Consigli di una donna transgender cattolica per le persone LGBT+ in questi tempi difficili
Articolo di Danielle Koutsoufis* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 18 febbraio 2025, liberamente tradotto da Diego de La Tenda di Gionata
Per molti nella comunità LGBTQ, le conseguenze delle elezioni presidenziali sono state causa di ansia. Mi includo in questa categoria. La retorica dannosa rivolta alle persone transgender durante tutto il ciclo della campagna elettorale ha certamente scatenato ansia e paura per il mio benessere e la mia capacità di continuare a esistere nel mondo.
Anche se vivo nel solido bastione blu del Massachusetts” (si riferisce al fatto che il Massachusset alle elezioni esprime preferenze per i candidati democratici NDT), dove i diritti dei transgender sono sanciti dalla legge del Commonwealth, ho iniziato a preoccuparmi dei diversi modi in cui la mia vita avrebbe potuta essere influenzata dalla nuova amministrazione presidenziale: quale sarà lo status del mio passaporto? E i miei benefici previdenziali guadagnati? Il Congresso potrebbe approvare leggi che limitano l’accesso alle cure di affermazione di genere a livello nazionale?
L’ansia mi ha fatto precipitare in una spirale negativa.
Ma guardando alle figure della mia fede e immaginandole calate nella mia realtà, sono riuscita a evitare la desolazione, che potrebbe essere considerata una reazione naturale a un flusso così costante di notizie apparentemente minacciose.
Lo studio delle opere e della vita di San Tommaso d’Aquino, il teologo del XIII secolo, ad esempio, a volte è stato vivificante e altre volte esasperante. Come chiunque sia cattolico e membro della comunità LGBTQ sa che la teologia di Tommaso d’Aquino e la sua fiducia nella “legge naturale” sono state talvolta utilizzate da alcuni cattolici per denigrare le esperienze vissute dalle persone LGBTQ e per opporsi all’assistenza pastorale alla comunità LGBTQ.
Tuttavia, le opere di Tommaso d’Aquino, come la Summa Theologiae e la Summa Contra Gentiles, contengono un numero incalcolabile di intuizioni sulla fede che parlano a me, come cattolica transgender.
San Tommaso d’Aquino è un gigante della spiritualità cattolica, non solo per i suoi scritti, ma per la sua santità personale e, cosa particolarmente significativa per me, per le sue esperienze mistiche. Nel 1273, Tommaso d’Aquino stava pregando davanti a un crocifisso in una cappella del convento domenicano di Napoli quando iniziò a levitare e ricevere quello che molti scrittori spirituali chiamano il “dono delle lacrime”.
Cristo apparve a d’Aquino e gli disse: «Tommaso, hai scritto bene di me. Cosa vorresti come ricompensa?». San Tommaso rispose a Cristo: «Nient’altro che te, Signore».
In un’altra esperienza, nel dicembre 1273, prima che la sua Summa Theologiae fosse terminata, Tommaso d’Aquino sperimentò un’estasi insolitamente lunga mentre celebrava la messa. Dopo essersi ripreso e conclusa la messa, Tommaso d’Aquino si rifiutò di scrivere o dettare ulteriormente per completare la Summa.
Il suo scriba, Reginaldo, fece notare a Tommaso d’Aquino quanto fosse vicino a finire la sua opera più grande. Tommaso d’Aquino rispose semplicemente e umilmente: «La fine delle mie fatiche è arrivata. Tutto ciò che ho scritto sembra essere solo paglia dopo le cose che mi sono state rivelate». Tommaso morì tre mesi dopo all’età di 49 anni.
Questa incredibile espressione di umiltà mi ha ricordato una citazione di C.S. Lewis. Lewis disse: «L’umiltà non è pensare meno di se stessi, piuttosto, l’umiltà è pensare meno a se stessi’.
Questa definizione di umiltà è una perfetta esegesi di Giovanni 15,13: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici». Con queste parole, tratte dai “discorsi dell’ultima cena”, Gesù non solo prefigura l’imminente crocifissione, ma ci fornisce un modello su come condurre le nostre vite.
Quindi cosa significa dare la vita per un amico? Come siamo chiamati a dare la vita? Dobbiamo letteralmente andare incontro alla morte terrena se ne abbiamo l’opportunità? Un’interpretazione letterale di Giovanni 15,13 potrebbe indicarlo.
Come vigile del fuoco, sono profondamente consapevole delle implicazioni di questo versetto della Scrittura. Il 13 novembre 2019, a Worcester, Massachusetts, il tenente dei vigili del fuoco Jason Menard ha compiuto un ultimo atto di servizio disinteressato: ha spinto la sua squadra fuori da una finestra mentre le condizioni peggioravano rapidamente in un incendio domestico. La sua squadra è sopravvissuta con ustioni. Il tenente Menard no.
In un esempio forse più noto di sacrificio della propria vita, l’11 settembre 2001 l’assistente spirituale dei vigili del fuoco di New York City, Mychal Judge, O.F.M., che era un membro della comunità LGBTQ, rispose alla chiamata a Ground Zero. Rimase ucciso quando la prima torre del World Trade Center crollò, colpito dalla caduta di detriti.
Padre Mychal è elencato come vittima n. 001 nei resoconti ufficiali degli attacchi terroristici dell’11 settembre. L’ultimo atto di padre Mychal su questa terra è stato accompagnare i vigili del fuoco, i poliziotti e le vittime di quel giorno orrendo, senza alcun riguardo per il proprio benessere.
Certo, i sacrifici del tenente Jason Menard e di Padre Mychal Judge sono esempi estremi di come vivere secondo Giovanni 15,13. Speriamo che né tu né io saremo mai chiamati a vivere a quel livello di sacrificio.
Invece, sostengo che, in sostituzione di un sacrificio letterale delle nostre vite terrene, possiamo fare un sacrificio nella forma di accompagnare gli oppressi, i malati, i prigionieri, i poveri, gli immigrati, i vulnerabili e coloro che soffrono o sono perseguitati in qualsiasi modo.
Mi ritrovo a chiedermi, nel momento attuale, dove andremo da qui in poi? La risposta è nell’accompagnamento. Una miriade di questioni riguardano la comunità LGBT e spesso queste questioni si intersecano con questioni di giustizia sociale, come la povertà e il razzismo. Come cattolici LGBTQ siamo in una posizione unica per accompagnare gli altri nei loro momenti di bisogno.
I cattolici LGBTQ hanno sofferto per mano della nostra Chiesa. Potremmo avere anche subito l’ira di una famiglia che non ci accetta. Potremmo aver subito discriminazioni sul posto di lavoro.
Dico alla gente che, anche se mi trovo in un buon momento della mia vita, con tutta la spazzatura che ho dovuto affrontare durante la mia transizione, non augurerei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, di essere transgender.
Ho perso amici intimi, ho attraversato un doloroso divorzio e ho subito odio e transfobia in pubblico. Il viaggio della transizione è spesso turbolento poiché il processo di coming out che intraprendiamo sembra durare tutta la vita.
Ma, considerata nel suo insieme, la totalità delle nostre esperienze come cattolici LGBTQ è ciò che ci rende così ben posizionati per accompagnare gli altri con umiltà e amore.
Anche se possiamo aver bisogno di sostegno e accompagnamento noi stessi, noi non siamo in grado di controllare se e come qualcuno ci accompagnerà. Quello che invece possiamo controllare è il sostegno che noi diamo a quelli che soffrono. Quindi, dov’è il nostro momento per essere Simone di Cirene? Cosa siamo spinti a fare per aiutare?
I cattolici LGBTQ sanno cosa significa soffrire e, sebbene la situazione di ogni persona sia diversa, possiamo condividere empatia con coloro che stanno lottando. Questo non significa pensare meno di noi stessi, ma pensare meno a noi stessi.
L’accompagnamento è l’atto supremo di umiltà. È, come desiderava Tommaso d’Aquino, desiderare solo Cristo come nostra ricompensa, come Cristo che si è dato per morire sulla Croce per assicurare la nostra salvezza. L’accompagnamento è altruista e puro.
I prossimi quattro anni potrebbero essere difficili per noi cattolici LGBTQ. Saranno difficili anche per innumerevoli altri. Quale dono migliore può essere fatto a coloro che soffrono se non il dono della nostra sofferenza altruistica?
Come Simone di Cirene, che fu costretto dai Romani ad aiutare Gesù a portare la Croce, le nostre vite non sono nostre. Le nostre vite appartengono a Dio, e dare le nostre vite in umiltà per alleviare la sofferenza di un altro è il dono più grande che potremmo farci l’un l’altro.
Esorto i cattolici LGBTQ, indipendentemente da dove viviamo, a partecipare attivamente alla vita della vostra parrocchia. Per coloro che appartengono a parrocchie con pastorali LGBTQ attive, unitevi.
Ma partecipate anche ad altre iniziative della parrocchia. Offritevi come ministri della musica. Servite come lettori. Servite come ministri eucaristici. Fate volontariato in una mensa per i poveri. Fate qualcosa. Qualsiasi cosa. E in ogni cosa, assicuratevi di agire con umiltà.
Il modo più sicuro per garantire la sopravvivenza e il benessere delle persone LGBTQ nei prossimi anni è partecipare attivamente e affermare il nostro posto come membri del Corpo di Cristo.
*Danielle Koutsoufis è una donna transgender che serve la sua comunità come vigile del fuoco e come ministro della musica e cantore nell’arcidiocesi di Boston.
Testo originario: A transgender Catholic’s advice for LGBTQ people in tough times