Perché Gesù, il maestro, è morto? (Isaia 52:13-53:12)
Riflessioni bibliche* di Jill Marshall, Shively T. J. Smith e Michael J. Brown tratte dal progetto Out in Scripture (Stati Uniti) del gennaio 2008, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Le letture tratte dal lezionario per il Venerdì Santo ci ricordano che i primi autori cristiani, come del resto tutti i cristiani di tutti i secoli, si sono arrovellati e hanno interpretato la morte di Gesù nei modi più svariati. Perché Gesù, il maestro e leader della comunità, è morto?
Quali sono stati il ruolo e la reazione di Gesù di fronte alla sua morte? Come interpretiamo l’esistenza della comunità alla luce della morte di Gesù? Gli autori del Nuovo Testamento hanno assunto vari approcci per rispondere a queste domande, rivolgendosi spesso alle Scritture ebraiche. I vangeli di Matteo e Marco hanno interpretato la morte di Gesù con l’aiuto del Salmo 21 (22).
In ambedue i vangeli, le ultime parole di Gesù sono tratte da questo salmo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Salmo 21 [22]:1; Matteo 27:46; Marco 15:34). Nel dire questo, il Gesù morente mostra debolezza e il sentimento di essere abbandonato da Dio.
– Quando voi o la vostra comunità siete stati deboli e vi siete sentiti abbandonati da Dio? In che modo, in quelle situazioni, avete ricuperato la speranza? In che modo la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender ha espresso il nostro sentimento di debolezza, abbandono e speranza?
Il Salmo 21 (22), ad ogni modo, va avanti e afferma che Dio rimane vicino e sostiene continuamente i suoi servi. Nel momento dell’angoscia, quando si chiede “Perché io?” (versetti 1-21a), il salmista compone un colorito versetto di lode e ringraziamento di fronte alla congregazione.
Al centro di questo capovolgimento sta il riconoscimento e la proclamazione che, anche nell’ora della disperazione, Dio rimane presente e fedele. Per le persone ai margini della società come le persone di colore, le donne, le persone di bassa estrazione e sì, la comunità LGBT, il salmo mette davanti un’esperienza reale di dolore, angoscia, speranza, ringraziamento e vittoria. Siamo sostenuti nella nostra ricerca di giustizia e di vita; se la delusione e il dolore sono reali, sono reali anche la speranza e la liberazione.
– Ci sono delle maniere creative con le quali la vostra comunità può valorizzare sia il sentimento di disperazione che quello di speranza come autentici e cristiani?
Il “servo sofferente” di Isaia prosegue il motivo della vittoria nella morte, in particolare quella di Gesù. Il servo sofferente in Isaia 52:13-53:12 sopporta passivamente il male inflittogli da Dio e dagli uomini.Il servo è come un agnello sacrificale (53:7) e come un’offerta per l’espiazione (53:10) che porta su di sé i peccati dell’umanità e permette il perdono. I racconti biblici della passione nei vangeli di Matteo, Marco e Luca, che sottolineano le sofferenze del Messia, attingono da questo ritratto del servo sofferente. L’autore della Lettera agli Ebrei, in modo simile, vede Gesù come un sacrificio che rende possibile il perdono. Ebrei 10:16-25 attinge da questa tradizione cultuale per interpretare la morte di Gesù. Gesù è un sacrificio (versetti 18-20) e il gran sacerdote nel tempio (versetto 21; 4:14).
L’autore di Ebrei concorda con Matteo e Marco che “[Gesù] offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà” (5:7). Questo autore vede Gesù sottomesso e sconvolto da una morte sacrificale, eppure non abbandonato da Dio. Particolare interessante, la presenza di Dio è la speranza – osiamo dire la garanzia – che la vittoria è tutt’ora alla nostra portata.
Ma il racconto della passione del vangelo di Giovanni altera completamente il ritratto di Gesù sconvolto e sofferente sulla croce. In Giovanni 18:1-19:42 Gesù tiene sotto controllo tutto ciò che gli capita. Quando Giuda e i soldati lo avvicinano nel giardino, Gesù sa cosa succederà ed è il primo a parlare e ad affrontare i suoi avversari (18:4). Dopo che Gesù si identifica dicendo “Sono io!”, i soldati, i farisei e i capi dei sacerdoti cadono a terra (18:6).
Invece di implorare Dio perché allontani da lui il calice (Marco 14:36; Luca 22:42; Matteo 26:42) dice a Pietro “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (18:11). Gesù è in possesso delle sue ultime ore. Il maestro replica alle domande di Pilato e proclama di avere sempre parlato apertamente, proprio come parla apertamente e coraggiosamente a Pilato. Porta la sua croce da solo (19:12). Nel finale, le sue ultime parole e azioni dalla croce indicano il suo controllo sulla situazione: “Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò” (19:30). Giovanni non ci mostra un Gesù sconfitto, sofferente o sottomesso ma ce lo mostra come colui che è mandato da Dio e che non viene da lui abbandonato.
– In che modo voi e la vostra comunità avete pubblicamente preso possesso ed espresso la vostra vocazione all’amore e alla lotta per la giustizia?
Le differenti versioni della risposta di Gesù alla sua morte che troviamo nel nostro lezionario non dovrebbe essere qualcosa da evitare; dovrebbero essere piuttosto un gradito rifiuto alla pretesa che esista un solo modo per affrontare le nostre lotte nelle situazioni della vita e della morte. In quanto comunità che cerca di sradicare le ingiustizie (tra le altre) della povertà, della guerra, delle malattie croniche, dell’oppressione, del pregiudizio, dell’omofobia, del razzismo, del classismo, del sessismo, comprendiamo che esistono infinite alternative per affrontare queste sfide, che a volte sembrano essere insormontabili.
I passi delle Scritture ci ricordano che, nella disperazione o nella sicurezza, dobbiamo affrontare queste lotte. Dobbiamo schierarci per ciò che è giusto, per ciò che è buono e dà vita. Perché? Perché la nostra sicurezza non sta in noi stessi. Abbiamo fiducia nel Dio che è il “Sono io!”, colui che è sempre presente. Abbiamo fiducia in un Dio giusto che porterà la vita al compimento anche in presenza della morte.
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La nostra preghiera
Forse il modo migliore di ricordarci che non siamo soli nei nostri sforzi di amare e nella nostra lotta per la giustizia e l’uguaglianza è vivere assieme in comunità, anche durante la confessione. Qui sotto troverete una preghiera di confessione in forma responsoriale. Recitatela assieme ad altri. Noi speriamo che questo dia il coraggio e la forza di perseverare nell’amore di Dio anche quando dobbiamo affrontare i nostri periodi di debolezza e di dubbio.
Nostro Dio sempre presente
aiutaci a non dimenticare che tu sei con noi anche nella disperazione
Risposta: Aiutaci a non dimenticare
Ricordaci il tuo mandato di amare quando le opere dell’amore e del sacrificio
ci sembrano così dure da mettere in pratica
Risposta: Aiutaci a non dimenticare
Ricordaci che tu hai già compiuto il sacrificio definitivo
nella vita e nella morte del tuo santo figlio Gesù
Risposta: Aiutaci a non dimenticare
Ricordaci che facciamo parte di una missione
che è già stata compiuta e vinta da Gesù Cristo
Risposta: Aiutaci a non dimenticare
Assieme ci battiamo nella speranza
del presente e delle vittorie future
che sono nostre in Gesù Cristo
Amen
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* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI
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Testo originale: Ash Wednesday, Lent and Easter through Pentecost Sunday Year A