Con “Fiducia Supplicans” qualcosa è cambiato!
Riflessioni di Gianni Geraci
Due giorni fa, è stata pubblicata la dichiarazione Fiducia Supplicans. Con essa, il Dicastero per la Dottrina della Fede chiarisce il «senso pastorale delle benedizioni». E autorizza la benedizione delle coppie dello stesso sesso.
Le prime reazioni che ho letto erano decisamente negative. Un ragazzo che ha poco meno di trent’anni mi ha scritto:
«Fa male leggere le solite esangui affermazioni da brividi. Affermazioni secondo cui “solo nel matrimonio eterosessuale i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano». Un altro aggiungeva: «Io una benedizione in cui mi si ricorda che il mio rapporto di coppia è offuscato dal peccato, ma che il Padre celeste continua a volermi bene non la voglio».
Molti fra i più giovani hanno accusato il Dicastero, di avere un atteggiamento ipocrita. Rilevano che si cerca di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte.
Non avevo ancora letto il testo della dichiarazione. Quindi mi sono limitato a osservare. C’è dell’interessante, al di là dei suoi contenuti. E’ che la Fiducia Supplicans sconfessa quello che la Congregazione per la dottrina della Fede (allora si chiamava così) diceva due anni fa. Allora, pubblicando la risposta al dubium di un non meglio identificato vescovo, concludeva affermando: «La Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso».
Qualche osservatore più attento mi aveva fatto notare che questa sconfessione non era una novità. Papa Francesco era stato sollecitato rispondendo dai dubia di cinque cardinali conservatori anche all’inizio della scorsa estate. Gli si chiedeva se si potessero accettare «come “bene possibile” situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni con persone dello stesso sesso, senza venir meno alla dottrina rivelata».
In quel caso aveva dato una riposta stata chiara. Dopo aver ricordato ai suoi interlocutori che: «non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono». E aggiungeva: «la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio. Perché, quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio».
Nel responsum papale non c’era nessun riferimento a quello pubblicato due anni prima dalla Congregazione. Chiunque non poteva non notare un diverso atteggiamento rispetto al “no” deciso del 2021. Finalmente ieri sera ho letto questa benedetta “dichiarazione”.
Subito mi sono accorto che il punto di partenza era il riconoscimento che, quanto aveva scritto pochi mesi fa papa Francesco, «implica un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa» e che l’esigenza principale a cui quel documento risponde è quello di recepire in maniera ufficiale questo sviluppo.
In sostanza, si riconosceva che la dottrina espressa dalla Congregazione ad affermare che la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso, era superata. Subito ho pensato: «Questa sì che è una grande novità, perché il Magistero fa una fatica enorme a sconfessare se stesso».
Lo dimostra il fatto che, a distanza di cento anni dai documenti con cui Pio IX si opponeva alla nascita dello Stato italiano, con alle spalle un secolo in cui era apparso evidente a tutti quanto fossero anacronistiche le istanze di cui si faceva portatore il Papa, Paolo VI si limitava a scrivere: «Ci asteniamo perciò di proposito da ogni retrospettiva valutazione storica, giuridica, politica e sentimentale».
Il Magistero vive sempre ogni sconfessione di quanto aveva affermato in passato come uno “strappo al cuore”. Lo si vede chiaramente anche nella dichiarazione Fiducia Supplicans. Essa, prima di aprire alla possibilità (impensabile solo pochi mesi fa) di benedire una coppia omosessuale, riprende il responsum di due anni fa.
Dice che si deve «evitare che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è» e, poco più avanti, ricorda che «sono inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli e ciò che lo contraddice».
Nonostante queste chiusure da cui si parte a livello dottrinale, dopo aver citato ancora il responsum del 2021 quando afferma che: «quando, con un apposito rito liturgico, si invoca una benedizione su alcune relazioni umane, occorre che ciò che viene benedetto sia in grado di corrispondere ai disegni di Dio», di fatto poi la mette da parte.
Afferma infatti che: «Si deve altresì evitare il rischio di ridurre il senso delle benedizioni soltanto a questo punto di vista, perché ci porterebbe a pretendere, per una semplice benedizione, le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti. Tale rischio esige che si ampli ulteriormente questa prospettiva. Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione» .
Riconosce la possibilità, per gli uomini di Chiesa di benedire le unioni omosessuali.
Si tratta di un cambiamento di prospettiva importante. Pur nella cornice di un Magistero che considera ancora gli atti omosessuali «intrinsecamente malvagi», si apre alla possibilità di benedire una coppia LGBT. La quale, è chiaro, si fonda anche su questi atti. E il fatto che questo cambiamento venga recepito in un testo ufficiale del Dicastero, ci dice che, a meno di trovare il coraggio di fare quello che il cardinal Fernandez ha fatto l’altro ieri, difficilmente si potrà tornare indietro.
La lettura della Fiducia Supplicans mi ha fatto pensare. Forse, nella mia vita che ormai è arrivata alla sua fase finale, anch’io potrò assistere alla cancellazione di espressioni infelici e controproducenti. Forse sparirà la frase che parla dell’omosessualità come di qualcosa di «oggettivamente disordinato».
Fino all’altro ieri pensavo che, per l’esigenza di non creare spaccature con gli episcopati più ostili a qualunque riconoscimento di quanto c’è di positivo nella vita delle persone omosessuali, nessuno avrebbe mai trovato il coraggio di proporre qualunque cambiamento alla dottrina consolidata.
Adesso penso che qualcuno, quel coraggio l’ha trovato. Quindi, prima che io muoia, qualcosa potrà cambiare in positivo.