Famiglia e famiglie. Come vivono i nostri figli LGBT la Chiesa?
Riflessioni Corrado e Michela Contini* pubblicate sulla rivista trimestrale Matrimonio, anno XLIV, n.4, dicembre 2019, pagg.21-28
“Noi non andiamo semplicemente in Chiesa, anche noi siamo la Chiesa!”. Questa semplicissima affermazione, fatta da giovani credenti LGBT, ci ha fatto profondamente riflettere e dal cammino compiuto come genitori di un figlio gay sia all’interno di un gruppo di genitori credenti con figli e figlie LGBT, sia dall’incontro avuto con numerosi gruppi italiani di cristiani LGBT di cui molti giovani e giovanissimi, abbiamo potuto maturare due riflessioni.
La prima considerazione che nasce proprio da questa esperienza diretta, consiste nell’affermare quanto abbiamo visto, udito e toccato: in queste persone è forte il desiderio e il convincimento di seguire il Signore e di sentirsi parte comunque della sua Chiesa anche quando da questa sono stati rifiutati o negati.
“I gruppi per cristiani LGBT sono nati spontaneamente in Italia attraverso una paziente attività di autorganizzazione, in alcune esperienze vivono un dialogo fruttuoso con le parrocchie alle diocesi. Luoghi temporanei e di “emergenza”, di ristoro e accoglienza, mutuo soccorso e ascolto. Sono tanti i giovani che negli anni sono entrati in contatto con questi gruppi, che vengono percepiti come punti di contatto fra la Chiesa, verso la quale conservano un sentimento di figliolanza e appartenenza, e la vastità dei bisogni irrisolti espressi e vissuti dalle persone LGBT”. [1]
L’esperienza di non essere capiti o accolti, di non trovare i modi per poter esprimere la verità profonda della propria affettività e di doverla vivere nel nascondimento, ha allontanato molti dalla Chiesa sentendosi feriti o esclusi, pur essendo ancora più o meno consapevolmente alla ricerca di Dio. In altri è diventata motivo di testimonianza che si è resa visibile attraverso opere pastorali ma anche scritti e riflessioni.
Ne è espressione bellissima il testo sinora inedito, pubblicato sugli Atti del V° Forum italiano dei cristiani LGBT [2] (che invitiamo caldamente a leggere), del documento inviato da 80 giovani al questionario preparatorio del XV° Sinodo Ordinario di Vescovi in cui si legge tra le altre cose: “Contempliamo quel Gesù che oltre ogni categoria vede prima di tutto le persone…. Fare l’esperienza dell’amore di Gesù attraverso l’ascolto non giudicante e non prevenuto dei fratelli ci consente di amare a nostra volta il prossimo…. Essere figli e figlie di una Chiesa che fatica a scorgere il bene nelle nostre vite costituisce un versante di sfida. Ma ogni volta che ci lasciamo guidare dal Signore nello scoprire la missione della nostra esistenza, credere costituisce per noi una grande opportunità di gioia, illuminati dalla dolce speranza che la fede in Cristo porta con sé… Per un giovane LGBT il primo passo nella ricerca della propria strada è sperimentare intimamente che il Signore lo ama proprio così come egli è, e scorgere nella propria peculiarità un dono. Oggi possiamo dire con speranza: anche noi siamo partecipi della gioia del Signore!”[3].
Essi desiderano una cura pastorale che esca dalla “dimensione di frontiera” per entrare nella ordinarietà della vita ecclesiale.
“Sarebbe bello camminare insieme verso ciò a cui veramente aspiriamo e che in realtà ci sembra sia già avviato: un bisogno minore di gruppi specifici e protetti rispetto a comunità cristiane che sappiano accogliere e aiutare tutti i giovani a integrare serenamente la fede con la propria affettività”[4].
Essi “sentono il bisogno della Chiesa e delle sue risorse umane e spirituali che costituiscono tesori inesauribili. Crediamo che la Chiesa abbia tanto da dire alle nostre vite: sì, sentiamo il bisogno di questa nostra Madre, della sua presenza e della sua guida per aiutarci a trasformare le scelte che si presentano sulla nostra vita in possibilità di gioia e pienezza. Se dovessimo provare a sintetizzare cosa chiediamo concretamente alla Chiesa, parleremmo di accoglienza e inclusività“. [5]
Essi avvertono come inscindibile l’accoglienza della persona con l’accoglienza della propria affettività: ”Vorremmo, come Chiesa, avvicinarsi al tema dell’omosessualità apprezzando le possibilità di bene, impegno e cura reciproca presenti anche nelle persone LGBT- in sintesi le loro capacità relazionali. Nei nostri cammini, ci accorgiamo della particolare fecondità che ci è stata data, intesa come vita donata e moltiplicata per l’altro, alla quale le nostre vite si possono aprire”. [6]
Questi giovani credenti LGBT auspicano il desiderio: “di avere la possibilità di rivolgerci a operatori sensibili e preparati nel caso che si percepiscano atteggiamenti discriminatori o di allontanamento, affinché questi vengano trattati opportunamente senza essere sottovalutati o minimizzati. Vorremmo che si prendessero le distanze dalle cosiddette “terapie riparativa” che non sono sostenute da alcuna evidenza scientifica nella modificazione dell’orientamento sessuale e affettiva dell’individuo, risultando dunque inutili e rischiose per la salute psichica, emotiva e spirituale della persona”.[7]
Ecco allora la seconda riflessione: le persone credenti LGBT possono offrire doni all’intera comunità cristiana? E quali? Ne abbiamo percepiti tanti. Ne raccontiamo almeno quattro.
Il primo è aver continuato a sperare contro ogni speranza negli anni della negazione o del silenzio in cui sembrava non esistessero, in cui sembrava impossibile associare la parola “credente” con la parola “omosessuale”. Hanno continuato a camminare e a pregare all’interno della Chiesa per chi sarebbe venuto dopo di loro (“Ho capito che la mia vocazione era quella di tenere viva la speranza per quelli che sarebbero venuti dopo di me”- Gianni Geraci). Hanno tenuto il fuoco acceso aspettando l’aurora di quel giorno in cui papa Francesco ha detto: ”Chi sono io per giudicare?”. Uno dei cristiani LGBT della prima ora arriva a scrivere: ”Ma è proprio vero, si interessano a me, al mio mondo, alla mia fatica? Sembra proprio di sì: mi parlano! Quindi esisto!… Ma allora sono una persona degna di rispetto! Nasce una profonda gratitudine e l’evocazione di un sentito senso di responsabilità”. (Maurizio Mistrali – Noi famiglia&vita, supplemento di Avvenire, 30 giugno 2019).
Il secondo dono è quella di aver contribuito a capire ancor più profondamente il valore della persona nella sua interezza e nella sua dignità di figlio di Dio ritenendo riduttivo “definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale”.
Il terzo quello di mantenere un dialogo aperto con il magistero della Chiesa nella mitezza: “Vorremmo vivere questa decima beatitudine. Beato chi si oppone, mettendosi a servizio, con speranza! Opporsi non significa essere aggressivi o rivendicare: chi ama non rivendica! Opporsi significa letteralmente mettersi di fronte; vuol dire guardarsi negli occhi, senza abbassare lo sguardo! Di questa beatitudine nascosta noi vogliamo vivere, nell’impegno e nel tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle donne, dei loro sorrisi e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro il disumano”(Paolo Spina al Convegno di Caravaggio 18/11/2018).
Il quarto dono dei credenti LGBT possono portare è quello di essere testimoni credenti e credibili: “Ogni giovane, con la sua finitezza, è chiamato alla missione, cioè a portare la bellezza del Vangelo a chi ha accanto. Così anche noi ci sentiamo servi di una scoperta, testimoni della nostra salvezza. Il passo successivo è quasi spontaneo: voler testimoniare qualcosa di buono, bello e vero. Come Gesù, che prima di andare per le strade del mondo ricercava il silenzio per parlare con il Padre, anche noi con la preghiera e l’ascolto della Parola, vorremmo per prima cosa rinnovare ogni giorno il nostro impegno per una fede intorno a cui far ruotare l’interezza della nostra vita…
A noi giovani cristiani LGBT sono spesso chiesti un doppio coraggio e una doppia testimonianza, che possono avere il valore di una profezia: testimoniare il nostro vissuto affettivo in ambito ecclesiale e il nostro vissuto di fede nei contesti laici. In questa integrazione creativa e paziente (perché non tracciata prima) tra fede e appartenenza ecclesiale, può trovarsi una nostra chiamata a essere un ponte, con tutte le nostre finitezze, fra la nostra Madre (la Chiesa) e i suoi figli LGBT….. Consapevoli che di Gesù portiamo agli altri quanto di lui abbiamo incontrato nella nostra finitezza, potremmo sollecitare, proponendo un’immagine di Dio accogliente e non giudicante, a guardare dentro il proprio cuore: è lì che il suo amore si rivela. O ancora, trasmettere la consapevolezza che la Chiesa è il Popolo di Dio in cammino verso il Regno, della quale si è figli pur nella pluralità dialogica e fraterna delle posizioni” [8].
Ecco allora la conclusione che ne deriva: questi figli e figlie, fratelli e sorelle con tutta verità vogliono seguire il Signore e lo mettono al centro della propria vita! Sono nella Chiesa, famiglia di Dio e popolo di salvati, e vogliono restarci per renderla splendente!
Da parte di tutta la comunità cristiana occorre saper cogliere il bene che c’è, il buono che abbiamo visto e, come credenti, il Signore che abbiamo incontrato in questa realtà. Sempre nostri figli. Tutti nostri figli. Tutti figli di Dio.
* Corrado e Michela Contini sono genitori cristiani aderenti al Gruppo Davide di Parma e alla Rete Viandanti e sono stati membri del Comitato organizzatore del V° Forum Nazionale dei Cristiani LGBT- Albano Laziale 5-7ottobre 2018.
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1 AA.VV., Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo loro. Atti del V° Forum italiano dei cristiani LGBT-Gruppo Editoriale Viator, Giugno 2019, pp.108
2 Progetto GIovani Cristiani LGBT, Risposte al questionario allegato al documento preparatorio della XV Assemblea Generale Orsinaria del Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e discernimento vocazionale”, in AA.VV., Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo loro. Atti del V° Forum italiano dei cristiani LGBT, Gruppo Editoriale Viator, Giugno 2019,pp.91-139.
3 Idem, pp.99-106.
4 Idem, pp.99.
5 Idem, pp.111.
6 Idem, pp.113-114.
7 Idem, pp.115-116.
8 Idem, pp.119-122.