Il coming out in tempo di guerra
Articolo pubblicato sul sito del Museo Nazionale della Seconda Guerra Mondiale di New Orleans (Stati Uniti) il 25 giugno 2020, liberamente tradotto da Chiara Benelli
I soldati omosessuali hanno subito un’immane discriminazione durante la seconda guerra mondiale. La maggior parte di loro ha poi trovato il proprio posto all’interno di nuove comunità, e nonostante l’oppressione si è costruita una bella vita. Diamo un’occhiata al film Coming Out Under Fire, che racconta la loro storia.
“Siate invisibili.”
Marvin Liebman, Corpo dell’aviazione degli Stati Uniti
Al termine della seconda guerra mondiale, il diciannovenne Marvin Liebman venne spedito ai servizi speciali, nell’aviazione dell’esercito degli Stati Uniti. Alla fine, però, insieme a oltre 9.000 soldati dell’esercito americano, ricevette il cosiddetto “congedo blu” della sezione 8 perché omosessuale.
Coming Out Under Fire, un documentario uscito nel 1994, dà voce alle esperienze di migliaia di omosessuali arruolatisi nell’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, capitolo ampiamente trascurato dagli storici e dai musei di tutto il Paese.
Il film, tratto dal libro dello storico Allan Bérubé, va inserito inserire nel giusto contesto storico: nel 1993 negli Stati Uniti si stava discutendo la politica discriminatoria del “non chiedere, non dire” (Don’t Ask, Don’t Tell), che riguardava da vicino gli omosessuali che in quegli anni prestavano servizio nelle forze armate.
L’intenso dibattito nazionale ebbe come esito delle audizioni congressuali in cui tutti i membri degli Stati Maggiori riuniti espressero giudizi favorevoli a tale politica, e in seguito, la conferma della decisione da parte del presidente Clinton. Il film in questione può e deve essere visto non solo in quanto commento sociale contro tale regolamento, ma anche in quanto espressione del costo umano che sta alla base di tale discriminazione.
Il film ci riporta poi alla seconda guerra mondiale per uno sguardo dettagliato sulle origini di questa politica. Vengono ascoltati nove veterani a cui, come a tutti gli americani, fu chiesto di fare la loro parte. A quel tempo l’omosessualità era classificata dalla comunità medica come malattia mentale. e la malattia mentale era una delle condizioni che esonerava i giovani dall’obbligo di leva.
“Qualsiasi fosse la posizione riguardo all’esonero dal servizio militare, questa venne presto annullata [dopo Pearl Harbor] e anche noi prendemmo parte allo sforzo bellico come tutti gli altri.”
Tom Reddy, Corpo dei Marines degli Stati Uniti
Nella speranza di estromettere i malati di mente, l’esercito americano pose a ogni potenziale recluta domande sulla propria sessualità. I gay e le lesbiche furono costretti a rispondere in maniera vaga o a mentire per poter prestare servizio, altrimenti avrebbero corso il rischio di essere rispediti a casa e classificati come “sessualmente depravati”.
Giunti a metà del conflitto, i militari iniziarono a cercare nuovi metodi per prendere di mira ed espellere gli omosessuali. Invece di accusare i singoli individui di sodomia, reato punito dalla corte marziale, i commilitoni iniziarono ad apostrofare i sospetti omosessuali come psicopatici: in altre parole, invece di accusarli di un crimine di condotta o di azione, li accusavano di un crimine di natura.
Tale mossa diede vita a un efficiente sistema discriminatorio e persecutorio nei confronti dei soldati omosessuali. Le reclute colpite dal “congedo blu” della sezione 8 furono epurate dalle basi e dalle unità, e inviate in istituti psichiatrici o in improvvisati brigantini di quarantena dove patirono l’isolamento, la depressione e l’umiliazione, e dove furono privati dei loro diritti e della loro dignità: “Ci siamo sentiti liberati da un peso quando abbiamo svelato il nostro segreto: eravamo omosessuali”.
Nonostante le minacce di persecuzione, in guerra questi soldati riuscirono a farsi valere. Com’era il caso della gran parte di quelle giovani reclute, molti di loro non avevano mai lasciato le loro case prima d’allora, e la guerra offrì loro l’opportunità di sperimentare un senso di comunità e di cameratismo e, in alcuni casi, anche un primo amore.
Queste nuove amicizie diedero ai militari LGBT protezione dall’ostilità che li circondava, e consentirono il formarsi di una sottocultura distinta all’interno dell’esercito. In tutte le basi militari i soldati venivano intrattenuti dagli spettacoli delle drag queen; dagli scritti di Dorothy Parker nacque un lessico omosessuale completo; infine, vide addirittura la luce un giornale queer clandestino. La “Myrtle Beach Bitch” o “Myrtle Beach Belle” divulgava segretamente notizie e storie tra le varie basi e unità.
Nelle forze armate furono molte le lesbiche che arrivarono a occupare posizioni di prestigio. Il nome di Phyllis Abry, ad esempio, comparve in articoli di propaganda perché incarnava gli ideali del WAAC, il corpo ausiliario militare femminile. Estranea all’esercito, anche la compagna di Abry venne selezionata come figura ideale del suddetto corpo militare, da promuovere con la propaganda. L’ironia della scelta di due donne lesbiche per rappresentare l’immagine ideale del corpo ausiliario dell’esercito femminile non sfiorò minimamente Abry.
Per molti, la seconda guerra mondiale non rappresentò che l’inizio di conflitti d’identità lunghi tutta una vita. Le epurazioni sistematiche dalle basi e dalle unità hanno mandato in mille pezzi le comunità e le relazioni che si erano venute a creare sulla base di sacrifici condivisi. I congedi blu hanno tormentato i veterani per tutta la vita, escludendoli di fatto da qualsiasi servizio solitamente garantito ai veterani di guerra.
Nel 1953 il presidente Eisenhower firmò l’ordine esecutivo 10450, che bandiva gli omosessuali da qualsiasi impiego federale. Oltre 5.000 dipendenti federali persero il posto per accuse di omosessualità. Queste azioni discriminatorie da parte del governo hanno spinto le persone LGBTQ ancor più ai margini della società, e hanno legittimato le forze dell’ordine e i politici, che sono diventati ancor più violenti nei confronti dei cittadini queer.
Il 28 giugno 1969 la polizia fece irruzione allo Stonewall Inn nel quartiere Greenwich Village di New York. I frequentatori del locale gay reagirono scatenando una violenta rivolta, che dette il via al movimento per i diritti LGBTQ negli Stati Uniti. Nei primissimi anni del secondo dopoguerra i veterani omosessuali del recente conflitto mondiale divennero tra i primi a combattere i congedi blu e la discriminazione militare; quest’ultima, però, è diventata il fulcro del movimento per i diritti civili LGBTQ solo nei decenni successivi alla guerra del Vietnam.
Il dibattito è continuato fino al 2010, quando la politica del “non chiedere, non dire” è stata definitivamente abrogata, e i soldati omosessuali hanno potuto finalmente prestare apertamente servizio di leva militare. Non c’è cosa più patriottica che fare il proprio dovere di fronte a difficoltà straordinarie. Giugno, in particolare, è un periodo in cui le persone LGBTQ sfidano le disuguaglianze e celebrano la diversità e l’orgoglio.
Non lasciatevi ingannare dall’anno di uscita del film: Coming Out Under Fire rende un ottimo servizio ai nostri sforzi di narrare in modo più completo possibile la storia della guerra che ha cambiato il mondo. Il mio unico auspicio è che le associazioni di questo paese si impegnino a raccogliere le voci dei veterani gay, lesbiche e transgender, e che si trovi, nella nostra storia, uno spazio per rendere omaggio anche ai loro servigi.
Testo originale: Coming Out Under Fire: The Story of Gay and Lesbian Service Members