Come vivere con serenità il mio essere gay e cattolico? La psicologa risponde
Email inviataci da Antonio, risponde Arianna Petilli, psicologa
Ciao amici di Progetto Gionata, sono un ragazzo di 32 anni (se a 32 ci si può ancora definire ragazzi), sono omosessuale e sono cattolico per questo sento di potermi confidare con voi senza temere pregiudizi. Vi scrivo per raccontarvi la situazione difficile in cui mi trovo e per chiedervi dei consigli. Nonostante che abbia già una veneranda età e che sia consapevole del mio orientamento sessuale da un pezzo, vivo ancora “chiuso nello sgabuzzino” e la mia sessualità resta qualcosa di immobile e confinato nel mio mondo interiore, come un bell’abito nell’armadio. Ma come sono arrivato a questo punto?
La mia storia è per alcuni aspetti molto complicata e cercherò di fare una sintesi. Ho iniziato a percepire il mio orientamento sessuale a 14 anni ma l’ho accettato solo a 23 (che fatica!), quando ho cominciato ad avere le mie prime esperienze con altri ragazzi (prima non avevo avuto neanche una ragazza). Contestualmente ho iniziato a frequentare il mondo gay e ad omologarmi ad esso e ai suoi stereotipi, come è facile che succeda quando sei nelle condizioni di vivere una diversità e trovi un ambiente che tutto sommato ti accoglie e che credi rappresenti l’unico modo di vivere la tua condizione. Deluso dal suddetto mondo, al termine dei miei studi universitari decisi di realizzare quell’ispirazione che mi portavo dentro fin dall’infanzia.
Entrare in un istituto di vita consacrata. Grazie a un estremo sentimento di onestà e di serietà nei confronti di quello che stavo facendo, decisi di comunicare alle figure significative del mio cammino spirituale la natura del mio orientamento sessuale. L’onestà fu vista di buon grado e la questione “omosessualità” non rappresentò un problema in relazione alla prosecuzione della mia esperienza.
Quasi vicino alla mia professione perpetua, tuttavia, per motivi che ora sarebbe troppo lungo spiegare ma che niente hanno a che fare con l’orientamento sessuale, decisi di mollare e di tornare nel mondo e cercare di riprendere quanto avevo lasciato della mia vita precedente. Ho recuperato la mia vecchia professione lavorativa e parte dei miei amici storici (non omosessuali) ma ora, dopo anni di castità, mi trovo a fare i conti con la mia sessualità e con il bisogno di esprimerla.
E così mi sono ritrovato a dover conciliare tra loro le diverse anime presenti in me, ciascuna richiedente diritto di domicilio senza la possibilità di convivere con le altre. Il mio orientamento sessuale, la mia fede, l’amore per la mia famiglia.
L’amore per la mia famiglia mi chiede di rinunciare a venire allo scoperto. Sembrerebbe una storia trita e ritrita ma purtroppo è proprio così. La mia famiglia è emotivamente molto debole e già provata da altre questioni e solo questo basterebbe per farmi desistere.
Poi c’è il fatto che viviamo in un piccolo centro rurale del meridione quindi la notizia sarebbe per loro insopportabile, oltre che in sé per sé, anche per lo scandalo. Scandalo che nel mio caso sarebbe ancora più grave, per la mia esperienza religiosa passata e per il mio attuale impegno nella vita parrocchiale.
La mia fede è un’altra questione che mi getta ancora di più nel dubbio e che mi lacera. Sono cattolico e ci tengo alla mia cattolicità. Non sono un bacchettone rigido, conservatore e apologetico e al contrario mi riconosco una certa capacità di dialogo con chi la pensa diversamente e un grande spirito critico ma conosco fin troppo bene l’insegnamento della fede cattolica, quello ufficiale, non le opinioni progressiste di una frangia né le interpretazioni fondamentaliste di un’altra, e so bene quello che mi chiede in quanto omosessuale e mi sta stretto. Ma so anche che pensare o fare diversamente, anche conservando la mia fede in Cristo, equivarrebbe a rinunciare alla cattolicità.
Il mondo gay, inteso come comunità LGBT, né mi accetterebbe, né d’altra parte sento che mi rappresenti. Per il mondo gay io non sono altro che il classico caso di omofobia interiorizzata; non capisce né la mia personale, lecita e riflettuta percezione dell’omosessualità, né la mia fede religiosa, né le motivazioni del perché io deliberatamente e consapevolmente continui a nascondere la mia natura per amore della mia famiglia.
Come uscire da questa penosa situazione? Qualsiasi prospettiva mi sforzi di congetturare mi porta inevitabilmente di fonte a un conflitto. Qualsiasi soluzione richiederebbe un sacrificio che mi farebbe soffrire; come ora, che ho sacrificato la mia vita affettiva per continuare a nascondere la mia omosessualità alla mia famiglia e per non entrare in contraddizione con la mia fede cattolica. Ma anche qualora decidessi di venire fuori con quale mondo gay dovrei confrontarmi? Con gli stereotipi in cui non mi riconosco?
Grazie per aver dato ascolto alle mie complicatezze 🙂
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La risposta…
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Alcuni giorni fa sono stata contattata dalla redazione di Progetto Gionata che, segnalandomi la sua mail, mi chiedeva se fossi interessata a risponderle. Da anni mi occupo di omosessualità e, in particolare, del modo in cui gay e lesbiche cattolici cercano di trovare un equilibrio fra queste due parti di loro stessi, l’orientamento sessuale e la fede religiosa, che, almeno in apparenza, sembrano essere in profonda contraddizione tra loro.
Nella sua mail, ho rivisto molte delle dinamiche e dei conflitti che caratterizzano la maggior parte delle persone con cui lavoro. Infatti, se riconoscersi come omosessuali non sia, in genere, affatto semplice, per coloro che sono stati educati e che si riconoscono nei valori religiosi cattolici, il processo di accettazione risulta ulteriormente ostacolato. La percezione di essere diverso, magari sbagliato, e il senso di smarrimento e le paure che ne conseguono, infatti, dovranno confrontarsi con la dottrina cattolica ufficiale e con il forte senso di colpa che ne può derivare.
Ecco allora che, per quanto riguarda la questione religiosa, le persone di solito incominciano un duro lavoro volto a risolvere l’incompatibilità percepita tra orientamento omosessuale e credenze religiose che, in estrema sintesi, consiste nello scegliere a quale di questi due aspetti di sé rinunciare. Tuttavia, si tratta di una scelta non facile. Innanzitutto, quale parte di noi stessi reprimere? E, soprattutto, è questa la strada che ci permette di risolvere i nostri conflitti, accettarci e vivere serenamente? In genere, la risposta a quest’ultima domanda è negativa. Eliminare una parte di noi stessi, qualunque essa sia, ci farà sempre sentire persone non complete. Come giustamente lei scrive, ogni soluzione richiederebbe un sacrificio che mi farebbe soffrire.
In base a quanto ho potuto capire dalla sua mail, anche la sua vita è stata, ed è tutt’oggi caratterizzata, da queste stesse contraddizioni e da precedenti tentativi di soluzione che, concentrandosi sulla rinuncia di una parte di sé, non le hanno mai permesso di sperimentare momenti di perfetta integrazione. Tali conflitti, inoltre, si sono dovuti confrontare con la paura di uscire allo scoperto in una piccola realtà di paese e con la necessità di proteggere la propria famiglia, a quanto ho capito già scossa da precedenti vicissitudini familiari, da ulteriori “duri colpi”.
E allora che fare? E’ possibile vivere la propria sessualità nel rispetto dei valori religiosi? E’ possibile esprimere la propria identità omosessuale senza correre il rischio di ferire la famiglia? Come fare tutto ciò in una piccola realtà di paese dove emergere pubblicamente come gay rappresenterebbe uno scandalo? Sono domande a cui rispondere, da un lato, è estremamente difficile.
Non esistono, infatti, risposte standard che vadano bene per tutti. Ogni soluzione rispetto al vivere apertamente la propria omosessualità e relative al modo in cui risolvere il conflitto percepito con il credo religioso, va ben esplorata e analizzata rispetto al caso specifico. Devono essere presi in considerazione i vantaggi e gli svantaggi, nel breve e lungo termine, di ogni possibile scelta, e tenere conto di ciò che, al momento presente, rappresenta la priorità di quella specifica persona. D’altro canto, la risposta ai precedenti interrogativi trova una risposta molto semplice, quantomeno da un punto di vista psicologico. Fino a che una persona continuerà a vivere nel nascondimento, a negarsi la possibilità di vivere la propria sessualità e storie d’amore con persone dello stesso sesso e a sentirsi scisso come gay e cattolico, è difficile che possa avere la percezione di avere finalmente fatto “pace con se stesso”. Questo, ovviamente, non vuol dire che si debba fare coming out in modo indifferenziato con tutti o che si debba cominciare a vivere una vita sessuale dissoluta e promiscua.
Nel lavoro clinico con persone gay e lesbiche cattoliche ho potuto constatare come qualunque strategia, esperienza e comportamento li aiuti a interpretare la propria omosessualità in modo meno critico, a mettere in discussione l’incompatibilità con i valori religiosi e a rompere l’isolamento in cui potrebbero essere costretti a vivere i loro conflitti, sia di fondamentale importanza. In questo senso, per esempio, si rivela utile la scelta di leggere libri o vedere film a tematica che possano offrirci una visione più affermativa dell’omosessualità, o, con la stessa finalità, consultare siti internet, come ad esempio questo, in cui poter approfondire aspetti che ci riguardano personalmente, e ancora cominciare a ritagliarsi, magari in modo molto graduale, piccoli spazi in cui poter essere finalmente se stessi e sentirsi accettati per ciò che si è realmente. Fondamentale, inoltre, è il confronto con altri gay e lesbiche che, condividendo con noi la difficoltà di essere omosessuali in una società omofobica e, nel caso in cui cattolici, il disagio causato dal contrasto con gli insegnamenti religiosi, possono divenire valide fonti di sostegno oltre che importanti modelli di riferimento.
Fare per esempio parte di un gruppo di cristiani omosessuali oppure partecipare agli eventi organizzati dalle associazioni GLBT, magari con una frequenza anche solo sporadica, è quindi molto importante.
Nella sua mail racconta di aver frequentato la comunità omosessuale ma di esserne stato in parte deluso a causa della presenza di alcuni stereotipi in cui non si riconosce. Sono d’accordo con lei, esistono numerosi stereotipi relativi all’essere “un vero gay” o una “vera lesbica” o circa il modo in cui si debbano vivere le relazioni tra omosessuali, cui spesso i gay e le lesbiche stessi, perché disorientati, cercano di adeguarsi. D’altro canto, è anche vero che spesso, a loro volta, le persone si avvicinano alla comunità GLBT ricche di pregiudizi rispetto agli altri omosessuali. Si tratta, in genere, di una strategia difensiva che potremmo riassumere nella seguente frase “Anche se sono gay/lesbica non sono proprio come loro”. Un atteggiamento di questo tipo, tuttavia, impedendoci una conoscenza più approfondita degli altri, non farà altro che rinforzare i nostri pregiudizi e l’immagine negativa che potremmo avere dell’omosessualità, delle persone omosessuali e quindi, in quanto gay, di noi stessi.
In definitiva, il percorso di accettazione ci chiama in causa in modo molto diretto, chiedendoci, pur nel rispetto dei nostri tempi, di mettere in discussione noi stessi e le nostre convinzioni sull’omosessualità. Si tratta, spesso, di un cammino tortuoso e sofferto da cui, tuttavia, non possiamo prescindere.
Sperando di esserle stata d’aiuto, la saluto con affetto.
Arianna Petilli
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* ARIANNA PETILLI, laureata in Psicologia Clinica e della Salute, è iscritta all’Albo dell’Ordine degli Psicologi della Toscana con il numero 6500. Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale presso l’Istituto Miller di Firenze, svolge l’attività clinica privata a Firenze occupandosi, prevalentemente, di disturbo ossessivo compulsivo, disturbi del comportamento alimentare e disturbi d’ansia. Lavora, inoltre, con pazienti gay e lesbiche aiutandoli nel processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e nell’affrontare le difficoltà legate all’omofobia, sociale e interiorizzata. Organizza incontri di formazione e gestisce percorsi di approfondimento rivolti alle coppie, eterosessuali e omosessuali. E’ stata relatrice in forum e convegni, nazionali e internazionali.