. In realtà il versetto parla della responsabilità di fronte a Dio e di come Dio gestisce la responsabilità attraverso noi esseri umani. Come scrive Leisa Baysinger sul suo blog Our Ancient Paths, il versetto fa riferimento alla tradizione giudaica, secondo la quale, per citare in giudizio qualcuno, devono essere d’accordo almeno tre testimoni.
In quel momento non conoscevo l’origine esatta del versetto, che era peraltro molto a proposito, visto il tentativo di quella piccola banda di citarmi in giudizio, ma capivo comunque cosa c’era in gioco e mi piaceva l’idea di citare un versetto sulla responsabilità che probabilmente avevano frainteso molte volte. Ero l’imputata che ne sa di legge più di quelli che tentano di portarla in giudizio,e cercavo di approfittarne.
Non sono cose che prendo alla leggera, e la condiscendenza passivo-aggressiva dei tre era tutto meno che innocua. Non era il momento di essere educata.
Non quando la Casa Bianca a guida Trump-Pence cerca di espellere le persone transgender dalle forze armate.
Non quando gli studenti e le studentesse transgender discriminati vengono ignorati dal Dipartimento dell’Istruzione.
Non quando il presidente Donald Trump e il vice Mike Pence cercano di far passare una legge che permetterebbe a medici, infermieri e paramedici di negare alle persone LGBT+ le cure necessarie.
Non quando, secondo Human Rights Campaign, negli Stati Uniti otto persone transgender sono state uccise nel 2018, e 28 nel 2017: un record. Non avevo intenzione di starmene in silenzio, e ho parlato.
“Sapete quel che dice Matteo, che dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù, lui sarà in mezzo a loro?”
Mi fissavano con lo sguardo vacuo. Non sarei andata giù leggera con loro.
“Questo dice Matteo, no?”
Finalmente, uno di loro disse “Sì, è così.”
“Allora preghiamo.”
Nervosamente si misero in cerchio. Dissi a una di loro “Comincia tu”. Cominciò, e fece il suo compitino in modo veloce e asettico: era chiaro che voleva uscire il prima possibile da quella goffa situazione. Poi, quando ebbe finito, presi io la parola.
“Signore Gesù, grazie per la benedizione di avere questi amici”, e dicendo questo ero del tutto sincera con Dio, perché speravo che avrebbe benedetto i miei nuovi amici e li avrebbe spinti ad essere più aperti e inclusivi. Speravo che la loro comunità avrebbe onorato ogni persona così come Dio l’ha fatta, e apprezzato la forza della varietà.
Parlai della bellezza naturale della comunità LGBT+, tornai a ringraziare Dio per averci creati così come siamo, e aggiunsi il desiderio sincero che il loro ritorno a casa fosse sicuro. Poi, conoscendo chi avevo di fronte, ci aggiunsi un po’ delle solite banali frasi evangelical (“Nessun’arma farà loro del male”, “Poni Dio nel loro cuore”), per far loro sapere che avevo familiarità con il loro gergo tanto quanto la loro comunità, se non di più. Quando finii, avevo rimandato indietro il loro “Preghiamo per te” dieci volte: mormorarono un grazie e sgattaiolarono via.
Non so se le mie parole abbiano fatto centro, ma spero che abbiamo avuto un barlume di cosa significa sentire degli estranei che ti impongono la loro bigotteria velenosa. Spero anche che capiscano quanto azioni come le loro diminuiscano il valore della preghiera e quanto male facciano alle persone LGBT+.
La preghiera perché qualcuno possa cambiare la propria sessualità o identità di genere è un ottimo incoraggiamento a chi vorrebbe discriminare legalmente le persone LGBT+ e trattarle con violenza nelle comunità religiose. L’acidità della mia preghiera è servita a far loro prendere coscienza di questo con una iniezione spirituale. Quelle persone non volevano sapere nulla di me: volevano parlarmi addosso, e pregarmi addosso, e sono certa che Gesù non si sarebbe comportato così.
Ci sono molte persone, nelle comunità evangelical, che amano e sostengono i loro famigliari, amici e amiche LGBT+, semplicemente come esseri umani; è un peccato, quindi, che altre persone di quelle stesse comunità debbano ancora trovare chi dica loro una semplice verità: che non si compie l’opera di Dio pregando in maniera ideologica a spese di altri, né offrendo la propria condiscendenza pelosa a estranei presunti “deboli”. La preghiera dovrebbe essere un atto d’amore, non un’arma di emarginazione.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
** Charlotte Clymer, donna transgender, è veterano dell’Esercito degli USA e segretaria di stampa di Human Rights Campaign.
Testo originale: I’m transgender, and evangelicals tried to pray for me. I prayed for them instead