Con Dio nella valle tenebrosa
Riflessioni di Lidia Maggi pubblicate dal settimale evangelico Riforma il 4 novembre 2010
Sentire di non essere soli, di essere accompagnati da chi si prende cura di noi e viene incontro ai nostri desideri, appartiene all’alfabeto di base della condizione umana. È la prima esperienza che facciamo quando veniamo alla luce. È l’abbraccio materno che ci apre alla relazione. È la voce dei nostri genitori che ci strappa al silenzio insegnandoci il linguaggio. Nella solitudine un bambino muore.
Non siamo fatti per stare da soli. Abbiamo bisogno di contatto, di un abbraccio, di una parola che ci interpelli.
La carezza della fede. Anche nella fede la relazione con Dio è la sorgente dell’esistenza credente. Dio lo incontriamo come Dio-con-noi. Egli si lega alla vicenda di ciascuno con legami di affetto e di cura. Le Scritture sono una ricca variazione su questo tema.
Immagini politiche, come quella dell’alleanza; metafore affettive, come quella della relazione erotica o parentale; simboli presi dal quotidiano, come dal mondo del lavoro da cui è tratta la figura del pastore: il prisma che esprime la cura ed il legame tra Dio e gli esseri umani ha molte sfaccettature. La fede è essenzialmente questa fiducia nella vita e nel Dio che ce l’ha donata.
La crisi. Eppure, questo alfabeto primo della condizione umana non va da sé. Come ben sapeva la sapienza antica, occorre diventare ciò che siamo. La fiducia iniziale viene necessariamente messa a dura prova.
Già nel giardino, il più astuto degli animali aveva insinuato nel cuore umano il sospetto che i comandi divini non fossero stati dati per il nostro bene ma per tutelare gli interessi di Dio.
Questo dubbio si traduce nella messa in discussione dell’affidabilità della vita e di Dio. Il primo libro della Scrittura traduce con linguaggio mitico quella che è un’esperienza comune. Per dirla con le parole del salmo 23: il venir meno di quel bel giardino in cui «nulla manca» ed il dover fare i conti con «la valle dell’ombra della morte».
Dio dove sei? Quando la vita mostra i denti, quando ci si ritrova soli, nel grande freddo di una storia spietata, come continuare a credere nella bontà dell’esistenza umana? La Bibbia, libro della fiducia, conosce bene l’obiezione di Giobbe, il sarcasmo di Qohelet. Essa dà la parola anche ai portavoce delle «pecore senza pastore».
Lo stupore iniziale per la creazione «bella e buona» lascia spazio al grido di disperazione fatto proprio persino dal Figlio di Dio (Sal 22; Mc 15, 34).
La vita è un camminare nella valle oscura. La morte getta la sua ombra lungo tutto il percorso e noi facciamo esperienza del morire ben prima che giunga la fine. Dio della luce e delle tenebre. Si può credere mentre si è immersi nelle tenebre? Sì, a patto che non si leghi la presenza di Dio unicamente alla luce.
Quest’ultima è simbolo decisivo del divino: «Dio è luce» (1 Gv 1, 5). Eppure, anche Lui «venne nelle tenebre» (Gv 1, 5), condividendo la sorte umana, passando per la valle dell’ombra della morte. Non ha evitato il buio del male: l’ha attraversato.
Ci sono momenti in cui le tenebre della nostra esistenza sembrano neutralizzare la luce della fede. In quelle situazioni Dio, più che una presenza luminosa, ci appare come un bastone che dà sicurezza. Un bastone col quale percorrere quella valle infida che non ci risparmia nessuna prova. Nel salmo non viene data spiegazione del male; e nemmeno attribuito a Dio.
È un ingrediente dell’esistenza, un fenomeno che fa parte del vivere, nei confronti del quale occorre non soccombere arrendendosi, bensì affrontarlo nella consapevolezza che Dio è lì con noi. Il credente è meno preoccupato di spiegare il male e più di lottare per debellarlo affinché si manifestino le opere di Dio (Gv 9). Tu sei con me. Vorremmo avere sempre con noi il Pastore, ascoltare in ogni momento la sua voce, essere indirizzati dalla sua mano forte e sicura.
E grazie a Dio, esistono questi momenti di grazia, che ci riconciliano con la vita, che ci persuadono della sua bontà. Ma, a volte, si tratta solo di resistere, di affrontare il male con coraggio. Fiduciosi che il buon Pastore non ci abbandona neppure in quel frangente.
Chi crede sfida l’evidenza ed osa confessare che proprio nella morte, nel pericolo, Dio cammina con noi, affronta le stesse difficoltà e ci protegge. Tale intuizione rappresenterà il cuore del cristianesimo: l’Emmanuele, il Dio con noi, il Dio incarnato, che condivide la sorte umana nella forma del reietto.
Nella lotta contro il male non siamo soli; sperimentiamo la consolazione che Dio lo affronta con noi. E invochiamo che Dio ci dia tanta forza di resistenza quanta ne avremo bisogno.