Con noi. Gli omosessuali nel popolo cristiano
Articolo di Daniela Tuscano
Sono trascorse quasi due settimane dal decimo anniversario di fondazione del Gruppo Emmanuele di Padova (gay cattolici). Per l’occasione, i ragazzi hanno allestito una bella festa nell’oratorio d’una chiesa cittadina, animando pure la Messa (con canti e musiche stupendamente eseguiti) nel corso della quale è stato distribuito un pieghevole, che illustrava tutte le iniziative dell’associazione e la natura della stessa.
Il celebrante li conosce da diversi anni. Con pazienza, ascolto e grande umiltà si è fatto interpellare da questo piccolo gregge. Un atto di virile coraggio; anche perché l’esegesi del brano di Luca (20, 27-38), il meno “familista” e, al tempo stesso, il più ieratico e sontuoso degli evangelisti, lo hanno costretto a un’omelia per nulla scontata e prevedibile.
Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Coloro che seguono la parola di Dio. Di chi sarà moglie, nell’aldilà, una donna che in vita è stata sposa di sette mariti? Ma nell’aldilà non ci si sposa più: si vivrà in Spirito e verità, come gli angeli. Scusate se è poco.
Nel suo commento, il sacerdote non ha mai pronunciato la parola “omosessualità”; eppure, tutto l’uditorio ha compreso che intendeva parlar di loro, degli amici dell’Emmanuele. I quali appartengono, anch’essi, alla famiglia della Chiesa. I quali sono fratelli, sorelle, madri, mariti e mogli di tutti gli altri cristiani, non secondo la carne, ma per lo Spirito.
“Noi abbiamo deciso di ascoltare anche questo gruppo – ha spiegato il prete – probabilmente si tratta di una prova da parte del Signore, che mi dimostra com’egli agisca in tutte le realtà“.
A ognuno spetta il compito di impiegare i propri personali talenti, diversi, fors’anche imprevedibili e inaspettati, per realizzare il progetto di Dio: “Accogliendovi oggi – ha concluso – questa parrocchia non compie un atto di bontà: desidera invece confrontarsi con cristiani motivati, ma non sempre sufficientemente conosciuti“.
Alla fine, per ringraziarli dell’impegno da tempo profuso, ha proposto un applauso in chiesa.Un grazie ai ragazzi e alla comunità che li ospita. Un segno concreto contro la banalità e l’intolleranza. Non finiscono sui giornali, non si esibiscono in lepide trasmissioni televisive, ma il futuro è dalla loro parte.