Confessioni silenziose. Le vite nascoste dei gay in Libano
Articolo di Melinda Trochu pubblicato sul mensile Têtu (Francia) nel dicembre 2014, pagg. 55-57, liberamente tradotto da Marco Galvagno
A Beirut nei bar e nei club si mescolano gay di tutte le religioni nella più grande discrezione. Poiché persino nella capitale libanese stessa il coming out resta difficile e i gay libanesi sono confinati al silenzio. Sulla strada panoramica di Beirut, non lontano dal quartiere di Raouché, il bus dell’associazione LGBT Halem (“sogno” in arabo) si ferma. La risacca delle onde accompagna le auto che stazionano per poi ripartire. In questa sera di gennaio solo alcuni uomini sono appoggiati al parapetto.
“A volte sono una ventina, a volte solo due o tre, dipende dalle sere, dalla temperatura e dalle tensioni politiche del momento” spiega Rabih Maher, 34 anni, uno dei più vecchi attivisti dell’associazione. “Prima andavamo a Tripoli e a Saida, con il bus, ma da due anni non abbiamo più i finanziamenti. È un peccato, perché è lì che dovremmo fare prevenzione.” Ogni settimana da cinque anni i volontari di Halem vanno ad incontrare i gay sulla strada panoramica alla luce dei lampioni. “Ci sono sempre persone nuove” assicura Rabih. “Diamo loro volantini, preservativi, lubrificanti. È il Ministero della sanità libanese che fornisce gratuitamente i test e i preservativi. Del resto, abbiamo una carta firmata dal Ministero, nel caso in cui la polizia ci controllasse” precisa Rabih.
Perché questo luogo di battuage può essere pericoloso. “La gente scavalca il parapetto per andare in mezzo all’erba, ma ci sono a volte furti o aggressioni sotto la minaccia di un coltello” narra Rabih. I volontari sono sempre in due, per ragioni di sicurezza. Di giorno le famiglie si impossessano della strada panoramica, ma di sera è il battuage ad avere il sopravvento. “Ci sono persone di tutte le tipologie: colte e benestanti, altri disoccupati e non particolarmente istruiti, ma fanno sempre le stesse domande tipo: ‘Si possono mettere due preservativi contemporaneamente? Quali sono i sintomi dell’HIV? Come possiamo fare il test d’individuazione della malattia?’” Il test Halem lo fornisce sull’autobus e dura solo dieci minuti. “Se risulta positivo, si accompagna la persona in ospedale a fare un test di conferma. Le cure per l’AIDS in Libano sono gratuite, pagate dallo Stato” spiega Rabih.
Anthony è venuto per la prima volta a provare gli incontri sulla strada panoramica. Dopo qualche esitazione, è scivolato in mezzo alle rocce e all’erba. “C’erano una decina di ragazzi, divisi in gruppetti. Mi hanno chiesto se avessi da accendere ed ho iniziato a parlare con due di loro” racconta. “Uno mi ha assicurato di essere sposato e di avere una famiglia, ma voleva fare l’amore senza preservativo, mi ha veramente sorpreso.” Dopo un pompino, Anthony ha preferito allontanarsi dagli uomini, trovava quel luogo inquietante. “Era veramente troppo pericoloso stare lì.” Tony, giovane stilista, ha conosciuto anche lui gli incontri di strada.
“Da adolescente ero timido, ma un giorno ho notato un vicino di casa bellissimo. L’ho seguito, ci parlavamo con gli occhi, ma avevamo paura. Sotto una pioggia battente abbiamo fatto l’amore in un sottopassaggio, mi ha promesso che mi avrebbe aiutato a trovare delle persone che mi sostenessero”. Comincia allora per Tony una nuova vita di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. “A 16 anni mi sono trovato in un ristorante chic con uomo di 41. A quell’epoca non sapevo che esistesse l’amore al di là del sesso. Mi sono innamorato di lui . Siamo rimasti insieme dieci mesi. Era molto ricco e mi ha fatto scoprire dei club gay. Ero contento di avere qualcuno che si prendesse cura di me” ricorda. Proveniente da una famiglia povera, Tony avrebbe potuto anche non conoscere mai la vita notturna dei gay benestanti. Oggi vive solo. “Faccio incontri attraverso Grindr, nei club, sul lavoro o grazie agli amici. Passo anche un po’ di tempo con loro là, sulla strada panoramica. A Sin El Fil, un quartiere ad est di Beirut, c’è una strada intera, una zona dove i gay vanno a fare incontri. Ci andavo, ma era un po’ pericoloso, perché ti possono aggredire o derubare. Invece non vado mai nelle saune, perché sono sporche e puzzano.”
A 24 anni, come la maggioranza dei gay libanesi, Tony non sceglie i suoi patner secondo la loro confessione religiosa. “Non abbiamo nessun problema ad andare a letto con persone di tutte le comunità. Secondo me i musulmani si comportano meglio, ma i cristiani sono più aperti di mente. Osano di più dei musulmani.” Scherzando, aggiunge: “Sono stato invece solo con due drusi, ma non sono state belle esperienze”.
Per fare incontri ci sono vari club a Beirut. Uno dei più vecchi è il Bardo, un ambiente chic con luci soffuse, in cui la comunità gay benestante si ritrova dal 2006. Joseph Aoun, manager, è di casa qui. “Non c’è il biglietto d’entrata da pagare, né è richiesto un abbigliamento particolare. Insomma, è un posto democratico dove puoi spendere dai 10 ai 500 dollari” spiega Joseph. A ventinove anni, questo manager è un gay dichiarato. È uno dei pochi. La sua famiglia cristiana e conservatrice proviene da Meth, un quartiere ad est della capitale. “Ci hanno educati perché fossimo buoni cristiani, ho due fratelli ingegneri, ma nostra madre non è contenta né del mio stile di vita né del loro”. Dopo qualche anno di avventure sia con donne che uomini, Joseph due anni fa si è innamorato di un uomo, ma oggi vive solo. “Una vera tragedia per la mia famiglia, perché in generale in Libano abiti con i tuoi fino al matrimonio.”
Nella sua famiglia il tema dell’omosessualità è tabù. “Certo, i miei genitori se lo immaginano, ma fare coming out in Libano è molto delicato. È essenziale, ma un po’ egoista nei confronti dei propri genitori. I miei hanno 60 anni e hanno vissuto in un altro mondo, non voglio infliggere loro un dolore inutile”. Tuttavia, gli piacerebbe parlarne: “Mia madre mi ha sempre detto che ciò che si fa di nascosto è cattivo. Per me essere gay non è una cosa cattiva, allora non ho voglia di nascondermi. L’importante è che sia libero”. Joseph brandisce la propria libertà come uno stendardo, il problema è che i suoi compatrioti non sono così risoluti come lui. “La maggior parte dei gay in Libano non sono dichiarati ed è un vero problema per me. Sono single da un anno e mezzo, ma non me la sento di avere una relazione con qualcuno che si nasconde”.
La comunità GLBT libanese resta in gran parte sotterranea. Baciarsi o tenersi per mano per strada rimangono atteggiamenti poco diffusi. Il trentaquattrenne Georges Azzi ricorda la situazione alla fine degli anni novanta. “Facevo parte del Club Free, un circolo underground di un centinaio di persone, per accedervi dovevi avere due padrini. A quell’epoca c’erano raid della polizia e molta paranoia.” Nel 2003 Georges ha scelto di dirigere la neonata associazione Helem. Undici anni dopo il numero di registrazione dell’associazione per lo Stato è ancora in attesa. “Ad esempio, non possiamo aprire un conto in banca a nome di Helem” spiega Georges.
“L’associazione, pur essendo in via di ristrutturazione, fornisce consigli psicologici, legali e sociali. Riceviamo chiamate da tutta la regione e anche dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e dall’Oman. Purtroppo non siamo in grado di proteggere queste persone” spiega Samira Koujouk, ex direttrice dell’associazione. Unico spazio comunitario LGBT in tutto il Libano, Helem spera di aprire prossimamente i suoi uffici in altre città del Paese; per il momento, solo gli abitanti di Beirut possono approfittare di questa oasi di pace. Per Georges Azzi, attivista della prima ora, l’articolo 534 del Codice penale, che condanna tutti i rapporti sessuali contro natura, deve essere soppresso o per lo meno reso inoperante. Nel 2008 un giudice di Batroun aveva stabilito che l’omosessualità non è contro natura, dunque il lavoro deve essere fatto con i giudici. Il 29 gennaio dello scorso anno è un giudice che ha fatto compiere ai diritti dei gay grandi passi in avanti. Ha assolto una trans accusata d’aver avuto rapporti contro natura con uomini. Nella sentenza il magistrato si è appellato alla Costituzione libanese che garantisce l’uguaglianza giuridica dei cittadini, ma ha citato anche la Risoluzione dei diritti dell’uomo dell’Onu del 17 giugno 2011, che prevede la lotta contro le offese alla persona in base al suo orientamento sessuale.
Omar, un giovane blogger, si è preso l’incarico di informare su tutto ciò che riguarda la comunità LGBT in Libano. Il suo blog, l’unico in arabo, è una fonte d’informazione indispensabile per i gay. “Con il mio blog ricevo molti messaggi di ringraziamento. Sono l’unico blogger arabofono, abbiamo veramente bisogno di persone che scrivano in arabo.” Omar ha recentemente invitato sei altri blogger a collaborare con lui. “Ho già pubblicato tre pagine con loro, riguardavano le relazioni a distanza, il sadomasochismo e uno era un racconto erotico.” Omar ritiene che scrivere in arabo sia essenziale, infatti ha molti lettori non solo in Libano, ma anche in Arabia Saudita e in Egitto.
“Altri blogger fanno fatica ad utilizzare questa lingua, ma è l’unica in grado di parlare a tutti i libanesi, dato che le persone poco istruite non padroneggiano l’inglese.” I suoi prossimi scritti saranno sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, un tema che gli sta molto a cuore “La prevenzione sessuale in Libano è una catastrofe, non ci sono distributori automatici di preservativi e a molti gay non piacciono, non vogliono utilizzarli, asserendo di provare meno piacere. Anche il prezzo li blocca: ogni preservativo costa due euro, ma fortunatamente c’è il centro di salute sessuale Marsa dove sono gratis e dove i test sono anonimi.” Restare anonimi è la battaglia quotidiana di molti membri della comunità LGBT libanese. Per vivere felici nella società hanno deciso, per il momento, di restare nascosti.